5 Giugno 2015

Le polizze vita come strumento di protezione

di Sergio Pellegrino
Scarica in PDF

Anche le polizze di assicurazione costituiscono uno strumento di tutela e di segregazione patrimoniale che negli anni ha avuto un certo successo.

Non tutte le tipologie di polizze garantiscono però questo effetto di protezione del patrimonio: la distinzione fondamentale che dobbiamo fare è tra polizze vita e contratti di capitalizzazione.

Le prime, la cui disciplina è contenuta negli articoli da 1919 a 1927 del codice civile, hanno una funzione fondamentalmente previdenziale, con il trasferimento all’assicuratore del cosiddetto rischio demografico relativo alla vita del contraente o dell’assicurato, se persona diversa.

Possiamo identificare tre tipologie di polizze vita: le assicurazioni per il caso vita, le assicurazioni per il caso morte, le assicurazioni miste.

Si parla di assicurazione per il caso vita nel momento in cui il contratto prevede il diritto dell’assicurato al pagamento di un capitale o di una rendita laddove egli sopravviva alla scadenza definita nel contratto stesso.

Se invece il contratto prevede che, in caso di decesso dell’assicurato entro la data prevista nel contratto, il beneficiario abbia diritto al pagamento di un capitale o di una rendita siamo di fronte ad un’assicurazione per il caso morte.

L’assicurazione si definisce mista quando il contratto garantisce al beneficiario il pagamento del capitale sia in caso di sopravvivenza dell’assicurato che in caso di morte dello stesso.

I contratti di capitalizzazione hanno invece natura fondamentalmente finanziaria, garantendo soltanto l’ammontare dei premi pagati maggiorati di quelli che sono gli interessi maturati.

Le polizze di capitalizzazione non sono quindi polizze di assicurazione sulla vita perché non dipendono da eventi attinenti alla vita dell’assicurato, ma consentono di percepire determinate somme a fronte del versamento dei premi stabiliti.

Il Codice delle assicurazioni private ne dà questa definizione: “la capitalizzazione è il contratto mediante il quale l’impresa di assicurazione si impegna, senza convenzione relativa alla durata della vita umana, a pagare somme determinate al decorso di un termine prestabilito in corrispettivo di premi, unici o periodici, che sono effettuati in denaro o mediante altre attività”.

Il codice civile sancisce l’impignorabilità e l’insequestrabilità delle somme dovute dall’assicuratore al contraente o beneficiario di un’assicurazione sulla vita: questo sia nel caso in cui l’assicurazione sia stipulata in favore proprio che di terzi, di modo che dovranno soggiacere al divieto sia i creditori del contraente che quelli del beneficiario.

L’articolo 1923 stabilisce infatti che: «Le somme dovute dall’assicuratore al contraente o al beneficiario non possono essere sottoposte ad azione esecutiva o cautelare. Sono salve, rispetto ai premi pagati, le disposizioni relative alla revocazione degli atti compiuti in pregiudizio dei creditori e quelle relative alla collazione all’imputazione e alla riduzione delle donazioni».

La protezione sussiste però soltanto per le somme non ancora corrisposte dall’impresa di assicurazione, perché nel momento in cui queste sono ricevute dal contraente o beneficiario si confondono con il suo patrimonio ed in quel momento diventano aggredibili.

Il secondo comma dell’articolo 1923 stabilisce che sono fatte salve, rispetto ai premi pagati, le disposizioni relative alla revocazione degli atti compiuti in pregiudizio dei creditori e quella relativa alla collazione, all’imputazione ed alla riduzione delle donazioni: di conseguenza, i creditori e gli eredi del contraente possono rivalersi unicamente sui premi versati perché questi sono gli importi usciti dal patrimonio del contraente.

La ragione della tutela deriva dalla funzione previdenziale e di risparmio dell’assicurazione sulla vita e, come evidenziato dalla Cassazione a Sezioni Unite nella sentenza n. 8271 del 31 marzo 2008, l’articolo 1923 del codice civile nasce per rispondere ad esigenze costituzionali di tutela del risparmio e delle forme di previdenza.

La pronuncia in questione ha dato una lettura ampia dell’articolo 1923 del codice stabilendo che tutti i crediti derivanti dalla stipula del contratto di assicurazione sulla vita, anche nelle forme alternative di cui all’articolo 1925, sono sottratti all’azione esecutive e cautelari: la protezione quindi sussiste anche per il valore di riscatto della polizza.

La tutela si esplica anche nei confronti dell’esecuzione concorsuale, rientrando i crediti in questione tra le cose non comprese nel fallimento ai sensi dell’articolo 46 n. 5 della Legge fallimentare.

Nella sentenza n. 8271 i giudici della Suprema Corte hanno affermato che il contratto di assicurazione sulla vita stipulato in bonis dal fallito rimane in vigore anche dopo la dichiarazione di fallimento, sia pure ai sensi e nei limiti di cui all’articolo 1924 del codice civile.

La pronuncia afferma infatti che “il curatore fallimentare non è legittimato ad agire nei confronti dell’assicuratore per ottenere il valore di riscatto di una polizza sulla vita stipulata dal fallito in quanto tale rapporto assolve ad una funzione previdenziale e come tale è estraneo al fallimento”.