19 Marzo 2018

Le associazioni culturali: che fine faranno?

di Guido Martinelli
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La prima considerazione che nasce dall’esame dei decreti delegati recanti le norme attuative della riforma del terzo settore è che appare venuto meno quello che sembrava essere uno dei capisaldi della riforma, ossia il ricondurre ad una disciplina unitaria tutto il mondo del non profit.

Infatti il “sistema” terzo settore non sostituisce la galassia fino ad oggi esistente di varie realtà che operano con finalità non meramente speculative (vedi le pro loco, le sportive, i comitati organizzatori di eventi, le fondazioni, di partecipazione e non, le fondazioni bancarie, ecc.) ma si affianca ad esse creando un regime speciale per i soggetti che scelgono, autonomamente, di parteciparvi attraverso l’iscrizione all’istituendo registro unico del terzo settore, lasciando inalterata la disciplina per quei soggetti che non intendano o che per espressa previsione legislativa non possano entrare nel terzo settore.

Da qui la domanda che ci si sente fare in questi giorni dalle numerosissime associazioni culturali (bande musicali, cori, compagnie di teatro amatoriale) e ricreative (le pro loco, le associazioni “ex” sportive che, svolgendo prevalentemente se non esclusivamente attività non più riconosciute come sportive dal Coni, vedi il burraco, si trovano “espulse” dal mondo delle ASD) che operano sul territorio. Che fine facciamo? Ci conviene entrare nel terzo settore? Sono realtà che, fino ad oggi, in gran parte si sono amministrate facendo riferimento, per l’attività istituzionale all’articolo 148 del Tuir e per la parte commerciale optando per gli adempimenti di cui alla L. 398/1991, agevolazioni che saranno perdute a seguito della progressiva entrata in vigore del codice del terzo settore

Innanzi tutto diciamo subito che, per detti enti che non sono “più sportivi” e che non sono associazioni di promozione sociale, Onlus o organizzazioni di volontariato, la disciplina applicabile quest’anno (e comunque fino alla definitiva entrata in vigore del nuovo registro unico del terzo settore, presumibilmente primo gennaio 2020) sarà la medesima dell’anno scorso in quanto le modifiche introdotte dal titolo X del codice del terzo settore (tra le quali, appunto, la perdita del diritto di applicare le due agevolazioni citate) alla disciplina fiscale degli enti decorreranno solo dal periodo di imposta successivo alla entrata in vigore del registro unico del terzo settore.

Pertanto qualsiasi ente senza scopo di lucro che non sia già iscritto ai registri delle Onlus, organizzazioni di volontariato o di promozione sociale o che abbia la veste di cooperativa sociale mantiene la sua natura giuridica precedente e non diventa (di diritto o automaticamente) ente del terzo settore. Lo diventerà solo se, sussistendone i presupposti, chiederà l’iscrizione al nuovo registro unico del terzo settore.

Del resto chi rimarrà fuori dal terzo settore sarà in buona compagnia. Infatti non potranno, invece, mai diventare enti del terzo settore, per espressa preclusione contenuta nel secondo comma dell’articolo 4 D.Lgs. 117/2017 le associazioni politiche, i sindacati, le associazioni professionali e di rappresentanza di categorie economiche, le associazioni di datori di lavoro nonché gli enti sottoposti a direzione e coordinamento o controllati dai suddetti enti.

Godranno di una disciplina particolare i soggetti operanti nella protezione civile e i corpi volontari dei vigili del fuoco delle provincie autonome di Trento e Bolzano e della regione autonoma della Valle d’Aosta.

Il codice del terzo settore, cioè una disciplina di 103 articoli che racchiude la parte civilistica, quella fiscale, il registro unico del terzo settore e l’introduzione di una serie di nuovi organi di controllo prevede l’abrogazione della L. 266/1991 e della L. 383/2000. Pertanto tutte le associazioni di volontariato e di promozione sociale dovranno necessariamente, per rimanere tali, uniformarsi alle disposizioni del nuovo decreto.

Nulla viene detto, invece, per l’articolo 90 L. 289/2002 che, come è noto, disciplina appunto le attività sportive dilettantistiche.

Vengono abrogati gli articoli relativi alla disciplina delle Onlus che, così, scompariranno come entità autonome all’interno del nostro ordinamento. Le attuali Onlus dovranno decidere se convertirsi in una delle tipologie di ente del terzo settore o se operare solo come ente senza scopo di lucro.

Ne deriva che, una volta a regime la riforma, le associazioni culturali potranno diventare associazioni di promozione sociale, ma, in tal, caso, saranno soggette alla disciplina prevista per tale fattispecie dal codice del terzo settore, o rimarranno come realtà non soggette ad alcuna disciplina speciale, rette dalla normativa del primo libro del codice civile e soggette alla disciplina generale degli enti non commerciali prevista dal novellato testo unico delle imposte sui redditi.

Rimane un ultimo problema da esaminare. Come è noto i cori, le bande musicali e le compagnie filodrammatiche possono riconoscere ai propri direttori artistici e tecnici dilettanti i compensi c.d. sportivi disciplinati dall’articolo 67, comma 1, lett. m), Tuir. Per la parte relativa alle sportive la Legge di Bilancio 2018 li ha qualificati collaborazione coordinata e continuativa. Essendo la medesima fattispecie concreta è possibile che si debba giungere alla stessa fattispecie astratta. E se così fosse scatterebbero per loro anche gli obblighi della comunicazione al centro per l’impiego e collegati.

Al danno della perdita delle agevolazioni fiscali della L. 398/1991 e dell’articolo 148 Tuir anche la beffa dell’aumento degli adempimenti formali.

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