25 Gennaio 2024

La prescrizione del rimborso del credito Iva erroneamente compensato

di Luigi Ferrajoli
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La scheda di FISCOPRATICO

In materia di Iva, l’articolo 30, D.P.R. 633/1972, stabilisce che l’eccedenza di imposta risultante dalla dichiarazione annuale deve essere utilizzata dal contribuente in detrazione dell’imposta dovuta per i periodi successivi, ovvero può essere richiesta a rimborso, ma solamente nelle ipotesi indicate dalla legge (articolo 30, commi 2 e 3, D.P.R. 633/1972) e, in ogni caso, nell’ipotesi di cessazione dell’attività. In particolare, il contribuente può chiedere il rimborso:

  1. quando esercita esclusivamente o prevalentemente attività che comportano l’effettuazione di operazioni soggette ad imposta con aliquota inferiore a quella dell’imposta assolta sugli acquisti o importazioni;
  2. quando effettua operazioni non imponibili, ai sensi degli articoli 8, 8-bis e 9, P.R. 633/1972, per un ammontare superiore al 25% dell’ammontare complessivo di tutte le operazioni effettuate;
  3. limitatamente all’imposta relativa all’acquisto di beni ammortizzabili;
  4. quando effettua prevalentemente operazioni non soggette all’imposta per effetto degli articoli da 7 a 7-septies, P.R. 633/1972;
  5. quando si tratta di soggetto non residente e senza stabile organizzazione nello Stato.

La richiesta di rimborso dell’eccedenza di imposta deve essere effettuata nella dichiarazione annuale presentata ai fini Iva. In particolare, occorre precisare che l’istanza di rimborso del credito d’imposta maturato dal contribuente deve considerarsi già presentata con la compilazione del corrispondente quadro della dichiarazione annuale “RX4”, che configura formale esercizio del diritto, mentre la presentazione del modello “VR” costituisce, ai sensi dell’articolo 38-bis, D.P.R. 633/1972, solo un presupposto per l’esigibilità del credito e, dunque, un adempimento prodromico al procedimento di esecuzione del rimborso.

Pertanto, come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, laddove l’istanza del contribuente sia formulata in termini di compensazione, e non denoti l’inequivocabile volontà di ottenere il rimborso del credito, non si applica il termine ordinario decennale di prescrizione, bensì quello di decadenza biennale previsto dall’articolo 21, comma 2, D.Lgs. 546/1992 (ordinanza n. 35717/2022). Questo in considerazione del fatto che il diritto al rimborso dell’eccedenza di imposta risultante dalla dichiarazione annuale, oltre ad essere possibile solo in determinate ipotesi indicate dalla legge, richiede la formulazione di apposita istanza da inserire nella dichiarazione annuale.

Tuttavia, va evidenziato che, a precisazione di questo consolidato principio, è stato chiarito che, pur in presenza di erronea esposizione in dichiarazione, cionondimeno non si applica al rimborso il termine di decadenza biennale previsto dall’articolo 21, comma 2, D.Lgs. 546/1992, quanto, piuttosto, il termine ordinario decennale di prescrizione, nell’ipotesi in cui la compensazione non possa più essere effettuata, come, per l’appunto, nell’ipotesi di “cessazione dell’attività” – che deve essere intesa quale messa in liquidazione della società, comunicata alla competente Autorità secondo le regole vigenti e non, invece, quale suo scioglimento o sua cancellazione, successivi alla data della domanda di rimborso (in tal senso, si vedano Cassazione n. 5893/2019) – ovvero in caso di morte del contribuente (Cassazione n. 24655/2022).

In tali casi eccezionali, infatti, “resta irrilevante (…) che detti crediti [siano stati] indicati [dal] contribuente come da utilizzare in compensazione (in vista della prosecuzione dell’attività d’impresa), anziché senz’altro quali crediti di cui si invocava il rimborso, considerato che avendo cessato (…) l’attività di impresa [al contribuente] non restava altra via che quella di chiedere il rimborso del credito esattamente indicato nella dichiarazione dei redditi” (si veda, in particolare, Cassazione n. 6876/2021).

Infatti, la Corte di Cassazione ha più volte chiarito che in tema di Iva, ai fini dell’insorgenza del diritto al rimborso dell’imposta in caso di cessazione dell’attività, ai sensi dell’articolo 30, D.P.R. 633/1972, occorre fare riferimento al dato, sostanziale e fattuale, rappresentato dalla cessazione stessa effettiva della medesima – evento che costituisce titolo per il diritto al rimborso dell’eccedenza d’imposta, per l’evidente impossibilità di chiederne la detrazione in successive dichiarazioni (si vedano anche Cassazione n. 4234/2004; Cassazione n. 10227/2003; Cassazione n.  14858/2015; e Cassazione n. 5821/2012).

Questo principio è stato recentemente ribadito dalla Corte di cassazione nell’ordinanza n. 15618/2023, la quale, in presenza di credito Iva esposto in dichiarazione – sia pure erroneamente – ai fini della relativa compensazione da una società pacificamente in liquidazione all’atto della presentazione della dichiarazione, ha affermato che detto credito può essere chiesto a rimborso nel termine ordinario decennale di prescrizione e non, come preteso dall’Agenzia delle entrate, nel termine di decadenza biennale di cui all’articolo 21, comma 2, D.Lgs. 546/1992, fermo restando che, anche nell’ipotesi di domanda di rimborso presentata a seguito della cessazione dell’attività, l’Amministrazione finanziaria è, comunque, tenuta a verificare la sussistenza del credito del contribuente il quale, in caso di contestazione, dovrà assolvere all’onere probatorio sullo stesso gravante.