12 Ottobre 2015

La “nuova” Legge fallimentare anticipa i termini per la detrazione Iva

di Davide DavidGiovanni Turazza
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Le modifiche introdotte alla Legge fallimentare dal D.L. 83/2015 potrebbero avere delle ripercussioni anche in ambito tributario.

In particolare pare potersi affermare che, in alcuni casi, si avrà una anticipazione del momento dal quale i fornitori potranno portare in detrazione l’Iva sulle fatture emesse; e ciò in conseguenza del fatto che, a seguito delle modifiche alla Legge fallimentare, la chiusura della procedura di fallimento per avvenuta ripartizione finale dell’attivo potrà ora avvenire anche in pendenza di giudizi.

In proposito occorre ricordare che l’articolo 26, comma 2, D.P.R. 633/1972, consente ai fornitori di beni e servizi di portare in detrazione (in tutto o in parte) l’imposta esposta in fattura, qualora l’ammontare imponibile (cioè il corrispettivo della cessione o della prestazione) venga ad annullarsi (o a ridursi) “per mancato pagamento in tutto o in parte a causa di procedure concorsuali o di procedure esecutive rimaste infruttuose o  a seguito di un accordo di ristrutturazione dei  debiti  omologato  ai  sensi dell’articolo 182-bis del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, ovvero di un piano attestato ai sensi dell’articolo 67, terzo  comma,  lettera  d),  del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, pubblicato nel registro delle  imprese”.

Per quanto concerne i fallimenti, secondo l’Amministrazione finanziaria il momento dal quale sorge il presupposto della infruttuosità della procedura concorsuale (essenziale per poter operare la detrazione dell’IVA) coincide con la scadenza del termine per la presentazione delle osservazioni al piano di riparto, ovvero, se il fallimento si chiude senza un piano di riparto, con la scadenza del termine entro il quale è possibile proporre reclamo avverso il decreto di chiusura della procedura  (cfr. circolare n. 77/E/2000 e risoluzioni n. 155/E/2001, 89/E/2002 e 195/E/2008).

Tutto ciò, a detta sempre dell’Amministrazione finanziaria, “al fine di adeguare l’imposta al corrispettivo effettivamente incassato” (risoluzione n. 89/E/2002).

In buona sostanza, secondo l’Amministrazione finanziaria è necessario differire il recupero dell’Iva (mediante emissione della nota di variazione) fino all’approvazione del piano di riparto finale (o in assenza di riparto alla chiusura della procedura) perché solo in quel momento è nota la misura del credito per Iva di rivalsa insoddisfatto (la c.d. falcidia).

Ciò comporta che anche nei casi (assai frequenti) in cui il curatore è in grado, già nelle prime fasi della procedura, di acclarare l’impossibilità di operare delle ripartizioni ai crediti (chirografari) per Iva di rivalsa, comunque tali creditori devono attendere la chiusura della procedura, che nella maggior parte dei casi si protrae per molti anni, soprattutto se vi sono giudizi in corso.

Le recenti modifiche alla Legge fallimentare hanno però ora introdotto, tra le altre, la possibilità per il Tribunale, su istanza del curatore, di dichiarare la chiusura del fallimento, ex articolo 118, comma 3, (ovverosia quando è compiuta la ripartizione finale dell’attivo”) anche in pendenza di giudizi attivi e passivi, previo accantonamento delle somme previste per la difesa nei giudizi.

In tale ipotesi il curatore, che mantiene la legittimazione processuale, provvederà (dopo la chiusura della procedura) a un successivo riparto supplementare delle somme che riceverà in seguito alla definizione dei giudizi e di quelle che dovessero residuare a fronte degli accantonamenti fatti per la difesa nei giudizi.

In tale situazione (chiusura della procedura con prosecuzione dei giudizi) è da ritenere che i creditori per i quali alla chiusura della procedura non vi sia aspettativa di recupero del credito chirografario di rivalsa per l’Iva (o comunque della parte del credito già certa della falcidia), possano da tale momento emettere la relativa nota di variazione Iva, senza dover attendere la definizione dei giudizi ancora in corso e il conseguente riparto supplementare.

E questo quanto meno nei casi in cui, con il decreto di chiusura della procedura, il Tribunale dovesse dare evidenza delle categorie di creditori alle quali destinare il riparto supplementare.

In aggiunta occorre anche considerare, in generale, le obbiezioni mosse dall’A.I.D.C. Milano, con la Norma di comportamento n. 192/2015, alle tesi dell’Amministrazione finanziaria sul momento dal quale è possibile emettere le note di variazione Iva in caso di procedure fallimentari.

Secondo l’Associazione tale momento è infatti da fare coincidere con la data di apertura (e non di chiusura) della procedura, per coerenza con le direttive comunitarie in materia di Iva e con la tempistica riconosciuta dalla stessa Amministrazione finanziaria per la deduzione delle perdite su crediti ai fini della determinazione del reddito d’impresa.

Riconoscere la possibilità ai creditori senza aspettative di recupero supplementare di emettere le note di variazione almeno dal momento della chiusura della procedura (senza dover attendere la definizione dei giudizi in corso) consentirebbe quindi di abbreviare i termini di emissione, rendendoli meno lontani dal momento di apertura della procedura; così colmando, almeno in parte, il divario esistente tra la prassi dell’Amministrazione finanziaria in materia di Iva e quella in materia di imposte sui redditi.

Da ultimo occorre anche ricordare che, sempre secondo l’Amministrazione finanziaria, il diritto all’emissione della nota di variazione deve essere esercitato “al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui si è verificato il presupposto” (cfr. risoluzione n. 85/E/2009). 

Stabilire quindi il momento dal quale è possibile emettere la nota di variazione rileva anche ai fini del conteggio del termine entro il quale può essere esercitato tale diritto.

È quindi importante, alla luce delle nuove norme in materia fallimentare, che l’Amministrazione finanziaria chiarisca subito se, in caso di chiusura della procedura fallimentare con prosecuzione dei giudizi, la nota di variazione vada emessa a decorrere dalla chiusura della procedura o se occorre comunque attendere il riparto supplementare.

Ciò in quanto, considerati i tempi per definire i giudizi in corso, vi è il rischio che, in assenza di chiarimenti, un creditore attenda la chiusura dei giudizi per emettere la nota di variazione, per poi vedersi disconosciuto il diritto nel presupposto che la nota di variazione doveva essere emessa “al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui” si è chiusa la procedura di fallimento.