18 Gennaio 2022

La nuova definizione di controllo ai fini CFC

di Marco Bargagli
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La scheda di FISCOPRATICO

Continuiamo l’analisi su taluni aspetti di fondamentale importanza ai fini della configurabilità delle regole fiscali previste in materia di imprese estere controllate (c.d. “CFC legislation”), con particolare riferimento ai chiarimenti intervenuti con la recente circolare 18/E/2021.

Ricordiamo che, sotto il profilo soggettivo, la normativa anti-paradiso fiscale in rassegna si applica:

  • alle persone fisiche, alle società semplici, alle società in nome collettivo e in accomandita semplice, alle associazioni, alle società di armamento e alle società di fatto residenti in Italia;
  • ai soggetti residenti in Italia indicati nell’articolo 73, comma 1, lettere a), b) e c) Tuir, nonché, relativamente alle loro stabili organizzazioni italiane, ai soggetti di cui all’articolo 73, comma 1, lettera d) Tuir, che controllano soggetti non residenti.

Importanti novità, introdotte dall’articolo 4 D.Lgs. 142/2018 (c.d. “Decreto Atad”), attuativo della Direttiva Atad UE 2016/1164, recante norme di contrasto alle pratiche di elusione fiscale attuate a livello transnazionale, a decorrere dal 2019, riguardano il requisito del controllo.

In merito, ai sensi dell’articolo 167, comma 2, Tuir sono soggetti controllati non residenti le imprese, le società e gli enti non residenti nel territorio dello Stato, per i quali si verifica almeno una delle seguenti condizioni:

  • sono controllati direttamente o indirettamente, anche tramite società fiduciaria o interposta persona, ai sensi dell’articolo 2359 cod. civ. da parte di un soggetto residente in Italia;
  • oltre il 50% della partecipazione ai loro utili è detenuto, direttamente o indirettamente, mediante una o più società controllate ai sensi dell’articolo 2359 cod. civ. o tramite società fiduciaria o interposta persona, da un soggetto residente in Italia.

Nello specifico, si considerano altresì soggetti controllati non residenti ex articolo 167, comma 3, Tuir:

  • le stabili organizzazioni all’estero dell’impresa controllata;
  • le stabili organizzazioni all’estero di soggetti residenti che abbiano optato per il regime di esenzione degli utili e delle perdite di cui all’articolo 168-ter Tuir (ossia il c.d. regime di branch exemption).

Non sono intervenute particolari novità interpretative circa la sussistenza del requisito del controllo ai sensi dell’articolo 2359 cod. civ. che, come conferma l’Agenzia delle entrate nella citata circolare 18/E/2021, può essere distinto in tre figure sulla base del diverso “atteggiarsi” dell’influenza esercitata dal soggetto controllante su quello controllato.

In merito, proprio l’articolo 2359 cod. civ. contempla tre distinte ipotesi:

  • il controllo di diritto, che ricorre quando il soggetto residente dispone della maggioranza dei diritti di voto esercitabili nell’assemblea ordinaria della società estera;
  • il controllo di fatto, che consiste nel potere del soggetto residente di esercitare un’influenza dominante sull’assemblea ordinaria della CFC, pur non disponendo della maggioranza assoluta dei diritti di voto;
  • il controllo contrattuale, che sussiste qualora un soggetto sia in grado di influenzare in modo dominante un’altra società in virtù di vincoli contrattuali tali per cui quest’ultima sviluppi una sorta di dipendenza economica dalla prima.

Un aspetto particolarmente rilevante affrontato, tra gli altri, dalla citata circolare 18/E riguarda l’ipotesi di controllo congiunto, il quale – in linea di principio – non assume rilevanza ai fini della disciplina CFC.

Infatti, come già evidenziato nella risoluzione AdE 326/E/2008, la nozione di controllo individuata dall’articolo 2359 cod. civ. presuppone necessariamente l’esistenza di una situazione in cui un unico soggetto abbia la capacità di influire in modo determinante sulle scelte operate da un altro soggetto.

Tuttavia non si può escludere, in termini assoluti, la possibilità che anche in presenza di una partecipazione paritetica alla società (50% in capo a ciascun socio), sia individuabile una situazione di controllo da parte di uno dei due soci.

Infatti, l’ampiezza del concetto di controllo prevista dall’articolo 2359 cod. civ. richiede un’analisi approfondita del complesso dei rapporti intercorrenti tra i soggetti coinvolti al fine di verificare se uno di essi eserciti sull’altro un’influenza dominante in virtù di particolari vincoli contrattuali stipulati.

Quindi, ad eccezione delle ipotesi in cui in capo ad uno dei partecipanti ricorrano i presupposti per ravvisare l’esercizio di un controllo di fatto o contrattuale, le joint-venture paritetiche non rientrano nell’ambito di applicazione dell’articolo 2359 cod. civ..

Come opportunamente rilevato nel citato documento di prassi, una joint venture o associazione temporanea di imprese è un contratto con cui due o più imprese si accordano per collaborare al fine del raggiungimento di un determinato scopo o all’esecuzione di un progetto comune avente natura commerciale o industriale.

Le stesse sono normalmente regolate da accordi strutturati in modo da prevedere una partecipazione egualitaria dei soci al capitale e alle decisioni più importanti della società, nonché una ripartizione egualitaria della composizione degli organi di governo della stessa.

Ai fini della disciplina in esame occorre tuttavia sempre verificare se uno dei due soci possa condizionare, di fatto, le scelte dell’entità partecipata estera.

Sarà così possibile escludere, sulla base di un concreto riscontro dei poteri riservati ai soci della joint-venture, che uno di essi sia in grado di esercitare un’influenza dominante sulla stessa.