17 Dicembre 2015

La non facile definizione del concetto di occasionalità nelle raccolte fondi

di Luca Caramaschi
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L’articolo 143 Tuir alla lettera a) del comma 3 – richiamato dal secondo comma, dell’articolo 25, della L. 133/1999 con riferimento alle associazioni sportive dilettantistiche (rimando in passato giustificato dal differente contenuto della norma speciale rispetto a quella generale) – prevede che non concorrono in ogni caso alla formazione del reddito degli enti non commerciali di cui alla lettera c) del primo comma  dell’articolo 73 “i fondi pervenuti ai predetti enti a seguito di raccolte pubbliche effettuate occasionalmente, anche mediante offerte di beni di modico valore o di servizi ai sovventori, in concomitanza di celebrazioni, ricorrenze o campagne di sensibilizzazione”. L’irrilevanza fiscale dei proventi derivanti da attività di raccolta di fondi è dunque condizionata al rispetto di regole ben precise che devono contraddistinguere la raccolta fondi:

  • deve essere pubblica, con ciò intendendosi che si deve rivolgere a una massa indistinta di soggetti;
  • deve essere occasionale;
  • può avvenire anche mediante l’offerta ai sovventori di beni, purché di modico valore, o servizi;
  • deve avvenire in concomitanza di celebrazioni, ricorrenze o campagne di sensibilizzazione.

A titolo di esempio, si pensi alle vendite di piante o di frutti organizzate nelle piazze italiane dal WWF o dalle diverse associazioni per la ricerca su determinate malattie; si pensi ancora alla possibilità, offerta all’associazione sportiva della squadra di calcio del paese, di poter raccogliere sovvenzioni regalando un gagliardetto, una sciarpa o un distintivo della squadra, collocandosi tale iniziativa, ad esempio, nell’ambito delle celebrazioni del patrono.

Tale previsione si è resa necessaria allo scopo di non far concorrere alla determinazione del reddito complessivo dell’ente le entrate da questo conseguite mediante la raccolta pubblica di fondi, in sostanza elargizioni liberali alle quali non è necessariamente correlata una prestazione sinallagmatica.

Per dare certezza al requisito dell’occasionalità, il comma 3 dell’articolo 2 del D.Lgs. 460/1997 ha riservato al legislatore la possibilità di stabilire, con apposito Decreto, le condizioni e i limiti in base ai quali l’attività di raccolta di fondi potrà essere considerata come occasionale.

È, quindi, con il D.M. datato 10 novembre 1999 che tale limite viene fissato nella misura massima di lire cento milioni per periodo di imposta (corrispondenti ad euro 51.645,69). Fino al predetto limite, quindi, le associazioni sportive dilettantistiche potranno autofinanziarsi per il tramite di raccolte pubbliche di fondi, escludendo dal concorso alla formazione del reddito imponibile i proventi conseguiti.

Il Decreto sopra riportato, nel definire il requisito della occasionalità, richiama due variabili:

  1.  un numero complessivo di eventi non superiore a due;
  2. un limite massimo di proventi conseguiti pari ad euro 51.645,69.

Quali siano le relazioni esistenti tra le due variabili, affinché i proventi conseguiti dall’associazione sportiva dilettantistica possano godere della decommercializzazione, lo ha chiarito la stessa Agenzia delle entrate che con il primo numero del 2007 del periodico bimestrale “L’Agenzia informa”, dedicato alle agevolazioni fiscali a favore dell’attività sportiva dilettantistica, ha riepilogato in forma di rappresentazione schematica la disciplina concretamente applicabile.

In pratica, dalla tabella messa a disposizione dall’agenzia delle entrate si comprende come la soglia dei 51.645,69 euro si comporti in modo differente sotto il profilo dell’esenzione reddituale rispetto a quella in materia di imposta sul valore aggiunto:

  • dal punto di vista delle imposte sul reddito, il limite dei 51.645,69 euro rappresenta una sorta di “franchigia”, purché ciò avvenga nell’ambito di non più di due eventi; quindi, in caso di superamento del limite all’interno dei due eventi, concorreranno alla formazione del reddito solo i proventi eccedenti il predetto limite;
  • dal punto di vista dell’imposta sul valore aggiunto, pare invece di comprendere come l’unica variabile da considerare ai fini della definizione del concetto di occasionalità sia rappresentata da numero massimo degli eventi: in pratica, anche per i proventi conseguiti oltre il limite dei 51.645,69 euro, sempre nel limite massimo di due eventi, spetterebbe l’esclusione per carenza dei presupposti applicativi del tributo.

Sul tema la C.M. 43/E/2000, al paragrafo 1.3,  precisa che “Per quanto riguarda il trattamento tributario ai fini IVA, è evidente che le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate dalle associazioni sportive nell’ambito delle attività che presentano il carattere di occasionalità e saltuarietà sono, in base ai principi generali, escluse dal campo di applicazione dell’IVA”.

Considerato che l’Agenzia delle entrate, dopo la pubblicazione del 2007 (per certi versi ufficiosa in quanto non riportata in alcun documento ufficiale di prassi), non è più tornata sulla questione, anche considerando l’estrema diffusione di questa importante agevolazione, sarebbe gradito un suo intervento esplicativo sui contenuti dell’agevolazione,  in relazione alla quale taluni dubbi permangono.

Ad esempio, non è stato chiarito se, in presenza di più di due eventi nel corso dell’anno, sia possibile “scegliere” ai fini dell’agevolazione quelli dai quali si ritraggono i maggiori proventi, oppure, sia necessario seguire il susseguirsi cronologico di tali eventi nel senso che l’agevolazione compete per i “primi” due eventi realizzati nel corso dell’anno.