23 Aprile 2021

La “misurazione” delle nuove attività sportive nella Riforma dello Sport – III° parte

di Luca Caramaschi
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Definita quindi l’attività o le attività da ritenersi “istituzionali” (per quanto osservato nei precedenti contributi non necessariamente da rivedersi come non commerciali), ovvero quelle che giustificano l’inclusione del sodalizio sportivo nel registro nazionale, sempre l’articolo 7 del nuovo D.Lgs. 36/2021, al comma 1, lettera b), stabilisce che le stesse devono essere esercitate in via “stabile e principale”.

Ora, se una prevalenza delle attività istituzionali deve potersi verificare, diventa indispensabile definire sia un termine di paragone sia un criterio di misurazione delle attività.  

E questo termine di paragone sembra essere definito nel successivo articolo 9 D.Lgs. 36/2021, in cui si individuano “attività diverse da quelle principali”, le quali devono essere secondarie e strumentali rispetto alle attività istituzionali nel rispetto di determinati limiti che dovranno essere definiti con successivo decreto.

Quest’ultima formulazione lascia quindi intendere (anche per le “anticipazioni” che giungono dalla riforma del terzo settore in relazione all’analoga previsione contenuta nell’articolo 6 D.Lgs. 117/2017) che il criterio di misurazione delle attività potrebbe essere esclusivamente di tipo quantitativo. Nel qual caso andrebbero poi ulteriormente chiariti gli effetti derivanti dal mancato rispetto di questi parametri (nella riforma del terzo settore, ad esempio, il superamento dei limiti quantitativi previsti per le attività diverse dovrebbe determinare, stando ai contenuti del decreto in via di pubblicazione, la fuoriuscita del soggetto dal registro unico nazionale del terzo settore).

Se così fosse anche per i sodalizi sportivi dilettantistici, le conseguenze potrebbero essere ancor più devastanti che non per gli Enti del Terzo Settore.

E questo in ragione delle specificità che da sempre caratterizzano il comparto sportivo (certamente quello “agonistico”) che, come è noto, si finanzia facendo ricorso ad introiti aventi carattere commerciale non direttamente riconducibili alle attività ritenute “istituzionali” in una situazione di pressoché totale assenza di proventi istituzionali.

Non a caso, il legislatore della “riforma” introdotta con la L. 289/2002 ebbe modo di cogliere tale aspetto al fine di introdurre, nel comma 2 dell’articolo 149 Tuir, (disposizione rubricata “perdita della qualifica di ente non commerciale”) un’esplicita esclusione per le associazioni sportive dilettantistiche (Asd) dalla verifica dei parametri di commercialità previsti al comma 1 del medesimo articolo 149.

Disposizione che, tuttavia, non trova applicazione per le società di capitali sportive dilettantistiche (Ssd) in ragione della loro “natura” di imprese commerciali, come ribadito dalla stessa Agenzia delle entrate sin dalla circolare 21/E/2003.

Per contro, diverse considerazioni potrebbero porsi con riferimento a quelle attività “sportive” (nel senso ampio in precedenza descritto e quindi certamente ricomprendente anche la mera attività didattica), che ritraggono corrispettivi proprio dalla loro attività “istituzionale” rivolta ad associati e/o tesserati.

Per questi – dovendo ragionare in termini quantitativi – non dovrebbe essere difficile rinvenire quegli elementi di “stabilità e prevalenza” richiesti dalla norma.

Infine, un ultimo ma non meno importante elemento di riflessione, riguarda la precisa definizione delle “attività diverse” che hanno carattere “secondario e strumentale” rispetto all’attività istituzionale.

Posto che le stesse giocano un ruolo decisivo nel loro rapporto con l’attività principale, al fine di consentire al sodalizio sportivo di mantenere la qualifica sportiva dilettantistica (vedremo se sarà questa l’interpretazione data dal nuovo decreto), vi è da chiedersi se qualsivoglia provento che non sia riconducibile all’attività principale sia da considerarsi derivante da una attività “diversa”.

È il caso, ad esempio, per citare alcune entrate tipiche del comparto sportivo dilettantistico, dei contributi pubblici, piuttosto che dei proventi derivanti dalle prestazioni pubblicitarie e/o dalle sponsorizzazioni.

Così come per altre entrate, quali le erogazioni liberali o le somme raccolte in occasione di attività di raccolta fondi che, pur non tipiche di un comparto come quello sportivo dilettantistico, possono comunque in taluni casi giocare un ruolo nelle verifiche sopra descritte.

Pensando, ad esempio, a proventi tipici del comparto sportivo quali quelli riferiti alle attività connesse agli scopi istituzionali di cui al comma 2 articolo 25 L. 133/1999 viene da chiedersi come gli stessi verranno considerati ai fini sopra descritti.

Si tratta, come noto, dei due eventi all’anno nel limite dei 51.645,69 euro, strutturalmente funzionali alla manifestazione sportiva dilettantistica e rese – anche e soprattutto a terzi né associati né tesserati – in concomitanza con lo svolgimento della manifestazione stessa come, ad esempio, la somministrazione di alimenti e bevande in occasione dell’evento sportivo, la vendita di materiali sportivi, di gadget pubblicitari, di sponsorizzazioni, di cene sociali e lotterie etc..

In relazione a tali attività va ricordato che – a seguito delle indicazioni fornite dalla circolare 18/E/2018 – per i proventi opera, tanto per le associazioni che per le società di capitali sportive dilettantistiche che hanno optato per il regime forfettario di cui alla L. 398/1991, da un lato la decommercializzazione ai fini Ires mentre resta fermo l’assoggettamento ad Iva.

Orbene, questi proventi vanno considerati oppure no tra quelli derivanti dalle attività secondarie e strumentali svolte dal sodalizio?

Allo stesso modo, un contributo riconosciuto dal sodalizio sportivo a fronte dell’esercizio di una specifica attività in convenzione (la gestione dell’impianto sportivo), provento che come è noto per le associazioni sportive dilettantistiche fruisce della decommercializzazione ai fini Ires sulla base di quanto previsto dall’articolo 143, comma 3, lettera b), del Tuir ma non anche ai fini Iva, come deve essere considerato ai fini della verifica imposta dall’articolo 9 D.Lgs. 36/2021?

In conclusione: ciò che non è provento derivante dall’attività istituzionale del sodalizio sportivo dilettantistico, ma deriva da attività che si pongono in stretta connessione con essa o in diretta attuazione con le sue finalità istituzionali o che non si pongono affatto in connessione con essa, va sempre considerato derivante da attività “secondaria e strumentale” rispetto a quella istituzionale?

O potrebbe trattarsi di “altre entrate” da non considerare nella verifica dei limiti dimensionali normativamente imposti?

Se così non fosse, stante l’attuale configurazione del comparto sportivo dilettantistico, buona parte dei sodalizi sportivi avrebbe serie difficoltà a mantenere l’iscrizione al nuovo registro nazionale delle attività sportive dilettantistiche, con il risultato di non poter più godere delle specifiche agevolazioni fiscali ad essa riconducibili.

È auspicabile che queste riflessioni siano fatte proprie dal legislatore nel tempo concesso dal Decreto Sostegni per l’emanazione dei previsti decreti correttivi, al fine di apportare quelle correzioni che tengano conto delle specifiche caratteristiche che un comparto complesso e variegato come quello sportivo dilettantistico, non da oggi, presenta.