10 Febbraio 2023

La mappatura delle riserve nel bilancio 2022

di Paolo Meneghetti - Comitato Scientifico Master Breve 365
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Il tema della analisi o mappatura delle riserve si intreccia con la formazione del bilancio per l’esercizio 2022 a due livelli: da una parte è essenziale aver chiaro quali sono le caratteristiche intrinseche delle riserve per indicarle correttamente nel prospetto del patrimonio netto da inserire nella nota integrativa, dall’altra è necessario capire quale posto nella scala “gerarchica” occupa una certa riserva per non commettere errori nel suo eventuale utilizzo.

Peraltro la questione dell’utilizzo di una certa riserva piuttosto che di un’altra è di particolare attualità in questo periodo storico a causa del fatto che nel 2023 molte società decideranno di fruire della assegnazione agevolata di immobili ai soci, andando ad attribuire agli stessi determinate riserve piuttosto che altre: ebbene questa scelta, che sul piano fiscale appare libera posto che l’utilizzo prioritario di riserve di utili in luogo di quelle di capitale (articolo 47, comma 1 , ultimo periodo del Tuir) è stato disabilitato dall’articolo 1 comma 103 della Legge di Bilancio 2023 (L. 197/2022), invece sul piano civilistico è ancora soggetta a vincoli.

 

Il principio “immanente” di gerarchia delle riserve

Infatti, va sempre ricordato che la Corte di Cassazione ha sancito, con la sentenza n. 12347/1999, l’esistenza e l’operatività nel nostro ordinamento di un principio chiave, ancorché non scritto, in forza del quale le prime riserve che vanno utilizzate per l’attribuzione ai soci (ma anche per la copertura di perdite) sono quelle più disponibili, il che porta alla conclusione che l’utilizzo di riserve meno disponibili in luogo di quelle più disponibile si traduce nella nullità della delibera.

Sul punto la citata sentenza recita:

“È principio che le disponibilità delle società devono essere intaccate secondo un ordine che tenga conto del grado di facilità con cui la società potrebbe deliberare la destinazione dei soci; che il capitale sociale ha un grado di indisponibilità maggiore di quello relativo alle riserve legali, laddove le riserve statutarie e quelle facoltative create dall’assemblea sono liberamente disponibili; e che, pertanto, debbono essere utilizzati, nell’ordine, prima le riserve facoltative, poi quelle statutarie, indi quelle legali e, da ultimo, il capitale sociale.

Quest’ordine, e soprattutto la posizione finale attribuita all’utilizzazione del capitale sociale, traggono la loro ragion d’essere dal dato che il capitale rappresenta il valore delle attività patrimoniali che i soci si sono impegnati a non distrarre dalla attività di impresa e che non possono liberamente ripartirsi per tutta la durata della società. Quindi, mira non soltanto alla tutela dei soci, ma anche a quella dei terzi”.

Proprio perché l’interesse tutelato dalla gerarchia delle riserve è di terzi e non necessariamente dei soci, la delibera assembleare che decidesse l’utilizzo di riserve meno disponibili in presenza di riserve più disponibili si qualificherebbe come una delibera non semplicemente annullabile, bensì come delibera nulla.

La differenza non è di poco conto poiché la nullità può essere azionata, a norma dell’articolo 2379 cod. civ. anche da soggetti terzi rispetto ai soci e un esempio concreto è quello del creditore sociale che avendo contestato la nullità della delibera ne ottenga la revoca dei suoi effetti.

 

Le riserve indisponibili

Per quanto riguarda le caratteristiche di disponibilità o meno di una riserva, il Codice Civile non propone una analisi sistematica, bensì per talune riserve sono previste specifiche disposizioni circa l’utilizzo.

Ad esempio, nel caso della riserva costituita a fronte della valutazione al far value degli strumenti finanziari derivati (articolo 2426, punto 11 bis, cod. civ.) il grado massimo di indisponibilità è sancito esplicitamente dalla norma che afferma il divieto di utilizzo di detta riserva non solo, e ovviamente, per distribuzione ai soci, ma anche per copertura perdite.

 

Le riserve da rivalutazioni economiche e monetarie

Una riserva certamente più frequentemente esistente nel patrimonio netto è quella da rivalutazione dei beni di impresa, il cui grado di disponibilità non è così chiaramente espresso dal legislatore.

Partiamo dal presupposto che nella classica bipartizione tra riserve di utili e riserve di capitale le riserve da rivalutazione vanno considerate di utili in quanto esse non sono formate da apporti dei soci bensì da utili inespressi o latenti nel bilancio.

Sul grado di disponibilità va osservato che la riserva da rivalutazione economica ex articolo 2423 , comma 5, cod. civ. (rivalutazione da eseguirsi nei rari casi in cui la rappresentazione di una certa posta dell’attivo al costo sarebbe incompatibile con il principio di verità) si presenta come inutilizzabile per la distribuzione ai soci se non dopo aver realizzato il bene rivalutato tramite la vendita o il completamento del processo di ammortamento, ma non è disposto il divieto di utilizzo per copertura perdite.

Diversamente, il saldo attivo da rivalutazione monetaria (ultimo caso disposto dal legislatore è quello dell’articolo 110 D.L. 104/2020) non risulta affatto indistribuibile, posto che le norme di rivalutazione monetaria stabiliscono la legittima deroga alla valutazione al costo da cui deriva la possibilità di utilizzare il saldo attivo non solo per copertura perdite ma anche per distribuzione ai soci (in questo senso si veda la circolare Assonime 13/2001, par. 14).

 

La riserva da sovrapprezzo

La riserva da sovrapprezzo è trattata in modo esplicito dall’articolo 2431 cod. civ. che la definisce quale posta di patrimonio netto formata da somme percepite dalla società per aver emesso azioni o quote sopra il valore nominale.

Di regola viene versata dai nuovi soci che sottoscrivono aumenti di capitale dovendo corrispondere alla società i valori patenti (utili non distribuiti) e latenti (plusvalenze non iscritte) che sono insiti nel patrimonio sociale.

Derivando da un apporto è certamente una riserva di capitale che già in sé avrebbe un grado di disponibilità minore degli utili, ma in ogni caso è la stessa norma sopracitata a specificare una condizione di distribuibilità, cioè l’aver raggiunto la riserva legale il tetto di valore nel rapporto con il capitale sociale. Resta fermo, a parere di chi scrive, che una volta raggiunto tale tetto la riserva da sovrapprezzo è sì distribuibile (oltre che utilizzabile per aumenti di capitale sociale e copertura di perdite) ma solo in subordine dopo aver distribuito le riserve di utili.