21 Febbraio 2017

La compensazione delle spese processuali deve essere motivata

di Angelo Ginex
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A seguito delle modifiche normative apportate dall’articolo 9 D.Lgs. 156/2015 all’articolo 15 D.Lgs. 546/1992, il principio base di liquidazione delle spese processuali nel rito tributario è quello della soccombenza. Tale principio afferma che la parte soccombente è condannata al rimborso delle spese di giudizio che sono liquidate con la sentenza.

Sul punto, è recentemente intervenuta la Corte di Cassazione, con sentenza 12 gennaio 2017, n. 591, la quale ha statuito che la decisione del giudice tributario di compensare le spese processuali deve essere adeguatamente motivata, in quanto la regola base del processo tributario, ai sensi dell’articolo 15 D.Lgs. 546/1992, è quella della soccombenza.

In altri termini, i Giudici di Piazza Cavour hanno affermato tout court che il giudice tributario può statuire la compensazione delle spese di giudizio solo in caso di soccombenza reciproca oppure di gravi ed eccezionali ragioni che devono però essere espressamente motivate.

Nel caso di specie, il contribuente impugnava una cartella di pagamento con la quale l’Agente della riscossione aveva richiesto il pagamento della tassa automobilistica, oltre sanzioni, interessi e spese, deducendo l’intervenuta prescrizione triennale del credito tributario.

La Commissione tributaria provinciale di Roma accoglieva il ricorso compensando le spese processuali. Il contribuente presentava ricorso in appello, limitatamente al capo riguardante le spese, dinanzi alla competente Commissione tributaria regionale, la quale respingeva il gravame, asserendo che la decisione di compensare le spese processuali rientra tra i poteri discrezionali del giudice, il cui esercizio non richiede una esplicita motivazione. Pertanto, questi proponeva ricorso per cassazione.

La Suprema Corte, intervenendo sulla questione appena prospettata, ha osservato innanzitutto come, alla luce del rinvio generale alle norme del codice di rito di cui all’articolo 1 D.Lgs. 546/1992, trovi applicazione anche nel processo tributario l’articolo 92 c.p.c., il quale legittima la compensazione delle spese processuali, ove non sussista reciproca soccombenza, solo in presenza di gravi ed eccezionali ragioni esplicitamente indicate nella motivazione.

Inoltre, i Giudici supremi hanno evidenziato come lo stesso articolo 15 del decreto sul processo tributario sancisca il principio di soccombenza, la cui ratio risiede nella volontà di tenere indenne la parte che subisce una lesione del proprio diritto dalle conseguenze derivanti proprio da tale pregiudizio, nella ipotesi in cui essa sia costretta ad adire il giudice.

Ne deriva che la parte soccombente, intendendosi tale quella la cui domanda giudiziale sia stata respinta, anche se per motivi processuali, deve essere condannata a rimborsare le spese di giudizio che sono liquidate con la sentenza, con la conseguenza che può esserci compensazione quando non vi è un vincitore totale oppure quando, pur essendoci un vincitore totale, la resistenza in giudizio della controparte era giustificata da circostanze particolari.

Tuttavia, nel caso di specie, secondo la Corte di Cassazione è mancata qualsiasi motivazione in ordine alla statuita compensazione da parte dei giudici di appello e, pertanto, la medesima ha accolto il ricorso e cassato la sentenza impugnata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale del Lazio in diversa composizione per la regolamentazione delle spese processuali.

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Il giudizio di primo grado nel processo tributario