1 Dicembre 2018

In attesa del decreto sull’enoturismo

di Luigi Scappini
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Il Legislatore purtroppo, molto spesso, alle parole non fa seguire i fatti e, quelle che sembrano iniziative meritevoli vengono derubricate a mere parole vuote.

In tal senso depongono, ad esempio, alcuni interventi, apprezzati e accolti con indubbio favore dagli operatori del settore agricolo.

Ad esempio, l’articolo 1, comma 502 e ss., L. 205/2017, meglio nota come Legge di bilancio per il 2018, ha introdotto la disciplina dell’enoturismo, rientrante tra quelle attività che caratterizzano e fortificano un comparto, quello vitivinicolo, che sicuramente presenta un trend positivo in termini di crescita.

Al di fuori di evidenti imperfezioni tecniche, quello che lascia l’amaro in bocca è la mancata emanazione, ad oggi, del decreto ministeriale previsto al comma 504 con cui deve, da un lato, essere data piena attuazione a quanto previsto dai precedenti commi e, dall’altro, aggiungiamo noi, essere implementato, o meglio, corretto, quanto previsto con la norma primaria.

A parziale difesa del Legislatore deve essere evidenziato come, in questo caso, non sia stato previsto un termine preciso ai fini dell’emanazione della norma, di modo che, nella realtà, il limite temporale di emanazione è potenzialmente infinito.

Tale decreto deve individuare le linee guida e gli indirizzi in riferimentoai requisiti e agli standard minimi di qualità, con particolare riferimento alle produzioni vitivinicole del territorio, per l’esercizio dell’attività enoturistica”.

Nella realtà, con il decreto dovranno, a parere di chi scrive, essere corrette alcune imperfezioni o mancanze della norma primaria.  In particolare, si rende necessario ricondurre l’enoturismo alle attività connesse di cui all’articolo 2135, comma 3, cod. civ..

Attualmente, ai sensi di quanto previsto dall’articolo 1, comma 502, L. 205/2017, per enoturismo devono intendersi “tutte le attività di conoscenza del vino espletate nel luogo di produzione, le visite nei luoghi di coltura, di produzione o di esposizione degli strumenti utili alla coltivazione della vite, la degustazione e la commercializzazione delle produzioni viticole aziendali, anche in abbinamento ad alimenti, le iniziative a carattere didattico e ricreativo nell’ambito delle cantine”.

La norma non rimanda in alcun modo alle attività connesse, salvo poi prevedere, al successivo comma 503, l’applicazione delle regole specifiche stabilite dall’articolo 5 L. 413/1991 per le attività agrituristiche che, al contrario, sono espressamente contemplate nel novero di quelle connesse dall’articolo 2135, comma 3, cod. civ..

La previsione di una tassazione forfettaria di quella che viene considerata a pieno titolo quale attività commerciale, trova una propria giustificazione in una lettura sistemica del regime fiscale previsto per il mondo agricolo.

Per l’imprenditore agricolo, in particolare, sono previste 3 differenti modalità di tassazione dei redditi dallo stesso prodotti:

  • catastale;
  • forfettaria; e
  • analitica.

La riconduzione di un’attività a una metodologia di tassazione o a un’altra dipende, essenzialmente, dalla più o meno marcata connessione della stessa al fondo, elemento che seppur “declassato” con la riforma del 2001 a potenziale e non più imprescindibile, ai fini fiscali ricopre sempre un ruolo determinante.

Tuttavia, le prime due tipologie di attività agricole, per poter fruire di una tassazione di favore, richiedono comunque una espressa riconduzione nel perimetro definito dall’articolo 2135 cod. civ.; circostanza che, allo stato attuale, non è rinvenibile nell’enoturismo.

Sempre sulla falsariga del percorso intrapreso, non si può poi non evidenziare un ulteriore elemento critico della norma introdotta, dato dall’individuazione di un perimetro soggettivo di applicazione più ampio rispetto a quello stabilito per le altre attività connesse.

È di tutta evidenza come, allo stato attuale, la definizione di enoturismo lasci aperta la porta anche a coloro che nella realtà svolgono l’attività di imbottigliatori; circostanza quest’ultima, che stride con il rimando alle regole fiscali previste per l’attività agrituristica, che, si ricorda, è e rimane un’attività connessa a quella agricola con la conseguenza che è necessario, in primis, il rispetto del requisito dell’unisoggettività (e quindi che la stessa sia esercitata da un soggetto che, alternativamente, svolge in via principale la coltivazione del fondo, la selvicoltura o l’allevamento di animali).

Una volta espressamente ricondotto l’enoturismo tra le attività connesse di cui all’articolo 2135 cod. civ. (come del resto facevano le 2 proposte di legge che erano all’esame di Camera e Senato al momento dell’emanazione della Legge di Bilancio per il 2018), il problema sarà risolto in origine.

Da ultimo, si evidenzia come il decreto dovrà risolvere un’ulteriore imperfezione della Legge di Bilancio, e precisamente quella per la quale “… la commercializzazione delle produzioni viticole aziendali, anche in abbinamento ad alimenti” dovrà trovare la propria disciplina fiscale nelle previsioni di cui all’articolo 5 L. 413/1991, il quale prevede una tassazione forfettaria in misura pari al 25%.

In realtà, la vendita dei prodotti propri trova una propria disciplina di favore nello stesso articolo 32 Tuir che riconduce l’attività tra quelle che trovano copertura nel reddito agrario.

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