22 Novembre 2023

Il trasferimento di denaro dall’estero a un familiare costituisce donazione

di Gianfranco Antico
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Le liberalità diverse dalle donazioni, ossia tutti quegli atti di disposizione mediante i quali viene realizzato un arricchimento (del donatario) correlato a un impoverimento (del donante), senza l’adozione della forma solenne del contratto di donazione, tipizzato dall’articolo 769, cod. civ., e che costituiscono manifestazione di capacità contributiva, sono accertate e sottoposte a imposta in presenza di una dichiarazione circa la loro esistenza, resa dall’interessato nell’ambito di procedimenti diretti all’accertamento di tributi, se sono di valore superiore alle franchigie previste. È questo il principio espresso dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 5802/2023.

 

La tassazione delle donazioni

Come è noto, l’articolo 2, commi da 47 a 53, D.L. 262/2006, convertito con modificazioni dalla L. 286/2006, ha reintrodotto l’imposta di successione e donazione, con rimodulazione di aliquote e franchigie di esenzione a seconda del grado di parentela, trovando applicazione, in quanto compatibili, le disposizioni previste dal D.Lgs. 346/1990, nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001.

Tale D.Lgs. 346/1990, all’articolo 1, comma 1, prevede che “L’imposta sulle successioni e donazioni si applica ai trasferimenti di beni e diritti per successione a causa di morte ed ai trasferimenti di beni e diritti per donazione o altra liberalità tra vivi“, e il successivo comma 4-bis, articolo 1, D.Lgs. 346/1990, dispone che “Ferma restando l’applicazione dell’imposta anche alle liberalità indirette risultanti da atti soggetti a registrazione, l’imposta non si applica nei casi di donazioni o di altre liberalità collegate ad atti concernenti il trasferimento o la costituzione di diritti immobiliari ovvero il trasferimento di aziende, qualora per l’atto sia prevista l’applicazione dell’imposta di registro, in misura proporzionale, o dell’imposta sul valore aggiunto“.

Secondo quanto indicato nell’articolo 55, comma 1, D.Lgs. 346/1990, gli atti di donazione sono soggetti a registrazione, in termine fisso, secondo le disposizioni del D.P.R. 131/1986.

Con l’introduzione dell’articolo 56-bis nel D.Lgs. 346/1990, da parte dell’articolo 69, comma 1, lettera p), L. 342/2000, il Legislatore ha previsto una disciplina per le “liberalità diverse dalle donazioni“, quali appunto sono le liberalità “indirette“, ampio genus nel quale rientrano, e rilevano ai fini impositivi considerati dalla norma, liberalità che neppure si traducono in contratti scritti, trattandosi di meri comportamenti materiali, oppure che risultano da documenti “messi nero su bianco”, per i quali non è imposta la formalità della registrazione (c.d. donazione “informale“).

Tale norma riconosce la possibilità, per l’Amministrazione finanziaria, di accertare l’esistenza di tali liberalità (diverse dalle donazioni), in presenza di 2 condizioni:

  1. che l’attribuzione patrimoniale gratuita emerga nel corso di un’attività di controllo delle imposte sui redditi, a condizione che la natura liberale risulti da esplicite dichiarazioni rese dal contribuente;
  2. che sia superata una determinata soglia di rilevanza fiscale (oggi 180.759,91 euro, pari a 350 milioni delle vecchie lire).

Ricordiamo che le aliquote da applicare variano in ragione del rapporto di parentela:

  • a favore del coniuge e dei parenti in linea retta sul valore complessivo netto eccedente, per ciascun beneficiario, 1.000.000 di euro: 4%;
  • a favore dei fratelli e delle sorelle sul valore complessivo netto eccedente, per ciascun beneficiario, 100.000 euro: 6%;
  • a favore degli altri parenti fino al IV grado e degli affini in linea retta, nonché degli affini in linea collaterale fino al III grado: 6%;
  • a favore di altri soggetti: 8%.

 

La sentenza della Corte di Cassazione n. 5802/2023

Il caso sottoposto all’esame dei massimi giudici di legittimità, deciso con la sentenza n. 5802/2023, trae origine da un ricorso presentato da un contribuente residente in Svizzera, davanti all’allora CTP di Alessandria, avverso un avviso di liquidazione di imposta di donazione, emesso in relazione a una liberalità indiretta attuata dal fratello in suo favore, attraverso il trasferimento di una quota di patrimonio detenuta all’estero (consistente in diversi conti correnti aperti in varie banche).

I giudici di prime cure rigettavano il ricorso, ritenendo che il trasferimento posto in essere ricadesse fra le liberalità indirette sottoposte a imposta sulle donazioni di cui all’articolo 56-bis, D.Lgs. 346/1990, che il riconoscimento della franchigia di 100.000 euro era avvenuto mediante un’apposita rettifica in via di autotutela amministrativa parziale e che l’applicazione dell’aliquota ordinaria dell’8% era corretta, atteso che quella ridotta (6%) era invocabile solo nei casi di donazione indiretta registrata volontariamente.

Pronuncia confermata in appello, che rigettava il gravame, precisando che nel caso di specie oggetto di trasferimento non era direttamente un patrimonio, bensì una serie di rapporti (sia pure a contenuto patrimoniale). Da qui il ricorso di parte in Cassazione.

Per gli Ermellini, anche a seguito delle modifiche introdotte al complessivo impianto normativo delle imposte sulle successioni e donazioni, l’articolo 56-bis, D.Lgs. 346/1990 non può ritenersi implicitamente abrogato, trattandosi di disposizione che ha una propria ragion d’essere, oltre che autonomia funzionale, rispetto a quanto previsto e, per il resto, disciplinato dallo stesso D.Lgs. 346/1990.

Invero, per la Corte, la ratio legis della disciplina in tema di liberalità attuate in forme diverse da quella della donazione tipica (articolo 769, cod. civ.) “porta ad escludere che il prospettato contrasto tra vecchie e nuove norme comporti necessariamente l’implicita abrogazione delle prime, atteso che, a ben vedere, a siffatta opzione interpretativa conseguirebbe un vuoto di regole nel complessivo quadro normativo di riferimento[1].

La citata disposizione regola l’emersione di peculiari fattispecie impositive, avendo il Legislatore inteso, da un lato, incentivare l’autodichiarazione del contribuente, anche per evitare ulteriori e più onerose pretese fiscali e, dall’altro, limitare l’esercizio del potere di accertamento dell’Amministrazione finanziaria, quanto alle liberalità ivi contemplate, ancorandolo alla ricorrenza di determinati presupposti. Un diverso criterio di applicazione dell’imposta si presterebbe a prassi elusive, contrarie al principio di effettività dell’imposizione in ragione delle capacità contributive, ai sensi dell’articolo 53, Costituzione[2].

Pertanto, nel delineato contesto normativo, l’articolo 56-bis, comma 1, D.Lgs. 346/1990, va interpretato[3], nel senso che le liberalità diverse dalle donazioni (e da quelle risultanti da atti di donazione effettuati all’estero a favore di residenti), ossia tutti quegli atti di disposizione mediante i quali viene realizzato un arricchimento (del donatario) correlato a un impoverimento (del donante), tra le quali rientra il bonifico sul conto corrente, e che costituiscono manifestazione di capacità contributiva, “sono accertate e sottoposte ad imposta in presenza di una dichiarazione circa la loro esistenza, resa dall’interessato nell’ambito di procedimenti diretti all’accertamento di tributi, se sono di valore superiore alle franchigie oggi esistenti (euro 1.000.000 per coniuge e parenti in linea retta, euro 100.000 per fratelli e sorelle – ed è il caso di specie -, euro 1.500.000 per persone portatrici di handicap)”.

In quest’ottica, la differenza tra donazione diretta e donazione indiretta, pur non priva di agganci con la disciplina codicistica, si fonda su presupposti differenti, ampliandosi, nell’ambito tributario, i confini applicativi della seconda categoria.

Ed è questa la ragione per la quale, per i giudici di piazza Cavour, non rileva il pronunciamento reso a SS.UU. – sentenza n. 18725/2017 – secondo cui, in estrema sintesi, il trasferimento, attraverso un ordine di bancogiro del disponente, di strumenti finanziari dal conto di deposito titoli del beneficiante a quello del beneficiario, non rientra tra le donazioni indirette, ma configura una donazione tipica a esecuzione indiretta, soggetta alla forma dell’atto pubblico, salvo che sia di modico valore, poiché realizzato non tramite un’operazione triangolare di intermediazione giuridica, ma mediante un’intermediazione gestoria dell’ente creditizio. Risulta integrato, “nella specie, pienamente il paradigma dell’arricchimento senza corrispettivo, che si rinviene anche nelle liberalità diverse dalla donazione, cioè le liberalità atipiche risultanti da atti diversi dal contratto tipico di donazione, ma in grado di attuare effetti economici equivalenti a quelli prodotti da detto contratto, benché non rivestano la forma dell’atto pubblico (l’articolo 809, cod. civ., infatti, non richiama l’articolo 782, che prescrive l’atto pubblico per la donazione)”.

Non appare, infatti, dubitabile la sussistenza, nel caso in esame, “tanto del dato soggettivo, rappresentato dall’intenzione del donante, condivisa dal donatario, di provocare un incremento del patrimonio del soggetto beneficiario, con depauperamento del patrimonio del soggetto disponente, attuato mediante il trasferimento (tramite l’interposizione di società finanziarie ed istituti di credito) di una quota di patrimonio detenuto all’estero, quanto del dato oggettivo, rappresentato dall’effettività del trasferimento di ricchezza (14.237.478,46 di euro) sul conto riferibile al contribuente”.

Per la Corte, il fenomeno delle liberalità indirette, del resto, è certamente rilevante fiscalmente anche nell’ambito della “nuova” imposta di donazione, in quanto esso rientra nell’ampia nozione di “trasferimenti gratuiti” che il Legislatore del 2006 ha utilizzato, come si è visto, per individuare il presupposto impositivo del tributo.

Inoltre, gli Ermellini negano rilevanza, ai fini della determinazione del valore della donazione assoggettabile a tassazione, alle passività gravanti sulle consistenze patrimoniali trasferite al beneficiario, atteso che al di fuori dell’ipotesi disciplinata dall’articolo 58, comma 1, D.Lgs. 346/1990[4], le aliquote devono essere applicate al valore globale dei beni e dei diritti donati o trasferiti a titolo gratuito, ma al netto degli oneri da cui è gravato il beneficiario, in forza di quanto previsto dall’articolo 2, comma 49, D.L. 262/2006, convertito con modificazioni dalla L. 286/2006. Tuttavia, il trasferimento al fratello delle proprie disponibilità finanziarie, detenute presso istituti di credito esteri comprensive delle passività sulle stesse gravanti, non integra all’evidenza gli estremi di un modus apposto alla donazione. Ne consegue che, per esempio, quando vi è un bilancio approvato, l’Amministrazione finanziaria è vincolata al valore del patrimonio netto da questo risultante e non può procedere a un’autonoma valutazione del valore complessivo dei beni e dei diritti appartenenti alla società al netto delle passività – salvo che non denunci (motivatamente) la inattendibilità delle poste di bilancio[5].

Così come è infondata la pretesa di applicazione di un’aliquota (6 o 7%) inferiore a quella ordinaria dell’8%, atteso che soltanto nel caso in cui il contribuente abbia provveduto alla registrazione spontanea, e non anche allorquando la registrazione sia avvenuta, come nel caso di specie, d’ufficio, trovano applicazione le aliquote sopra indicate. Per le fattispecie di liberalità imponibili, l’aliquota da applicare è, invece, quella dell’8%, che costituisce attualmente la percentuale massima prevista dalla legge, a prescindere dal rapporto di parentela del beneficiario, così da mantenere la funzione latamente sanzionatoria contemplata dal Legislatore[6].

 

Il contratto di donazione

La donazione, disciplinata dall’articolo 769, cod. civ. è il contratto con il quale, per spirito di liberalità, il donante arricchisce il donatario, disponendo a favore di questi di un suo diritto o assumendo verso lo stesso un’obbligazione. Contratto che si conclude per atto pubblico, alla presenza di 2 testimoni.

Nel contratto di donazione è possibile apporre c.d. “condizioni” od “oneri”, per soddisfare alcune specifiche esigenze. La donazione è un atto soggetto a revocazione, per alcune cause tassative: per ingratitudine del donatario ovvero per sopravvenienza di figli da parte del donante.

Diversamente, le donazioni indirette, come visto, sono gli atti che producono gli effetti economici propri della donazione, pur non essendo compiuti secondo le regole sopra viste. Esempi classici sono il pagamento del debito altrui, il contratto a favore di terzo, l’accollo del debito altrui, la vendita a prezzo irrisorio, l’acquisto di un immobile a favore del figlio.

 

I 2 aspetti della donazione: diretta e indiretta

I 2 aspetti della donazione – diretta e indiretta – sono stati sostanzialmente visitati dall’Agenzia delle entrate, attraverso la risposta a interpello n. 366/E/2022 (nello specifico del quesito posto, l’istante intendeva donare a un terzo una somma di denaro all’esclusivo scopo di consentire a detto beneficiario di acquistare un determinato immobile abitativo).

L’Agenzia delle entrate ribadisce che, nelle liberalità “indirette“, l’operazione di donazione non ha i requisiti formali prescritti dal codice civile per la donazione, e che lo scopo donativo, consistente nell’arricchimento del donatario per spirito di liberalità e conseguente depauperamento del donante, può risultare infatti anche da un negozio diverso dalla donazione “tipica“.

In questo contesto, come visto, l’articolo 1, comma 4-bis, D.Lgs. 346/1990, tassa anche le donazioni “indirette“, risultanti da atti soggetti a registrazione diversi dal contratto di donazione, salvo l’eccezione prevista, relativa al trasferimento di diritti immobiliari o aziende, dove la donazione “indiretta” collegata all’atto di trasferimento non è soggetta a imposta di donazione, in quanto si applica la sola tassazione prevista, ai fini dell’imposta di registro, in misura proporzionale, o dell’Iva, per l’atto di trasferimento collegato dal quale essa risulta.

Riguardo alle liberalità “indirette“, l’Agenzia delle entrate richiama quanto già espresso nella circolare n. 207/E/2000, che ha chiarito che esse costituiscono, in sostanza, atti di disposizione, non formalizzati in atti pubblici, che perseguono le stesse finalità delle donazioni tipiche. Tale documento di prassi precisa, inoltre, che per tutti gli acquisti immobiliari finanziati da terzi è possibile dichiarare in atto che il pagamento è avvenuto a cura del soggetto donante, così da consentire alle famiglie di rendere trasparenti i loro rapporti economici (ad esempio, la dazione di denaro dal padre al figlio ovvero il pagamento del relativo prezzo da parte del padre per l’acquisto di un immobile). Ai fini dell’esenzione in esame, la recente circolare n. 12/E/2021 ha ribadito che è necessaria la presenza del nesso tra la donazione del denaro e l’acquisto dell’immobile[7]. In caso di totale assenza o mancanza di prova di tale nesso, non può dirsi integrata la fattispecie della donazione indiretta. Quest’ultima può essere considerata come collegata a un atto di trasferimento immobiliare solo qualora l’atto di liberalità venga espressamente enunciato nell’atto stesso. Quindi, l’esenzione è riconosciuta nelle ipotesi in cui la donazione o altra liberalità, non formalizzata in atti pubblici, sia collegata a un trasferimento immobiliare soggetto a Iva o registro e in esso enunciata[8].

Diversamente, nella fattispecie prospettata, oggetto di risposta a interpello n. 366/E/2022, la donazione della provvista finalizzata all’acquisto dell’immobile da parte del donatario, viene formalizzata con apposito separato atto pubblico notarile, antecedente alla stipula del contratto di compravendita immobiliare, realizzando una donazione diretta. Pertanto, non si ravvisano in tale caso le caratteristiche della donazione “indiretta“, che come sopra indicato è rappresentata da quelle attività o atti giuridici che producono il depauperamento del patrimonio del donante e il corrispondente arricchimento del donatario attraverso atti diversi dal vero e proprio contratto di donazione. In quanto tale, lo stipulando atto di donazione è fiscalmente rilevante e, dunque, da assoggettare all’ordinaria disciplina prevista fini dell’imposta di successione e donazione dall’articolo 2, comma 47 e ss., D.L. 262/2006 e dal D.Lgs. 346/1990.

 

Brevi note finali

Trasferimento di valori mobiliari di cospicuo valore, bonifici bancari non di modico valore, cointestazione del conto con firma disgiunta di una somma di denaro proveniente dal conto di uno dei 2 intrattenuto presso la stessa o altra banca, esborsi di denaro per ripianamenti di debiti societari di cui sono soci solo i figli, etc. sono tutte operazioni confinate nella donazione indiretta.

La recente sentenza della Cassazione da cui si sono prese le mosse, la n. 5802/2023, nel ripercorrere le regole per la tassazione delle liberalità indirette, che spesso sfuggono alla tassazione, ha confermato, di fatto, che l’articolo 56-bis, D.Lgs. 346/1990 – che detta una particolare disciplina per l’accertamento delle liberalità indirette nell’ambito dell’imposta sulle donazioni – non può ritenersi implicitamente abrogato dal nuovo quadro giuridico, determinatosi con la reintroduzione dell’imposta di successione e donazione, anche perché ciò provocherebbe un vuoto normativo. E per questo, la Corte, effettuando una interpretazione di adeguamento della norma, ritiene che le liberalità indirette “sono accertate e sottoposte ad imposta” con l’aliquota più elevata tra quelle oggi vigenti (ovvero 8%) “in presenza di una dichiarazione circa la loro esistenza, resa dall’interessato nell’ambito di procedimenti diretti all’accertamento di tributi, se sono di valore superiore alle franchigie oggi esistenti”. Invece, se registrate volontariamente sono sottoposte alle ordinarie aliquote e franchigie.

In senso conforme si è attestata sempre la Corte di Cassazione. Infatti, oltre alle pronunce richiamate nel corpo della sentenza n. 5802/2023, va rilevata la n. 28047/2020, secondo cui per le fattispecie di liberalità imponibili, l’aliquota da applicare è quella dell’8%, che costituisce attualmente la percentuale massima prevista dalla legge, a prescindere dal rapporto di parentela del beneficiario, “così da mantenere la funzione latamente sanzionatoria contemplata dal Legislatore (l’aliquota del 7% non esiste più e non appare coerente “mescolare” tra loro aliquote e franchigie vecchie e nuove)”.

[1] Cassazione n. 735/2022.

[2] Cassazione n. 634/2012 e n. 15144/2017.

[3] Cassazione n. 27665/2020.

[4]Gli oneri da cui è gravata la donazione, che hanno per oggetto prestazioni a soggetti terzi determinati individualmente, si considerano donazioni a favore dei beneficiari”.

[5] Cassazione n. 6915/2003, n. 11998/2003 e n. 23462/2007.

[6] Cfr., in tal senso, Cassazione n. 27665/2020 e. n. 735/2022.

[7] Cfr. Cassazione n. 13133/2016.

[8] Come affermato anche dalla Corte di Cassazione, SS.UU., già con sentenza n. 9282/1992, “nell’ipotesi di acquisto di immobile con denaro proprio del disponente e di intestazione dello stesso ad altro soggetto, che il disponente ha inteso in tal modo beneficiare, costituendo la vendita mero strumento formale di trasferimento della proprietà del bene per l’attuazione di un complesso procedimento di arricchimento del destinatario del detto trasferimento, si ha donazione indiretta non già del denaro ma dell’immobile, poiché secondo la volontà del disponente alla quale aderisce il donatario, di quest’ultimo bene viene arricchito il patrimonio del beneficiario“.

 

Si segnala che l’articolo è tratto da “Patrimoni, finanza e internazionalizzazione.