23 Giugno 2023

Il documento di valutazione rischi e lo sport dilettantistico

di Francesco ScrivanoGuido Martinelli
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La prossima entrata in vigore del D.Lgs. 36/2021 determina un radicale cambiamento della disciplina in materia di “lavoro sportivo”, che produce, per quanto di nostro interesse oggi, difficoltà interpretative ed operative nel coordinamento della novella con le molteplici normative poste a tutela del lavoratore, che non tengono invece conto della specificità del lavoro sportivo riconosciuta sia dall’articolo 5 della legge delega (L. 86/2019) che dal già citato decreto delegato.

L’introduzione normativa di una categoria unica di “lavoratore sportivo”, autonomo, subordinato o parasubordinato, superando la previgente distinzione tra professionismo e dilettantismo e la qualificazione avversata dalla Cassazione ma comunque assai diffusa di reddito diverso, produce che, fermi i prestatori dotati di partita Iva, che svolgono le loro prestazioni in autonomia producendo un reddito di lavoro autonomo, tanto i lavoratori subordinati dello sport quanto i co.co.co. di cui all’articolo 28 e 37 D.Lgs. 36/2021 produrranno redditi di lavoro subordinato o agli stessi parificato e non più redditi diversi.

Questa nuova qualificazione dei rapporti determina, inevitabilmente, diverse implicazioni sul piano operativo, ossia l’ammontare degli obblighi normativi a cui sono sottoposte le ASD e le SSD affinché le stesse si possano considerare in regola.

Una prima difficoltà riguarda il coordinamento della nuova disciplina dello sport con il D.Lgs. 81/2008 in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, in particolare con la valutazione dei rischi a cui è tenuto il datore di lavoro.

In altre parole, se teniamo in considerazione che per lavoratore sportivo, a norma dell’articolo 25 D.Lgs. 36/2021 s’intende anche “l’atleta, l’allenatore, l’istruttore, il direttore tecnico, il direttore sportivo, il preparatore atletico e il direttore di gara”, effettuare in concreto una valutazione dei rischi, ossia una “valutazione globale e documentata di tutti i rischi per la salute e sicurezza dei lavoratori presenti nell’ambito dell’organizzazione in cui essi prestano la propria attività, finalizzata ad individuare le adeguate misure di prevenzione e di protezione e ad elaborare il programma delle misure atte a garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di salute e sicurezzarappresenta una criticità di non poco conto all’interno degli ambienti sportivi.

Invero, i rischi a cui sono sottoposti gli atleti o comunque i soggetti che dello sport ne fanno un mestiere sono ontologicamente opposti e diversi rispetto a quelli che si configurano all’interno di un’azienda “tradizionale”, in quanto si potrebbe considerare che l’infortunio, si pensi ad una slogatura, una frattura o semplicemente ad una tendinite, sono in qualche modo intrinseci all’attività sportiva stessa ed accettati come normali da parte di chi la pratica (quello che in teoria si definisce il rischio consentito).

In altre parole, il soggetto che pratica sport in qualche modo si assume – tacitamente – il totale rischio di incorrere in un infortunio derivante dallo svolgimento dell’attività stessa, non soltanto nello svolgimento in senso stretto, ossia nell’esercizio individuale dello sport, ma anche in caso di attività svolta con un altro soggetto, o in gruppo, ad esempio un infortunio può essere arrecato da un compagno di squadra, oppure in una competizione dall’avversario.

Allo stesso modo dicasi per gli allenatori, gli istruttori e i tecnici. Fino ad oggi lo spartiacque è stato il rispetto delle norme tecniche della disciplina sportiva praticata: sarà ancora questa la chiave di lettura dei futuri infortuni risarcibili?

In un simile contesto adeguare un obbligo di valutazione dei rischi, nonché adottare specifici DPI (dispositivi di protezione individuale) e misure atte a ridurre l’incorrere della verificazione di infortuni, per certi versi, appare piuttosto complesso, ma comunque imposto dalla normativa di Legge.

Anche qui saranno sufficienti le protezioni previste dai regolamenti federali?

Non soltanto in termini operativi, ma anche e soprattutto in termini economici, si pensi al premio Inail a cui saranno sottoposte le Asd e Ssd, nonché, vista la frequenza di interruzione dell’attività lavorativa di un atleta dovuta ad infortuni (si pensi banalmente ad un atleta di pugilato o kickboxing, o ancora di ginnastica artistica), ciò comporterà notevoli oneri anche in capo agli stessi Enti assicurativi privati.

Ma al di là di queste considerazioni, il vero fulcro della questione si riconduce ad una semplice domanda: in che modo può adeguarsi una Asd e Ssd alla normativa sulla sicurezza del lavoro?

Le considerazioni, a questo punto, sono molteplici.

In un’ottica di iniziale valutazione è necessario individuare e circoscrive nell’ambito sportivo la definizione di infortunio, ossia quale “lesione originata, in occasione di lavoro, da causa violenta che determini la morte della persona o ne menomi parzialmente o totalmente la capacità lavorativa”. Questa definizione può essere applicata nel mondo dello sport?

E ancora, sulla definizione di rischio, quale soglia di tollerabilità si può applicare nello svolgimento del lavoro sportivo?

Analogamente avviene per le misure di protezione e di prevenzione che le Asd e Ssd dovranno adottare al fine di ridurre il rischio, così inteso, di infortunio o malattia professionale, nonché nell’inquadrare e circoscrivere la responsabilità a cui sono tenuti a rispondere i datori di lavoro.

Tali aspetti necessiterebbero, peraltro, anche di una presa di posizione da parte del dipartimento per lo sport presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Coni e delle Federazioni nazionali (oltre che degli Enti di base), ponderata sulle singole attività sportive e sui Regolamenti che ne governano le funzioni, ciò in quanto il rischio insito nell’attività dovrà essere valutato in base ai canoni cui i rispettivi praticanti si ispirano e che sono approvati dagli enti pubblici di governo e controllo del sistema stesso.