29 Settembre 2015

Il corrispettivo si sgancia dal valore dichiarato

di Alessandro Bonuzzi
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L’articolo 5, comma 3, del Decreto crescita ed internazionalizzazione (D.Lgs. n.147/2015) contiene una norma di interpretazione autentica ai fini delle imposte dirette e dell’Irap secondo cui l’esistenza di un maggior corrispettivo derivante dalla cessione di un immobile, una azienda od un diritto reale sugli stessi beni, non può essere presunto soltanto sulla base del valore dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro, ipotecaria o catastale.

L’obiettivo è quello di dirimere una questione su cui si è acceso un forte contrasto non solo tra l’Agenzia delle entrate e la dottrina ma anche all’interno della stessa Cassazione.

L’ambito di applicazione della novella normativa riguarda:

  • le cessioni di immobili (sia fabbricati che terreni, a prescindere che gli stessi siano suscettibili di essere edificate o meno);
  • le cessioni di aziende;
  • la costituzione e il trasferimento di diritti reali su immobili o aziende.

Essa di fatto rende più difficili le contestazioni dell’Amministrazione finanziaria in relazione a:

  • specifiche poste del reddito ai fini delle imposte dirette. Il riferimento è agli articoli 58 (plusvalenze per imprenditori e società soggetti Irpef), 68 (plusvalenze nell’ambito dei redditi diversi), 85 (ricavi per imprenditori soggetti Ires) e 86 (plusvalenze patrimoniali per imprenditori soggetti Ires) del Tuir;
  • il valore della produzione ai fini Irap. In questo caso il riferimento è agli articoli 5, 5-bis, 6 e 7 D.Lgs. 446/1997.

In particolare, il dettato normativo è il seguente.

Art.5, comma 3, D.Lgs. n.147/2015 – G.U. n.220 del 22 settembre 2009

3. Gli articoli 58, 68, 85 e 86 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e gli articoli 5, 5-bis, 6 e 7 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, si interpretano nel senso che per le cessioni di immobili e di aziende nonché per la costituzione e il trasferimento di diritti reali sugli stessi, l’esistenza di un maggior corrispettivo non è presumibile soltanto sulla base del valore dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131 , ovvero ai fini delle imposte ipotecaria e catastale di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 347”.

Occorre precisare che la nuova disposizione si limita ad evitare ogni tipo di automatismo accertativo secondo cui il maggior valore dichiarato ai fini dell’imposta di registro, ipotecaria o catastale possa costituire di per sé una prova autosufficiente per la rideterminazione al rialzo del valore del corrispettivo.

Pertanto, non sarà più possibile un accertamento fondato unicamente sulla differenza tra valore e corrispettivo.

Tuttavia, si deve ancora ritenere legittimo un accertamento fondato, sia sulla differenza tra valore e corrispettivo, sia su altre evidenze quali un chiaro comportamento antieconomico assunto dal cedente oppure un mutuo richiesto da parte dell’acquirente in misura superiore rispetto all’ammontare del corrispettivo.

Per quanto riguarda la decorrenza, sembra pacifico ritenere che la novella legislativa abbia valenza retroattiva. Ne deriva che la stessa dovrebbe avere effetto non solo per le transazioni future aventi ad oggetto immobili ed aziende, ma anche per quelle avvenute prima della relativa pubblicazione in Gazzetta Ufficiale per le quali siano ancora pendenti contestazioni (avvisi di accertamento da impugnare) oppure giudizi tributari. Diversamente, la norma non abbraccia le transazioni per le quali è stata emessa una sentenza sfavorevole passata in giudicato.

La tesi che porta a qualificare la norma come norma di interpretazione autentica si basa sulle seguenti considerazioni:

  • l’utilizzo nel testo della formulazione “… si interpretano nel senso che …”;
  • le affermazioni contenute nell’audizione al Senato – del 19 maggio scorso – della Direttrice dell’Agenzia delle entrate, ove si descrive l’intervento come norma di interpretazione autentica;
  • il fatto che il legislatore non abbia stabilito una decorrenza specifica, a differenza di altre norme introdotte dal medesimo decreto legislativo.