28 Maggio 2015

Il conto corrente in Italia non fa stabile organizzazione

di Fabio Landuzzi
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La Commissione Tributaria Provinciale di Forlì con la sentenza n.560/1/2014, ha affrontato il caso di un accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate con cui si contestava ad una persona fisica di incorporare la presenza in Italia di una stabile organizzazione di un soggetto di diritto estero, con conseguente imputazione alla medesima presunta struttura di una determinata porzione del reddito realizzato da attrarre a tassazione in Italia.

Da quanto emerge dalla lettura della sentenza citata, la vicenda prende le mosse dal fatto che una persona fisica, socio ed amministratore di una società estera operante nel settore della vendita di pacchetti turistici in uno Stato estero, aveva aperto in Italia un conto corrente bancario intestato alla stessa società estera in cui affluivano i pagamenti effettuati da una parte dei clienti che avevano acquistato i pacchetti turistici proposti dalla società stessa.

A seguito di una verifica fiscale, veniva contestato che la persona costituisse di fatto una “stabile organizzazione personale” in Italia della società estera ai sensi e per gli effetti di cui all’art.162 del Tuir, in quanto si riteneva sussistessero sufficienti evidenze perché tale persona svolgesse l’attività di agente dipendente della società estera, gestendo in sua rappresentanza in Italia l’attività caratteristica di tale impresa: ovvero, potesse concludere abitualmente i contratti di vendita con i clienti e riscuotere i proventi derivanti da tale attività di vendita di pacchetti turistici.

La CTP di Forlì, preso atto delle considerazioni sviluppate dalla parte di ricorrente e degli elementi prodotti nel giudizio, ha invece accolto il ricorso escludendo che l’attività svolta dalla persona fisica in Italia potesse incorporare una stabile organizzazione personale dell’impresa estera; bensì, è stato riconosciuto che trattasi di attività che conservano il carattere “ausiliario e preparatorio” tale da escludere la configurazione di una stabile organizzazione e quindi di un centro di profitto in Italia.

Gli elementi che hanno indotto i Giudici forlivesi a questa conclusione sembrano essere stati essenzialmente i seguenti:

  • Il periodo estremamente breve di permanenza in Italia della persona fisica, così come dimostrato dalla documentazione esibita nel giudizio.
  • Il fatto che l’impiego di un conto corrente in Italia da parte della società estera fosse giustificato da una più efficiente attività di controllo dei pagamenti dei clienti; infatti, era stato dimostrato che l’attività svolta si limitava ad una mera verifica della correttezza dei pagamenti (avendo l’impresa estera riscontrato nel passato diverse criticità nella fase di riscossione) eseguiti dai clienti, tanto che una volta esaurito il controllo i fondi venivano trasferiti all’estero nella disponibilità diretta in loco della società titolare del business, il che avvalorava la natura ausiliaria dei servizi che venivano compiuti in Italia.
  • L’assenza di prove riguardo all’effettivo esercizio in Italia del potere della persona di negoziare e concludere contratti con i clienti finali della società.
  • Estrema esiguità ed inadeguatezza della composizione della presunta stabile organizzazione che, nella ricostruzione dei verificatori, pare essere composta solo da una persona – peraltro presente in Italia per un periodo di tempo molto limitato – e da un conto corrente bancario.
  • L’assenza di un’adeguata motivazione di supporto riguardo alla quantificazione del reddito imponibile che, nell’accertamento, veniva imputato alla contestata stabile organizzazione in Italia dell’impresa estera.