29 Ottobre 2018

Fondo patrimoniale e sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte

di Angelo Ginex
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La costituzione di un fondo patrimoniale, cui venga conferita la sola nuda proprietà di un immobile, integra il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, poiché tale circostanza, palesando che l’utilità del conferimento è tutta a favore dell’usufruttuario, e non dei bisogni della famiglia, dimostra che la creazione del patrimonio separato è finalizzata a sottrarre, in tutto o in parte, le garanzie patrimoniali alla riscossione coattiva del debito tributario. È questo il principio di diritto propugnato dalla Corte di Cassazione, con sentenza n. 41704 del 26.09.2018.

La controversia sottoposta all’esame dei giudici di legittimità riguardava un presunto comportamento fraudolento posto in essere da un contribuente, il quale, successivamente alla notifica di tre avvisi di accertamento, costituiva un fondo patrimoniale, conferendo in esso la nuda proprietà di due beni immobili.

Il Tribunale di Siena emetteva una sentenza di condanna nei confronti del reo, comminandogli la pena di quattro mesi di reclusione e disponendo la confisca della nuda proprietà degli immobili conferiti.

Il contribuente, dopo aver inutilmente impugnato tale pronuncia innanzi alla Corte d’appello di Firenze, decideva di ricorrere in Cassazione, articolando la propria difesa in tre differenti motivi:

  • in primo luogo, deduceva l’insussistenza dell’elemento oggettivo del reato, ritenendo che la costituzione del fondo patrimoniale non è atto idoneo a rendere inefficace, integralmente o parzialmente, la riscossione coattiva delle imposte, stante l’impossibilità di ritenere il suddetto atto fraudolento;
  • in secondo luogo, affermava la mancanza dell’elemento psicologico del reato, poiché il reo non avrebbe avuto l’intenzione specifica di sottrarsi al pagamento delle imposte;
  • infine, contestava la confisca dei beni immobili, adducendo che questi non potevano essere qualificati sia come corpo sia come profitto del reato.

La Suprema Corte ha affrontato le succitate questioni in maniera chiara e precisa, effettuando prima una ricognizione teorica della fattispecie criminosa descritta dall’articolo 11 D.Lgs. 74/2000.

La norma testé richiamata sanziona chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di interessi o sanzioni amministrative ad esse inerenti, per un importo complessivo superiore a cinquantamila euro, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni, idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la riscossione coattiva.

L’oggetto giuridico protetto dalla disposizione esaminata non è il diritto di credito del Fisco, ma la garanzia patrimoniale generica ex articolo 2740 cod. civ., stante la configurabilità della condotta criminosa anche nella ipotesi in cui, dopo il compimento dell’atto fraudolento, avvenga comunque il pagamento dell’imposta.

Il comportamento tenuto dal ricorrente, secondo l’opinione dei giudici di Piazza Cavour, rientra fra “gli altri atti” descritti dall’articolo 11 citato, essendo questo inciso interpretabile come una clausola residuale che intende punire tutte quelle operazioni che, pur non rientrando nel novero delle alienazioni simulate, nonostante la loro legittimità formale, alterano la rappresentazione della realtà percepita dai terzi, mettendo a repentaglio o rendendo più difficoltosa la riscossione delle imposte.

D’altro canto, essendo questo un reato di pericolo concreto, perché si possa addivenire ad una condanna occorre che venga dimostrata la potenziale lesione delle ragioni dell’Amministrazione finanziaria, in ossequio al principio di offensività.

Nel caso di specie, il conferimento in fondo patrimoniale della sola nuda proprietà dei due beni immobili integra una condotta censurabile ai sensi dell’articolo 11 D.Lgs. 74/2000 sia perché rende più difficoltosa l’esecuzione (l’articolo 170 cod. civ. esclude l’esecuzione relativamente ai debiti che il creditore conosceva non essere stati contratti per scopi attinenti ai bisogni della famiglia) sia perché, riguardando non l’intera proprietà ma solo una parte del diritto dominicale, esso non porta alcun vantaggio a favore dei destinatari del fondo patrimoniale, sicché è evidente la natura fittizia e fraudolenta del congegno negoziale, attuato dopo che il contribuente ha avuto contezza delle pretese tributarie a suo carico.

Per quanto concerne il secondo motivo di ricorso, la Cassazione ha suffragato le conclusioni dei giudici di seconde cure, sostenendo che la competente Corte d’appello ha correttamente applicato la norma, ritenendola a dolo specifico e indicando tutte le circostanze di fatto necessarie per stabilire l’esistenza del fattore psicologico de quo.

Da ultimo, la Suprema Corte ha ritenuto infondato anche il motivo attinente alla confisca per equivalente, istituto previsto dall’articolo 240 c.p.: il profitto del reato, infatti, altro non è che la riduzione simulata o fraudolenta del patrimonio del contribuente, e non il debito tributario inadempiuto.

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