18 Maggio 2016

Finanziamento infruttifero: dietrofront della Cassazione

di Pietro Vitale
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In un precedente intervento si era osservato come la Cassazione, sezione V, nella sentenza 17.07.2015 n. 15005, aveva ritenuto non ricorrere una ipotesi di transfer pricing nei casi di finanziamenti infruttiferi.

La medesima sezione V della Cassazione, con la sentenza 15.04.2016, n. 7493, ritorna sui suoi passi negando la precedente sentenza ed affermando la possibilità di sindacare la non applicazione di interessi attivi su versamenti in conto futuro aumento di capitale, riqualificati come finanziamenti, a favore di controllate estere qualora non sia rispettata la ratio della norma dell’articolo 110, comma 7, TUIR.

Per la Cassazione tal ratio legisva rinvenuta nel principio di libera concorrenza enunciato nell’articolo 9 del Modello di Convenzione OCSE”, secondo cui la valutazione “in base al valore normale” prescinde dalla capacità originaria dell’operazione di produrre reddito e, quindi, da qualsivoglia obbligo negoziale delle parti attinente al pagamento del corrispettivo (cfr. Linee guida OCSE sui prezzi di trasferimento per le imprese multinazionali e le amministrazioni fiscali, paragrafo 1.2). Si tratta, infatti, di esaminare la sostanza economica dell’operazione intervenuta e confrontarla con analoghe operazioni realizzate, in circostanze comparabili, in condizioni di libero mercato tra soggetti indipendenti e valutarne la conformità a queste (cfr., sui criteri di individuazione del valore normale, Cass. n. 9709 del 2015): pertanto, la qualificazione di infruttuosità del finanziamento, eventualmente operata dalle parti (sulle quali incombe il relativo onere probatorio, dato il carattere normalmente oneroso del contratto di mutuo, ai sensi dell’art. 1815 c.c.), si rivela ininfluente, essendo di per sé inidonea ad escludere l’applicazione del criterio di valutazione in base al valore normale.

Questo nuovo orientamento dovrebbe valere solo per quei finanziamenti cross-border a cui, come noto, si rende applicabile l’articolo 110, comma 7, TUIR (che prevede la loro remunerazione a valore normale). Non sono, tuttavia, noti gli atti delle sentenze che hanno portato a riqualificare i versamenti in conto capitale in finanziamenti; si legge nella C.T.R. Milano 22.3.2007 n. 38/11/07 che, per il versamento in conto futuro aumento capitale, “la diversa denominazione riportata nella contabilità delle controllate estere sarebbe dipesa dalla non previsione di tale classificazione nella normativa dei rispettivi Paesi”; sembra, pertanto, che anche tale elemento sia stato rilevante a tali fini.

A ben vedere l’orientamento della Cassazione rispecchia il concetto di abuso del diritto di cui al nuovo articolo 10-bis D.Lgs. n. 212/2000, in base al quale configurano abuso del diritto le operazioni:

  • da cui consegue un vantaggio fiscale indebito;
  • prive di sostanza economica;
  • ove il vantaggio fiscale perseguito non sia marginale.

Un vantaggio è indebito se viola la ratio della norma che doveva invece essere applicata. Se il vantaggio non è indebito non è necessario verificare le altre condizioni. Per la Cassazione, negli apporti di capitale da riqualificare come finanziamento, è applicabile l’articolo 110, comma 7, del TUIR la cui ratio, come detto, è da ricercare nell’articolo 9 del Modello di Convenzione OCSE (sempre applicabile in Italia ai rapporti intercompany). Nel caso di specie il vantaggio fiscale potrebbe essere illecito se, secondo le regole del valore normale in tema di prezzi di trasferimento, un determinato apporto di denaro alla controllata estera (o sotto forma di finanziamento a tasso zero o sotto forma di versamento in conto capitale) doveva – invece – essere remunerato con un congruo tasso di interesse.

Anche volendo ammettere che vi è un vantaggio indebito in quanto un trasferimento di denaro non remunerato a favore della propria controllata non è in linea con l’articolo 9 del Modello OCSE, occorre che anche gli altri due requisiti siano soddisfatti, ossia mancanza di sostanza economica e non marginalità del vantaggio fiscale perseguito.

La recente circolare n. 6/E/2016, in tema di leveraged buy out, richiama i paragrafi 1.64-1.67 delle linee guida sui prezzi di trasferimento, al fine di legittimare la riqualificazione (in quella sede) di un finanziamento in versamento in conto capitale (al fine di disconoscere la deducibilità degli interessi passivi dello special purpose veichle) qualora, dalle clausole contrattuali del cd. financial package con terzi finanziatori (tipicamente le banche), si evinca (ad esempio dai financial covenants, dalla  postergazione) una sostanziale equiparazione del finanziamento intercompany con apporti patrimoniali. In tale sede l’analisi della sostanza economica dell’operazione e della non marginalità del vantaggio fiscale sono di più immediata comprensione (la target, infatti, viene acquisita interamente a debito). Viceversa, nella maggior parte delle ipotesi non dovrebbe potersi avere una riqualificazione dell’operazione nel senso più favorevole all’Amministrazione finanziaria; infatti, come detto, occorre verificare il rispetto di tutte e tre le sopra citate condizioni.

Tra l’altro, se proprio fosse possibile, la riqualificazione dovrebbe passare per le regole sulla corretta attribuzione del “free capital” (ossia il capitale sociale teorico che dovrebbe avere una stabile organizzazione) alla stabile organizzazione sulla base dell’authorised OECD Approach (AOA). Si ricorda che a livello OCSE il principio generale è rappresentato dal fatto che la stabile organizzazione debba avere sufficiente “free capital” per supportare le funzioni, gli assets e i rischi ad essa attribuiti. A tali fini, è posta particolare enfasi al metodo con cui tale “free capital” debba essere attribuito per evitare o minimizzare una doppia tassazione od ancora non avere nessuna tassazione. Per una prima applicazione a livello interno delle regole del “free capital” si veda anche la risoluzione n. 44/E/2006.

Le regole del “free capital”, applicabili alle stabili organizzazioni, non sarebbero invece di immediata applicazione tra due entità costitute sotto forma di società, tra le quali devono semplicemente essere rispettate le regole del transfer pricing tout court. Certo! Se la controllata estera ha un profilo funzionale scarno (ad esempio un agente ovvero un low risk/stripped distributor) occorrerebbe giustificare il perché si procede a metterle a disposizione somme di denaro non remunerate – capitalizzandola oltremodo o finanziandola a tasso zero-  anziché finanziarla con un congruo tasso di interesse (somme di denaro magari inutilizzate a causa dello scarno profilo funzionale).

Questi principi OCSE, non potrebbero tuttavia essere applicati ai finanziamenti (o a maggior ragione a versamenti in conto capitale) tra due società italiane, con la conseguenza che da un punto di vista squisitamente fiscale una società italiana potrebbe capitalizzare a proprio piacimento un’altra società controllata sempre residente in Italia.

Tra società italiane non si può riqualificare un’operazione genuina che nasce civilisticamente come un apporto patrimoniale in una operazione avente natura reddituale, soprattutto in relazione ai soggetti che applicano i principi contabili nazionali per i quali valgono, ai sensi dell’articolo 83 del TUIR, le qualificazioni giuridico-formali dell’operazione.

Anche l’Associazione italiana Dottori Commercialisti, con la Norma di comportamento 03/2016 n. 194, ha ribadito che è pienamente legittimo effettuare un versamento in conto capitale e la presunzione di cui all’articolo 46 e 89 del TUIR serve a distinguere i versamenti effettuati a titolo di mutuo (fruttifero o infruttifero) da quelli effettuati a titolo diverso (tipicamente ad incremento del patrimonio netto). A tali fini, l’AIDC ribadisce che per provare che trattasi di un mutuo – ex articolo 1815 cod. civ. – i mezzi di prova possono ad esempio essere:

  • scambio di corrispondenza, anche in forma elettronica;
  • atto pubblico;
  • scrittura privata in qualunque forma;
  • delibera assembleare o dell’organo amministrativo;
  • copia ordini di bonifico con causale “finanziamento infruttifero soci” o similare e/o estratti conto bancari che evidenziano analoghe causali;
  • informativa di bilancio.