24 Luglio 2023

False fatture: l’utilizzatore può ravvedersi

di Arianna Semeraro
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La scheda di FISCOPRATICO

L’utilizzatore delle false fatture beneficia della causa di non punibilità di cui articolo 13, comma 2, D.Lgs. 74/2000 anche quando si sia ravveduto dopo essere venuto a conoscenza dell’avvio di un’attività accertativa nei confronti dell’emittente.

Queste le conclusioni evidenziate dai giudici della Suprema corte nella sentenza n. 26274 depositata lo scorso 19 giugno.

La vicenda trae origine dal ricorso presentato dalla Procura contro una sentenza di assoluzione che aveva assolto un soggetto imputato per il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti, avendo riconosciuto l’applicazione della causa di non punibilità di cui all’articolo 13, comma 2, D.Lgs. 74/2000.

Il ricorrente, giunto dinanzi alla Suprema Corte, lamentava l’erronea applicazione di tale disposizione da parte dei giudici di merito in quanto l’imputato aveva provveduto al ravvedimento operoso solo dopo essere stato chiamato dall’Agenzia delle entrate a rendere chiarimenti su alcune operazioni intrattenute con una società nei cui confronti era stato avviato un accertamento fiscale perché ritenuta emittente di fatture per operazioni inesistenti.

La Procura ricorrente sosteneva che, ancorché l’attività accertativa non fosse diretta allo stesso soggetto imputato, la conoscenza da parte di quest’ultimo di un’attività ispettiva nei confronti del soggetto terzo che aveva verosimilmente preso parte alla frode rendesse comunque inapplicabile la causa di non punibilità perché privata della sua stessa ratio.

In particolare, l’articolo 13, comma 2, D.Lgs. 74/2000 stabilisce – in termini generali – che i predetti reati non sono punibili se i debiti tributati, unitamente alle rispettive sanzioni e interessi, sono estinti mediante il pagamento integrale degli importi dovuti a seguito di:

  • ravvedimento operoso, ovvero
  • presentazione della dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo di imposta successivo purché, però, il ravvedimento o la presentazione della dichiarazione siano intervenuti prima che l’autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali.

In sostanza, la norma intende premiare i comportamenti proattivi del contribuente che, consapevole dell’illecita condotta perpetuata, regolarizza di sua sponte quanto commesso.

Diversamente, non viene altrettanto valorizzato e premiato il comportamento “riparatore” di colui che corre a porre rimedio solo dopo aver preso coscienza di essere destinatario di una verifica che, con molta probabilità, lo esporrà a gravose conseguenze.

Il legislatore individua tale spartiacque nella circostanza che l’autore del reato abbia preso “formale conoscenza” di accessi, ispezioni, verifiche, ecc.

In altre parole, la rinuncia da parte dello Stato all’applicazione della pena per i reati in esame è sì subordinata al pagamento integrale del debito erariale che deve però intervenire prima che la stessa amministrazione fiscale o l’Autorità Giudiziaria abbiano avviato accertamenti nei confronti del presunto autore del reato.

Solo in tal modo il legislatore ritiene di poter realizzare un bilanciameno tra i due interessi in conflitto – entrambi meritevoli di adeguata tutela: quello dell’Erario, teso a favorire il più possibile condotte virtuose del contribuente che hanno come risultato finale il pagamento integrale del debito tributario, e quello statale volto a garantire la repressione dei reati, indipendentemente dal comportamento tenuto successivamente alla commissione del fatto delittuoso.

Tuttavia, nell’annotata pronuncia gli Ermellini ritengono che non sia contrario a tali obiettivi limitare l’operatività della causa di non punibilità soltanto nell’ipotesi in cui gli atti ispettivi e di accertamento vedano come destinatario lo stesso soggetto interessato e non altri soggetti (come nel caso di specie l’utilizzatore delle fatture per operazioni inesistenti emesse dal soggetto nei cui confronti era noto l’avvio di una verifica fiscale).

Del resto, la diversa interpretazione prospettata dalla procura – che, invece, ritiene sussista una condizione ostativa in relazione alla conoscenza di qualunque procedimento amministrativo o penale, nei confronti di chiunque, anche totalmente estraneo – comporterebbe un’eccessiva ed indeterminata dilatazione del limite suddetto.

Peraltro, chiosano i giudici «si osserva che l’interpretazione che afferma sussistente tale condizione ostativa in relazione alla conoscenza di qualunque procedimento amministrativo o penale, nei confronti di chiunque, anche totalmente estraneo, comporterebbe una eccessiva ed indeterminata dilatazione del limite suddetto che, se interpretato in modo estensivo e senza riferimenti specifici, finirebbe, comunque, per comprimerne l’applicazione in ambiti eccessivamente ristretti, con effetto frustrante della ratio, che è, viceversa quella di incentivare comportamenti virtuosi».