20 Febbraio 2024

Cosa fare se si vuole conciliare in Cassazione

di Gianfranco Antico
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La scheda di FISCOPRATICO

Il D.Lgs. 220/2023, intervenendo sull’articolo 48, D.Lgs. 546/1992, ha introdotto il comma 4-bis, autorizzando così la conciliazione giudiziale – fuori udienza – anche per le controversie pendenti in Cassazione.

Il contribuente/professionista che intende conciliare fuori udienza deve depositare una “istanza congiunta, cioè di una proposta di conciliazione alla quale l’altra parte abbia previamente aderito.

Elementi dell’istanza, così come analiticamente declinati nel corpo della circolare n. 38/E/2015, sono:

  • indicazione della Corte di Giustizia Tributaria adita;
  • dati identificativi della causa, anche con riferimento all’Ufficio dell’Agenzia e al contribuente parti in giudizio;
  • manifestazione della volontà di conciliare, con indicazione degli elementi oggetto della proposta conciliativa ed i relativi termini economici;
  • liquidazione delle somme dovute in base alla conciliazione (ovvero, per le conciliazioni intervenute nell’ambito di controversie aventi ad oggetto operazioni catastali, gli elementi che individuano esattamente i termini dell’accordo conciliativo, quali l’indicazione del classamento o della rendita catastale rideterminati);
  • motivazione delle ragioni per conciliare;
  • accettazione incondizionata del ricorrente di tutti gli elementi della proposta, nonché delle somme liquidate;
  • data, la sottoscrizione del titolare dell’Ufficio e la sottoscrizione del contribuente o, nei casi in cui vi sia obbligo di assistenza tecnica, anche del difensore (il potere di conciliare la controversia deve essere espressamente conferito nella procura al difensore).

Pur in assenza di un termine prestabilito, gli estensori della circolare n. 38/E/2015 ritengono che il deposito della proposta preconcordata debba avvenire non oltre l’ultima udienza di trattazione, in camera di consiglio o in pubblica udienza, del giudizio di primo o di secondo grado (un limite temporale è rappresentato dal momento in cui la causa è trattenuta in decisione).

Se sussistono le condizioni di ammissibilità della conciliazione, il giudice dichiara la cessazione della materia del contendere, anche parziale, qualora l’accordo riguardi solo una parte della pretesa erariale, procedendo in tal caso all’ulteriore trattazione della causa.

Se non è stata ancora fissata la data dell’udienza di trattazione, provvede il presidente della sezione con decreto.

Se, invece, è già stata fissata l’udienza di trattazione, provvede la Corte di Giustizia tributaria di primo o secondo grado, con sentenza, se la conciliazione è totale, oppure con ordinanza, se la conciliazione è parziale.

In ordine alle “condizioni di ammissibilità”, richieste dalla norma, la circolare n. 38/E/2015 rileva che tale locuzione “allude al potere di sindacato di legittimità del giudice, che può accertare la regolarità della proposta conciliativa e l’assenza di cause di inammissibilità previste dalla legge (ad esempio, ammissibilità del ricorso introduttivo, imposte rientranti nella giurisdizione tributaria, sussistenza del potere di conciliare, ecc.)”. In assenza delle condizioni di ammissibilità, la causa verrà discussa e portata a decisione.

La conciliazione fuori udienza si perfeziona con la sottoscrizione dell’accordo, nel quale sono indicate le somme dovute, con i termini e le modalità di pagamento (oppure sono indicati gli elementi relativi alla conciliazione “catastale”).

L’intervenuto accordo ha efficacia novativa del precedente rapporto, con la conseguenza che il mancato pagamento delle somme dovute dal contribuente, conduce alla iscrizione a ruolo del nuovo credito derivante dall’accordo stesso e all’applicazione del conseguente regime sanzionatorio per l’omesso versamento, ponendo così fine a tutte le problematiche, anche di carattere pratico, presenti nella vecchia formulazione (così circolare n.38/E/2015).

Le sanzioni, in questo caso, secondo quanto contenuto nell’articolo 48-ter, D.Lgs. 546/1992, si applicano nella misura del 60 % del minimo previsto dalla legge, in caso di perfezionamento nel corso del giudizio di Cassazione.

L’accordo previsto in caso di conciliazione “fuori udienza” costituisce titolo per la riscossione delle somme dovute all’ente impositore.

Il versamento delle intere somme dovute o, in caso di versamento rateale, della prima rata, va effettuato entro 20 giorni dalla data di sottoscrizione dell’accordo.

Dagli importi dovuti a titolo di conciliazione vanno computate in diminuzione le eventuali somme versate dal contribuente a titolo di iscrizione provvisoria.

Per il versamento rateale delle somme dovute si applicano le disposizioni previste per l’accertamento con adesione dall’articolo 8, D.Lgs. 218/1997.

Pertanto, è ammesso il pagamento rateale in un massimo di 8 rate trimestrali di pari importo o in un massimo di 16 rate trimestrali se le somme dovute superano i 50.000 euro.

Sull’importo delle rate successive alla prima sono dovuti gli interessi calcolati dal giorno successivo al termine di versamento della prima rata.

Nel caso di mancato pagamento delle somme dovute entro il termine di 20 giorni dalla sottoscrizione dell’accordo o, in caso di rateizzazione, di una delle rate, compresa la prima, entro il termine di pagamento della rata successiva, è prevista l’iscrizione a ruolo delle residue somme dovute a titolo di imposta, interessi e sanzioni, nonché della sanzione per omesso versamento, disciplinata dall’articolo 13, D.Lgs. 471/1997, aumentata della metà ed applicata sull’importo residuo dovuto a titolo di imposta.

Per le controversie aventi ad oggetto avvisi di accertamento esecutivi, il recupero delle somme non versate a seguito della conciliazione va effettuato mediante l’intimazione aD adempiere al pagamento.

Analogamente a quanto previsto per l’accertamento con adesione, trova applicazione anche per la conciliazione giudiziale l’articolo 15-ter, comma 3, D.P.R. 602/1973, concernente il c.d. “lieve inadempimento”, norma che, per quel che ci interessa in questa sede, esclude la decadenza in caso di insufficiente versamento della rata, per una frazione non superiore al 3 % e, in ogni caso, a 10.000 euro.

Nei casi in cui l’insufficiente o il tardivo pagamento integri un “lieve inadempimento”, l’Ufficio iscrive a ruolo l’eventuale frazione non pagata, della sanzione di cui all’articolo 13, D.Lgs. 471/1997, commisurata all’importo non pagato o pagato in ritardo, e dei relativi interessi. La predetta iscrizione a ruolo non è eseguita se il contribuente si avvale del ravvedimento operoso di cui all’articolo 13 D.Lgs. 472/1997, entro il termine di pagamento della rata successiva ovvero, in caso di versamento in unica soluzione o di ultima rata, entro 90 giorni dalla scadenza del termine previsto per il versamento.