25 Gennaio 2022

Esterovestizione societaria UE: occorre valutare la natura artificiosa

di Marco Bargagli
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La scheda di FISCOPRATICO

Come noto, il fenomeno dell’esterovestizione si realizza, sia per le persone fisiche che per le società, allorquando si verifica una dissociazione tra la “residenza fiscale reale” del soggetto passivo (localizzata in Italia) e la “residenza fiscale fittizia” (formalmente localizzata all’estero).

La normativa sostanziale di riferimento in subiecta materia è contenuta nel testo unico imposte sui redditi e, segnatamente:

  • l’articolo 2 Tuir prevede che un soggetto passivo è residente in Italia se, per la maggior parte del periodo d’imposta (183 giorni):
  • è iscritto nell’anagrafe della popolazione residente;
  • ha il domicilio nel territorio dello Stato, definito come la sede principale degli affari e interessi (articolo 43, comma 1, cod. civ.);
  • ha stabilito la propria residenza nel territorio dello Stato, identificabile come la dimora abituale del soggetto (articolo 43, comma 2, cod. civ.).
  • l’articolo 73, comma 3 e comma 5-bis Tuir sancisce che:
  • le società, gli enti ed i trust sono considerati residenti in Italia quando, per la maggior parte del periodo d’imposta (183 giorni), hanno in alternativa la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale nel territorio dello Stato (articolo 73, comma 3, Tuir);
  • salvo prova contraria, si considera esistente nel territorio dello Stato la sede dell’amministrazione di società ed enti, che detengono partecipazioni di controllo, ai sensi dell’articolo 2359, comma 1, cod. civ., in altre società ed enti se, in alternativa:
  1. sono controllati, anche indirettamente, ai sensi dell’articolo 2359, comma 1, cod. civ., da soggetti residenti nel territorio dello Stato;
  2. sono amministrate da un consiglio di amministrazione, o altro organo equivalente di gestione, composto in prevalenza di consiglieri residenti nel territorio dello Stato.

In ambito internazionale, con il precipuo scopo di evitare profili di doppia imposizione economica, occorre fare riferimento al modello Ocse di Convenzione internazionale e, in particolare, all’articolo 4, che detta le regole per dirimere i casi di doppia residenza (c.d. dual residence):

  • paragrafo 2. Qualora una persona fisica sia residente in entrambi gli Stati contraenti, il suo status sarà determinato come segue: si considera residente soltanto nello Stato in cui ha un’abitazione permanente a sua disposizione; se ha un’abitazione permanente a sua disposizione in entrambi gli Stati, si considera residente soltanto dello Stato presso il quale i suoi rapporti personali ed economici sono più stretti (c.d. centro degli interessi vitali); se lo Stato in cui ha il centro dei suoi interessi vitali non può essere determinato, o se non ha un domicilio permanente a sua disposizione in nessuno dei due Stati, sarà considerato residente solo dello Stato in cui ha la dimora abituale; se ha la dimora abituale in entrambi gli Stati o in nessuno di essi, sarà considerato residente nello stato in cui ha la cittadinanza; se è cittadino di entrambi gli Stati o di nessuno di essi, le autorità competenti degli Stati contraenti risolveranno la questione di comune accordo;
  • paragrafo 3. Nell’ipotesi in cui una società sia considerata residente in due diversi Stati, la residenza fiscale della persona giuridica sarà individuata sulla base di un accordo tra le autorità competenti (denominato mutual agreement), che dovrà tenere conto del luogo di direzione effettiva (place of effective management), del luogo di costituzione (the place where it is incorporated or otherwise constituted) e di ogni altro fattore rilevante (any other relevant factors).

Per individuare la residenza fiscale delle holding di partecipazione localizzate in ambito comunitario, occorre utilizzare peculiari parametri di valutazione, anche tenuto conto del principio comunitario della libertà di stabilimento.

Esso comprende, infatti, il diritto di svolgere attività indipendenti, nonché di avviare e gestire imprese al fine di esercitare un’attività permanente su base stabile e continuativa, alle stesse condizioni previste per i propri cittadini dalla legislazione dello Stato membro di stabilimento (Libertà di stabilimento e libera prestazione dei servizi | Note tematiche sull’Unione europea | Parlamento Europeo (europa.eu))

In tale ambito, occorre richiamare il consolidato orientamento espresso in apicibus da parte della Corte di giustizia UE e dalla suprema Corte di cassazione, come di seguito indicato.

 

Estremi Massima
 
 
Corte di cassazione, sentenza n. 14527/19
 

Una holding di partecipazioni che non svolge una reale attività commerciale, disponendo di una struttura amministrativa modesta con limitati costi di gestione, che consegue in un altro Stato membro specifici benefici fiscali, non costituisce di per sé una costruzione di puro artificio, attribuendo preminente valore alla libertà di stabilimento prevista dal diritto comunitario

 
 
 
 
 
 
 
Corte di cassazione, ordinanza n. 6476/2021
 
 
 
 

Al fine di stabilire se il reddito prodotto da una società possa essere sottoposto a tassazione in Italia, assume rilevanza decisiva il fatto che l’adozione delle decisioni riguardanti la direzione e la gestione dell’attività di impresa avvenga nel territorio italiano, nonostante la società abbia localizzato la propria residenza fiscale all’estero (ex multis, cfr. Corte di cassazione, sentenza n. 16697 del 21.06.2019; Corte di cassazione, sentenza n. 33234 del 21.12.2018; Corte di cassazione, sentenza n. 2869 del 07.02.2013).

La nozione di “sede dell’amministrazione”, in quanto contrapposta alla “sede legale”, deve ritenersi coincidente con quella di “sede effettiva”, intesa come il luogo ove hanno concreto svolgimento le attività amministrative e di direzione dell’ente e si convocano le assemblee e cioè il luogo deputato, o stabilmente utilizzato, per l’accentramento – nei rapporti interni e con i terzi – degli organi e degli uffici societari in vista del compimento degli affari e dell’impulso dell’attività dell’ente.

Estremi Massima
 
Corte di giustizia UE
Causa C-196/04 (Cadbury Schweppes)

Una misura nazionale che restringa la libertà di stabilimento è ammessa se concerne specificamente le costruzioni di puro artificio finalizzate ad escludere la normativa dello Stato membro interessato.

 
Corte di giustizia UE
sentenza Planzer Luxembourg Sàrl

La nozione di sede dell’attività economica “indica il luogo in cui vengono adottate le decisioni essenziali concernenti la direzione generale della società e in cui sono svolte le funzioni di amministrazione centrale di quest’ultimo (punto 60)”.

 

Ulteriori importanti principi di diritto sono rinvenibili nella recente ordinanza n. 17849/2021 pubblicata in data 22.06.2021, nella quale gli Ermellini di sono nuovamente pronunciati in tema di residenza fiscale di una società lussemburghese.

L’Amministrazione finanziaria, in esito ad una verifica fiscale, aveva sostenuto che la società di diritto estero costituiva una sorta di “cassaforte” creata al solo scopo di attuare una pianificazione fiscale, finalizzata a conseguire indebiti risparmi d’imposta.

Di contro, i consulenti fiscali della società avevano confutato la tesi espressa dall’ufficio, evidenziando che una società che si limita a gestire partecipazioni societarie, la tesoreria di gruppo, nonché marchi e brevetti, in Italia svolgerebbe sicuramente una attività economica effettiva, seppure non dotata di una struttura, di mezzi e di personale, e che non può di conseguenza ipotizzarsi che non sia effettiva la medesima attività solo perché svolta in un altro Stato membro, poiché siffatta interpretazione non potrebbe che essere considerata “discriminatoria” alla stregua del diritto comunitario per violazione del comma 2 dell’articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

I Giudici di Piazza Cavour hanno dapprima fornito la definizione di esterovestizione, come un fenomeno ascrivibile alla fittizia localizzazione della residenza fiscale di una persona giuridica all’estero, in particolare in quei Paesi che offrono un trattamento fiscale più vantaggioso rispetto a quello previsto a livello nazionale, ove il soggetto effettivamente opera, allo scopo di sottrarsi al più gravoso regime nazionale.

Trattasi di una particolare espressione dell’abuso di diritto, il cui divieto è ormai pacificamente riconosciuto come principio generale anche nel diritto tributario europeo e nel diritto dei singoli Stati membri (cfr. Corte di cassazione SS.UU. sentenza n. 30055 del 23.12.2008), attuata mediante tecniche complesse, al solo scopo di sottrarre a tassazione materia imponibile nel Paese di effettiva appartenenza.

In tale contesto, viene creata una realtà fittizia all’estero, raggirando il principio conosciuto tra gli addetti ai lavori come “worldwide taxation” (rectius tassazione dei redditi su base mondiale) a cui soggiacciono i soggetti residenti che devono essere tassati per i redditi ovunque prodotti nel mondo.

Ciò posto, come opportunamente evidenziato dai Supremi Giudici di legittimità, l’obiettivo della libertà di stabilimento è quello di permettere a un cittadino di uno Stato membro di creare uno stabilimento secondario in un altro Stato membro per esercitarvi le sue attività e di partecipare così, in maniera stabile e continuativa, alla vita economica di uno Stato membro diverso dal proprio Stato di origine e di trarne vantaggio.

La nozione di stabilimento implica, quindi, l’esercizio effettivo di un’attività economica per una durata di tempo indeterminata.

Di conseguenza, l’insediamento in pianta stabile in un altro Stato membro presuppone un insediamento effettivo della società interessata nello Stato membro ospite e l’esercizio in quel territorio di un’attività economica e reale.

Di conseguenza, affinché sia giustificata da motivi di lotta a pratiche abusive, una restrizione alla libertà di stabilimento deve avere lo scopo specifico di ostacolare comportamenti consistenti nel creare costruzioni puramente artificiose, prive di effettività economica e finalizzate ad eludere la normale imposta sugli utili generati da attività svolte sul territorio nazionale.

La suprema Corte di cassazione ha condiviso l’approccio ermeneutico fornito da parte della Commissione Tributaria Regionale basato sulla considerazione che gli accertamenti si fondavano su un unico presupposto, costituito dalla funzione rivestita dalla società, la quale sarebbe destituita di causa economica.

Avuto riguardo alla società controllata lussemburghese, il giudice di merito ha infatti posto in evidenza:

  • il controllo esercitato sulla stessa da parte della casa madre italiana;
  • la mera gestione dei finanziamenti erogati alle società del gruppo e delle royalties maturate su marchi e brevetti;
  • la carenza di addetti alle sue dipendenze e di una sede, risultando domiciliata presso una fiduciaria lussemburghese;
  • la carica di amministratori ricoperta da due soci di riferimento della società italiana;
  • l’influenza dominante esercitata da soggetti italiani sulle scelte della società lussemburghese;
  • la circostanza che una persona fisica residente in Italia, amministratore della casa madre italiana, sarebbe il “il dominus di tutte le scelte strategiche ed operative”;
  • la veste meramente formale delle cariche ricoperte dagli amministratori lussemburghesi, che rimarrebbero all’oscuro delle scelte assunte in Italia.

In definitiva, valorizzando i suddetti elementi, univoci e concordanti offerti dall’Amministrazione finanziaria, tra i quali assumono particolare rilievo l’assenza di una sede effettiva e di addetti alle dipendenze della società, oltre che la composizione dell’organo amministrativo e la carenza di un autonomo centro decisionale diverso da quello della controllante, il giudice di merito è giunto alla conclusione della assimilazione del concetto di “sede dell’amministrazione” (indicato come uno dei criteri alternativi previsto dall’articolo 73, comma 3, Tuir) a quello civilistico di “sede effettiva” della società intendendo quest’ultima, in sostanziale conformità ai principi sopra enunciati, come il luogo in cui si svolge in concreto la direzione e la gestione dell’attività d’impresa e dal quale promanano le relative decisioni.

All’esito della valutazione dei suddetti elementi, il giudice ha ritenuto che “risulta «arduo identificare una specifica funzione che la società lussemburghese debba svolgere, rispondente ad una causa economica, diversa da quella di conseguire un risparmio di imposta, escludendo così il carattere abusivo della delocalizzazione, intesa a pianificare la gestione fiscale del gruppo, al fine di conseguire indebiti risparmi di imposta»; ha, in tal modo, negato la configurabilità della residenza fiscale in Lussemburgo e considerato la contribuente come società avente stabile organizzazione in Italia, dove era fissata una sede fissa d’affari in cui veniva esercitata la sua attività effettiva, in base all’articolo 162 del Tuir, con tutte le conseguenze ai fini fiscali”.