17 Aprile 2023

Esterovestizione societaria: la rilevanza del vantaggio fiscale in ambito UE

di Marco Bargagli
Scarica in PDF
La scheda di FISCOPRATICO

L’esatta individuazione della residenza fiscale di un soggetto passivo costituisce, per gli operatori economici ad ampio respiro internazionale, un tema di fondamentale importanza in quanto seguendo il principio della tassazione dell’utile mondiale (c.d. “world wide taxation”), una volta stabilita la reale residenza di un’impresa, la stessa sarà assoggettata a tassazione – in un determinato Stato – per i redditi ovunque prodotti nel mondo.

Con il termine esterovestizione societaria, ossia uno dei principali fenomeni di evasione fiscale internazionale, ci si riferisce generalmente alla fittizia localizzazione della residenza fiscale in Paesi o territori diversi dall’Italia (in ambito UE o extra UE), per sottrarsi agli adempimenti tributari previsti dall’ordinamento di reale appartenenza e beneficiare, nel contempo, di un regime fiscale più favorevole vigente altrove.

A livello operativo, in ambito esterovestizione societaria (c.d. Foreign-dressed companies):

  • si realizza una vera e propria dissociazione tra la residenza reale e la residenza formale della società, con il precipuo scopo di assoggettare i redditi conseguiti a tassazione in un Paese o in un territorio a fiscalità privilegiata ossia ottenere particolari agevolazioni sotto il profilo fiscale;
  • le imprese vengono formalmente costituite all’estero ma vengono gestite dall’Italia, dove è localizzata la sede di direzione effettiva (place of effective management).

In tale contesto, la sede dell’amministrazione di una società viene definita come il luogo dove vengono assunte le decisioni strategiche dell’impresa, ovvero dove vengono definiti gli indirizzi operativi dell’azienda e dal quale, di conseguenza, vengono diramate le relative direttive.

Conformemente la suprema Corte di cassazione, con la sentenza n. 3604 del 16.06.1984, ha chiarito che la sede effettiva delle persone giuridiche si identifica nel “luogo ove hanno concreto svolgimento le attività amministrative e di direzione dell’ente e si convocano le assemblee, e cioè il luogo deputato, o stabilmente utilizzato, per l’accentramento, nei rapporti interni e con i terzi, degli organi e degli uffici societari in vista del compimento degli affari e della propulsione dell’attività dell’ente”.

Fatta questa breve premessa, giova ricordare che per stabilire la residenza fiscale di una società o di un ente, l’articolo 73, comma 3, Tuir prevede che le società, gli enti ed i trust sono considerati residenti in Italia quando, per la maggior parte del periodo d’imposta (183 giorni), hanno in alternativa la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale nel territorio dello Stato.

Tali principi giuridici devono necessariamente essere coordinati con le disposizioni previste in ambito internazionale e, segnatamente, l’articolo 4 del Modello OCSE di convenzione contro le doppie imposizioni sui redditi prevede che nell’ipotesi in cui una società sia considerata residente in due diversi Stati (c.d. dual residence), la residenza fiscale della società o dell’ente sarà individuata sulla base di un accordo tra le autorità competenti (denominato mutual agreement), che dovrà tenere conto del luogo di direzione effettiva (place of effective management), del luogo di costituzione (the place where it is incorporated or otherwise constituted) e di ogni altro fattore rilevante (any other relevant factors).

Le norme di diritto nazionale e internazionale devono tenere conto, in ambito UE, del famoso principio comunitario della libertà di stabilimento: in estrema sintesi, la normativa nazionale non può  limitare detta libertà, fatta salva l’ipotesi di contrastare i più perniciosi fenomeni di evasione fiscale internazionale, attuati mediante la costituzione all’estero di “costruzioni di puro artificio”, ossia di quelle strutture societarie finalizzate ad eludere la normativa del singolo Stato membro.

Proprio in relazione al principio della libertà di stabilimento in ambito UE, si cita l’orientamento espresso dalla Corte di cassazione con le sentenze n. 5066 e 5075 del 17.02.2023, ove gli Ermellini hanno affrontato, in ambito esterovestizione societaria, il tema dell’indebito vantaggio fiscale conseguito dalla struttura societaria costituita oltre frontiera.

La controversia ha riguardato, nella specie, la riqualificazione della residenza fiscale di una società (ALFA S.R.O.), con sede legale in Repubblica Slovacca.

Gli Ermellini hanno pienamente confermato le sentenze di merito che avevano ritenuto dirimente, ai fini della legittimità della pretesa impositiva, il conseguimento di un indebito vantaggio fiscale.

In merito, viene ancora una volta confermato che il principio della libertà di stabilimento trova un preciso limite nell’artificiosità della società costituita all’estero (ipotesi identificata dagli accertamenti operati dai giudici di merito), al solo scopo di trarre vantaggio fiscale dalla legislazione del Paese in cui la sede legale viene stabilita.

Sotto tale profilo il giudice d’appello ha correttamente fondato l’individuazione della sede in Italia sulla base di elementi presuntivi tratti dal materiale probatorio espressamente richiamato nell’atto impositivo, ossia:

  • la corrispondenza commerciale;
  • i dati estratti dal computer dell’impresa;
  • i file excel;
  • gli altri elementi risultanti del processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza.

Di contro, non sono invece emersi elementi di segno contrario, che indichino l’autonomia dell’impresa sedente all’estero.

È stato quindi applicato il normale meccanismo di formazione della prova sulla base di elementi indiziari connotati da gravità, precisione e concordanza, senza necessariamente dover ricorrere alla regola di giudizio finale ex articolo 2697 cod. civ., cui si deve invece far riferimento in caso di insufficienza degli stessi.

In definitiva, i giudici di merito hanno accertato che la sede effettiva della contribuente si trovava in Italia, e tale accertamento deve essere posto alla base anche della definizione nel merito circa l’analoga questione in materia di Irap che, in virtù del richiamo all’articolo 1 D.Lgs. 446/1997, trova il proprio presupposto applicativo nell’esercizio abituale di un’attività autonomamente organizzata diretta alla produzione e scambio di beni o alla prestazione di servizi nel territorio delle regioni italiane.