31 Ottobre 2016

L’elemento psicologico della dichiarazione fraudolenta

di Luigi Ferrajoli
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La Corte di Cassazione è nuovamente intervenuta in tema di dichiarazione fraudolenta, con particolare riferimento all’elemento psicologico richiesto per l’integrazione della fattispecie penale di cui all’articolo 2 D.Lgs. 74/2000.

Nel caso oggetto del presente intervento, la Suprema Corte è stata chiamata a pronunciarsi a seguito di ricorso proposto dall’imputato, legale rappresentante di una società, basato su tre motivi: violazione di legge per avere i due giudici di merito conferito piena efficacia probatoria al processo verbale di constatazione; vizio di motivazione in ordine ai rilievi difensivi relativi alle fatturazioni in contesto; mancata assunzione di prova decisiva richiesta nell’interesse dell’imputato (testimonianza di soggetti ammessi in primo grado e mai sentiti).

La Cassazione, Sezione Terza Penale, con sentenza n. 38717/2016, ha ritenuto il ricorso parzialmente fondato, con specifico riferimento al terzo motivo di impugnazione.

Sul punto, il Giudice di legittimità ha innanzitutto evidenziato come censurabile e contraddittoria la motivazione della Corte di Appello relativa alla mancata assunzione dei testi indicati, nonostante l’originaria ordinanza di ammissione degli stessi.

Proseguendo nel proprio iter argomentativo, la Corte di Cassazione ha affermato l’utilizzabilità del processo verbale di constatazione acquisito al fascicolo del dibattimento, peraltro confermato dalla deposizione dell’operante, tuttavia ha ritenuto che non si potessero attribuire soggettivamente all’imputato i fatti illeciti contestati, in ragione dell’allegazione difensiva per cui gli stessi dovessero essere ascritti “ad altro soggetto operante in sede diversa e separata della società contribuente”.

In particolare, la Suprema Corte ha affermato che la semplice veste di legale rappresentante della società in capo all’imputato non è sufficiente ad una affermazione di colpevolezza sic et simpliciter, “poiché, considerandone le dimensioni non certamente minimali, è invece necessario l’accertamento in concreto della sua consapevolezza della fittizietà delle fatture utilizzate ai fini della presentazione di una dichiarazione fiscale fraudolentemente falsa e correlativamente appunto verificare mediante l’assunzione dei testi suddetti se di contro sia veritiera la tesi difensiva che tale consapevolezza non sussisteva, per detta ragione”.

Da notare, proprio su questo specifico aspetto, che la Corte di Appello aveva viceversa motivato con la frase “il prevenuto, qualunque fosse l’organizzazione aziendale, aveva tutto l’interesse a perpetrare l’evasione fiscale di cui, beneficiandone, non poteva non essere a conoscenza”.

Proprio tale aspetto, secondo la Corte di Cassazione, doveva invece essere accertato, attraverso la comparazione tra le dichiarazioni rese dal teste assunto con quelle di quelli successivamente non sentiti.

Tale pronuncia è quanto mai interessante perché prende precisa posizione su un aspetto che spesso viene trascurato nei reati tributari, ossia la presenza o meno dell’elemento psicologico richiesto ai fini della integrazione della fattispecie criminosa.

Nel caso in esame, la Suprema Corte, ha chiaramente etichettato come “non adeguata” la motivazione resa dal Giudice di seconde cure e sopra richiamata, ai fini dell’affermazione della penale responsabilità dell’imputato, basata non tanto su un accertamento in concreto, quanto su ipotesi ritenute dal Giudice di merito come plausibili (“non poteva non essere a conoscenza”).

Ecco allora che, anche con specifico riferimento all’elemento soggettivo della fattispecie, risulta necessario un preciso e puntuale accertamento, anche mediante l’ammissione, come nel caso che ci occupa, di tutti i mezzi di prova che possano far luce sulla consapevolezza o meno dell’imputato in ordine alla condotta delittuosa attribuitagli.

Tale consapevolezza, insegna la Suprema Corte, non può essere ricondotta de plano alla veste formale di legale rappresentante assunta dal soggetto chiamato a difendersi, in quanto in capo al medesimo, per diversi motivi, potrebbe difettare proprio quella consapevolezza viceversa richiesta dalla norma incriminatrice e condizione indefettibile per il raggiungimento di una pronuncia di condanna.

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