12 Novembre 2013

E adesso la pubblicità

di Michele D’Agnolo
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Il titolo, preso a prestito da una canzone degli anni ‘80 di Claudio Baglioni, serve a ricordarci che, anche per gli studi professionali, in un mondo ipercompetitivo ed commodizzato, la comunicazione al cliente deve necessariamente assumere – e di fatto sta assumendo – connotazioni differenti da quelle che aveva in passato: non basta più saper fare, ma è diventato importantissimo far sapere.

Girando per l’Italia, frequentando stazioni e aeroporti, leggendo i quotidiani e utilizzando i motori di ricerca web, mi rendo conto che i professionisti stanno cominciando ad utilizzare in maniera sempre più significativa i canali pubblicitari: complice anche la deregulation in materia, con le riforme degli ordinamenti, le “lenzuolate” dell’Antitrust e la difficoltà per gli ordini professionali di presidiare con efficacia la tutela deontologica, è tutto un fiorire di iniziative più o meno adeguate per far conoscere il proprio studio all’esterno.

Se già ci spaventa il canone annuo della software house, e preferiamo tenerci il nostro vecchio 486 a manovella pur di non spendere, ci verrà sicuramente un mezzo infarto quando vedremo il conto degli esperti di marketing e comunicazione. Pensate che un’importante società alimentare italiana, produttrice di pasta e prodotti da forno e nota in tutto il mondo, spende il 6% dei suoi ricavi in pubblicità, ritraendo una redditività sul fatturato del 3%: in altre parole, spende in pubblicità il doppio di quello che guadagna. Un noto attore spagnolo è il persuasivo testimonial dei suoi prodotti per la prima colazione. Le campagne sono studiate nei minimi dettagli: colori, tempistiche, frasi e atmosfere per convogliare un senso di benessere e di unione familiare. In passato, persino noti sociologi come Francesco Alberoni hanno fatto parte del team che sviluppava i progetti di comunicazione.

All’interno della metropolitana di Milano e negli spazi affissione della stazione ferroviaria di Venezia Mestre campeggia un manifesto dal titolo “Dentisti dell’Altro Mondo”: e giù a spiegare quali vantaggi possono derivare dal farsi curare in quella catena di studi. Perfino nel quotidiano locale della mia sonnacchiosa città, ormai, più di mezza pagina al giorno è dedicata ai piccoli annunci soprattutto di medici, odontoiatri, ma anche tecnici e commercialisti: uno studio si è “comprato” il cofano posteriore di un autobus e presenta il suo team con tanto di foto attraverso tale mezzo.

All’aeroporto di Fiumicino e di Linate, per mesi una graziosa modella in dimensione reale si atteggiava da provetta giuslavorista per promuovere un blasonato studio legale: mancano solo gli striscioni degli aerei e gli uomini sandwich e credo che poi le avremo viste veramente tutte … come sembrano lontani i tempi in cui ci vergognavamo di fare i calendari con il nome dello studio o ci chiedevamo quale punizione ci sarebbe stata riservata dall’Ordine per aver osato aprire un sito web informativo.

Il dilemma della pubblicità, come diceva un noto esperto del settore, è che per metà è del tutto inutile: il problema è che non sappiamo quale metà.

Scegliere quindi per il nostro studio professionale se fare o se non fare pubblicità, e in caso affermativo quale e quanta comprarne, non è affatto facile. Esistono infatti campagne diversificate che a volte servono a far conoscere un soggetto e altre che, in casi diversi, servono a proporre una particolare prestazione. Si possono utilizzare vari media, con caratteristiche e target diversi: radio, tv ,giornali, manifesti, mailing e quant’altro.

La pubblicità è, peraltro, soltanto uno degli strumenti di comunicazione attivabili da uno studio professionale e occorre quindi preliminarmente verificare detto strumento se è adeguato agli obiettivi e politiche dello studio che andiamo a promuovere.

C’è chi dice che la pubblicità di una prestazione professionale non funziona perché è una contraddizione in termini. Corollario di tale teorema è che se un professionista è bravo, i clienti arrivano da soli. Nessuno abboccherà al messaggio commerciale, perché i criteri selettivi di un professionista sono altri.

In effetti, soprattutto per le prestazioni più standardizzabili, è altamente probabile che la pubblicità abbia un effetto positivo per lo studio che la adotta: bisogna però fare attenzione in quanto la pubblicità, soprattutto se svolta indiscriminatamente, può avere un effetto negativo sul posizionamento.

Secondo altra scuola di pensiero infatti si fanno pubblicità solo coloro i quali debbono proporre un prodotto dappoco e debbono comunque fare volumi: “fatti un nome e poi vendi aceto”. Magari propongo un abbonamento telefonico che è una mezza truffa, dirotto i clienti nel labirinto infinito di un call center, li malmeno, gli prosciugo la carta di credito, ma poi piazzo in TV la soubrette del momento con una campagna pubblicitaria ammiccante e ricca di suggestioni e il gioco è fatto.

In realtà, per avere successo, la campagna pubblicitaria dello studio dovrà evidenziare i reali vantaggi delle prestazioni che vogliamo andare a proporre. Vantaggi di costo o differenziali? O entrambi? I vantaggi dovranno essere poi effettivamente riscontrabili da parte dei clienti, altrimenti prima o poi il palco crolla. Inoltre, lo studio dovrà essere strutturato per svolgere la quantità di lavoro indotta dalla campagna pubblicitaria, altrimenti i clienti rimarranno insoddisfatti.

La pubblicità, quella che serve, costa. E anche molto. È quindi altamente probabile che per accedere ai media nazionali si creino opportune forme di aggregazione tra professionisti di diversi territori o di diverse specialità sotto un unico marchio e un’identità di immagine comune. Anche senza costituire strutture giuridiche permanenti o intrusive come associazioni professionali o società tra professionisti. Immediatamente dopo si porrà il problema di controllare che la qualità promessa venga effettivamente erogata, altrimenti i brand faticosamente lanciati si scioglieranno come neve al sole; la pubblicità potrebbe diventare allora promotrice di aggregazioni permanenti tra i professionisti. Se così fosse, ben venga la pubblicità.