20 Luglio 2015

Compiti e poteri degli amministratori di una fondazione

di Guido Martinelli
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Tra gli istituti del primo libro del codice civile sta avendo, in questi ultimi anni, una grossa riscoperta la fondazione. Sono enti senza finalità di lucro con una propria sorgente di reddito che deriva normalmente, ma non esclusivamente, da un patrimonio.

La posizione degli amministratori della fondazione va tenuta distinta da quella degli associati (assemblea) e da quella degli amministratori (consiglio direttivo) dell’associazione. Mentre negli enti su base associativa gli organi, nell’ambito delle rispettive competenze previste in statuto hanno una funzione dominante in quanto ciascuno concorre a determinare e modificare gli obiettivi che un’associazione si è data nel tempo; del tutto diversa è la posizione degli amministratori delle fondazioni che sono definiti “organi serventi” delle stesse.[1] Questa “limitazione” di capacità operativa dell’organo esecutivo nelle fondazioni, appare giustificata dal fatto che solo tali soggetti sono abilitati a realizzare lo scopo individuato (e non sono titolari neppure del potere di modificarlo[2]) dall’ente.

Tale “limitazione” nella prassi è in realtà solo “apparente” poiché tali soggetti, rispetto agli amministratori delle associazioni, sono svincolati da qualsiasi controllo o direttiva da parte dei soci fondatori. Il loro operato è soggetto solo al controllo della pubblica autorità amministrativa.

Gli amministratori dell’associazione trovano un bilanciamento delle proprie funzioni con quelle attribuite all’assemblea degli associati: quest’ultima è chiamata a pronunciarsi sui criteri di gestione adottati dagli amministratori con l’approvazione o meno del bilancio, può confermare o sostituire periodicamente gli amministratori esprimendo così una valutazione sul loro operato, può esprimere direttive di carattere generale sul modo di amministrare in sede di approvazione del bilancio annuale o in sede di nomina degli amministratori.

Diversamente, gli amministratori della fondazione sono i soli arbitri della gestione, non sussistendo un organo con poteri e funzioni proprie dell’assemblea dell’associazione che controlli i criteri adottati per l’amministrazione del patrimonio e per la destinazione dello scopo (non si può infatti configurare un’ingerenza del fondatore nell’amministrazione).

Per quanto attiene l’organizzazione interna alla fondazione è necessario preliminarmente osservare come le disposizioni codicistiche prevedano esclusivamente la figura degli amministratori senza offrire però alcuna specificazione sulle relative caratteristiche.

Il fondatore può, in ogni caso, prevedere un amministratore unico o una pluralità di componenti l’organo amministrativo.

A differenza di quanto avviene nelle associazioni, il fondatore può prevedere, tra i membri dell’organo amministrativo della fondazione, anche persone giuridiche. Il fondatore può nominare egli stesso i primi amministratori o può indicare esclusivamente i criteri cui questa nomina deve sottostare, delegandola in concreto ad enti pubblici o privati od a terzi titolari di determinate cariche, oppure può far coincidere la nomina stessa con l’appartenenza ad una determinata carica.

È qui opportuno rilevare come nulla osti all’attribuzione della carica di amministratori agli stessi fondatori: è infatti possibile che il fondatore nomini amministratore sé stesso, anche a vita, come è altresì possibile prevedere che, dopo la sua morte, tale carica sia rivestita dai suoi, o da taluno dei suoi, eredi.

In ogni caso, qualora la nomina non sia a vita, il fondatore non potrà in ogni caso nominare i successivi amministratori (ivi compreso sé stesso), ma si limiterà ad indicare nello statuto i criteri per l’affidamento dell’incarico.

Vi è da dire che nel corso di questi ultimi anni i criteri dottrinali di distinzione delle fattispecie – associazione e fondazione – risultano meno evidenziabili nella pratica.

Un fenomeno che occorre rilevare dalla prassi è la posizione del Consiglio di Amministrazione, che risulta sempre meno vincolato alla volontà dei fondatori mentre assume sempre maggiori deleghe sulle “modalità” di impiego del patrimonio della fondazione. Infine, la prassi statutaria rileva spesso un progressivo svalutarsi dell’elemento patrimoniale della fondazione. Si costituiscono così fondazioni che hanno una dotazione iniziale esigua, non sempre adeguata allo scopo indicato dallo statuto e il cui patrimonio possa successivamente integrarsi con apporto di terzi (fondazioni di partecipazione).

La definizione di fondazione cui si è giunti appare compatibile con una certa autonomia degli amministratori che però non potrà mai pregiudicare il carattere della stabilità e della definitività della destinazione del patrimonio della fondazione decisa nell’atto di costituzione.


[1] Così M. Quiroz Vitale, Le fondazioni dal codice civile al “terzo settore”, in Enti Non-Profit, Ipsoa, Milano, 1/2000, pag. 37.

[2] Per effetto degli artt. 28 e 31, comma 2, C.C. è l’autorità amministrativa competente per il riconoscimento (ex art. 12 CC, così come modificato dal DPR 361/2000) che può modificare la destinazione del patrimonio.

 

 

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