29 Aprile 2017

Circolare nuovo regime di cassa: più dubbi sulla fiscalità delle S.S.

di Alberto Rocchi
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La società semplice continua a far discutere. Questo strumento voluto e pensato dal legislatore civilistico come prototipo del modello societario, non ha ancora trovato una giusta collocazione all’interno dell’ordinamento a causa della sua peculiare posizione rispetto all’esercizio di attività considerate commerciali.

Recentemente (Studio 73/2016), il Consiglio Nazionale del Notariato, ha parlato di “eresia spezzata”: quella della società semplice di godimento che avrebbe concluso la sua “lunga marcia” all’interno dell’ordinamento grazie a una ricorrente normativa speciale che ne ha di fatto sdoganato l’esistenza. Parzialmente diversa l’opinione dei Notai del Triveneto, i quali nella massima G.A.10 pubbl. 9/2016, affermano che la gestione di beni immobili:

  • integra un’attività commerciale, ove sia esercitata in maniera economica e con caratteristiche industriali (articolo 2195, comma 1, n. 1, cod. civ.), cioè con modalità più o meno complesse che comunque presuppongano l’utilizzo e il coordinamento di uno o più mezzi della produzione (si pensi ad una società di autonoleggio o ad una società di locazione di appartamenti-vacanze);
  • integra un’attività economica non commerciale, ove sia svolta senza necessità di coordinamento dei mezzi della produzione, in assenza di qualsiasi organizzazione di tipo industriale, al fine vincolante di ricavarne un utile e con esclusione della possibilità per i soci di utilizzare direttamente i beni sociali (è il caso di una società proprietaria di una o più unità immobiliari destinate ad essere locate in maniera stabile, senza che siano erogati servizi accessori);
  • integra una comunione di godimento, ove sui beni gestiti non sia impresso il vincolo negoziale di destinazione produttivo/economico tipico del contratto di società, vincolo negoziale che, ove costituito, esclude l’applicazione della disciplina sulla comunione dettata dagli articoli 1102 e 1103 cod. civ. (facoltà per i comproprietari di utilizzare personalmente i beni e di disporne liberamente pro-quota); quindi, in quest’ultimo caso, sarebbe escluso il ricorso allo strumento societario.

Sul versante fiscale, sono numerose le questioni ancora poco chiare: dal trattamento delle somme ricevute in caso di liquidazione, ai possibili risvolti elusivi delle trasformazioni, dall’applicazione della “neutralità” nelle operazioni straordinarie, al trattamento del recesso “tipico”.

Un problema particolarmente avvertito dagli operatori ma ben poco trattato dalla dottrina, riguarda il trattamento tributario delle molteplici attività che la società semplice può svolgere. Accertato che i suoi confini, fiscalmente, possono estendersi ben al di là di quelli del mero godimento e che le attività agricole svolte oltre le potenzialità del fondo, non rientrano nei redditi fondiari, non è mai stato chiaro se ed entro che limiti si possa ammettere che la società possa dichiarare redditi d’impresa. Il problema è che la disciplina tributaria generale di questo tipo societario, nasce da una definizione “in negativo” mancando in questo senso una vera e propria dichiarazione d’intenti del legislatore. Dalla lettura dell’articolo 6 Tuir, ultimo capoverso, si può desumere che non si verifica nei confronti della società semplice, l’assorbimento dei redditi nel reddito d’impresa, come avviene per le altre società di persone, quali le S.n.c. e le S.a.s.. Il mancato assorbimento dei redditi nel reddito d’impresa fa sì che la società semplice possa conseguire, separatamente, diverse categorie di reddito che, a loro volta, determinano il reddito complessivo della società (articolo 8 del Tuir).

Alla luce di questa ricostruzione normativa, taluni hanno sostenuto in dottrina che il reddito d’impresa non può essere conseguito da una società semplice.

Tuttavia, nessuna norma del Tuir esplicitamente dispone che la società semplice non possa conseguire un reddito d’impresa: non lo dice l’articolo 5 Tuir in tema di redditi prodotti in forma associata, sebbene escluda dal novero dei soggetti richiamati proprio la società semplice, e non lo dice neppure l’articolo 55 Tuir, norma base sui redditi d’impresa.

Per questa via si è sempre ammesso che la società semplice agricola che eccede i parametri dell’articolo 32, non può che conseguire un reddito d’impresa anche se non organizzata in forma d’impresa; così come sarebbe fiscalmente inevitabile che la società semplice che svolgesse attività di pura impresa, ancorché civilisticamente inibito, dovrebbe, sul versante fiscale, equipararsi a una società commerciale.

Non sono tuttavia mancati esempi di uffici periferici dell’Amministrazione finanziaria che hanno adottato una linea rigida anche se astrattamente compatibile con la normativa di riferimento: quella secondo cui alla società semplice sarebbe impedito ogni sconfinamento entro l’ambito dei redditi d’impresa e, di conseguenza, verificandosi la fattispecie, il tipo societario dovrebbe essere riqualificato in società commerciale o società di fatto.

La recente circolare AdE 11/E/2017 sul nuovo regime di cassa per le imprese, sembra indirettamente voler acuire i dubbi che già avvolgono la materia. Nel paragrafo 2, a commento dell’articolo 18 D.P.R. 600/1973, il documento di prassi dispone che sono ammessi alla contabilità semplificata secondo i “nuovi” criteri:

  • le persone fisiche che esercitano imprese commerciali;
  • le imprese familiari e le aziende coniugali;
  • le società di persone commerciali (S.n.c. e S.a.s.);
  • le società di armamento e le società di fatto;
  • gli enti non commerciali con riferimento all’eventuale attività commerciale svolta.

Come si vede, manca del tutto la società semplice: un’esclusione peraltro coerente con lo sviluppo delle norme del D.P.R. 600/1973 e con lo stesso articolo 5 Tuir. Ma allora, da questa esclusione, confermata nell’ennesimo documento ufficiale, si deve desumere che alla società semplice sia precluso dichiarare redditi d’impresa a determinazione analitica? Ad esempio, non potrebbe optare per il regime ordinario in caso di agriturismo? O di allevamento eccedentario? O di attività connesse ex articolo 56-bis Tuir?

Il dubbio è legittimo, e andrebbe fugato con un organico intervento interpretativo.

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