2 Settembre 2016

CFC: nel calcolo del tax rate va considerata anche l’IRAP?

di Andrea MartelliPietro Vitale
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Diversamente da quanto operatori ed esperti del settore si attendevano, l’Agenzia delle entrate nella circolare n. 35/E/2016, in materia di CFC, non ha preso una posizione chiara e risolutiva circa le aliquote impositive da adottare ai fini del confronto fra tax rate estero e domestico, così determinandosi un quadro interpretativo nebuloso ed incoerente sotto il profilo sistematico.

Nel nostro precedente intervento, già avemmo l’occasione di esporre come, a nostro avviso, l’aliquota da utilizzarsi per la comparazione fra tax rate estero e tax rate italiano, al di là della loro “nominatività” od “effettività”, dovesse identificarsi unicamente con quella IRES, e non anche con quella IRAP, per una serie di ragioni che qui per completezza si sintetizzano e richiamano:

  • la disciplina CFC è inserita nell’ambito del TUIR, per cui a livello logico-sistematico si ritiene incoerente la considerazione dell’aliquota IRAP ai fini dell’applicazione di una normativa, quella CFC, che si applica alle sole imposte sui redditi;
  • in tema di applicazione dell’articolo 167, comma 8-bis, del TUIR, la stessa Agenzia chiarì con la circolare n. 51/E/2010 come non occorra tenere conto dell’IRAP. Quindi, diversamene ragionando, si avrebbero due tipologie di CFC (quelle cd. “white” e quelle “black”) trattate diversamente, con una evidente inspiegabile incoerenza all’interno dello stesso corpus di norme, il TUIR.

La circolare n. 35/E/2016 “chiarisce”, senza addentrarsi nella esplicazione della ratio sottostante, come ai fini comparativi debba invece assumersi anche l’aliquota IRAP. Vediamo i punti:

  • nel paragrafo 1.2.3 quando si afferma che: “Ai fini del confronto dei livelli di tassazione nominali, dal lato italiano, in linea con i tradizionali criteri di individuazione della black list, seguiti per la redazione del D.M. 21 novembre 2001, rileva l’aliquota IRES, vigente nel periodo d’imposta in cui si riscontra il requisito del controllo, senza considerare eventuali addizionali. Rileva altresì, l’IRAP, di cui si prende in considerazione l’aliquota ordinaria (attualmente pari al 3,9 per cento)”;
  • nel paragrafo 1.3 quando si afferma che: “Dopo aver calcolato il tax rate effettivo estero, occorre operare un giudizio di congruità. Questo si effettua comparando il medesimo tax rate con il 50 per cento dell’aliquota nominale vigente in Italia oppure, nel caso di fallimento di questo test, si compara il tax rate con il 50 per cento della tassazione virtuale domestica (Cfr. Esempio n. 5). In altri termini, la dimostrazione dell’esimente presuppone che il tax rate effettivo estero venga preliminarmente confrontato con l’aliquota nominale italiana, data dalla sommatoria dell’aliquota IRES e dell’aliquota ordinaria IRAP. Se il tax rate estero risulta superiore al 50 per cento dell’aliquota nominale italiana, così determinata, l’esimente si considera dimostrata”.

Giova peraltro notare che l’Agenzia, nel successivo paragrafo 2.2, avente per oggetto le CFC “white”, a parte un generico rinvio ai concetti di tassazione effettiva estera e virtuale domestica a cui rifarsi per finalità comparative, non rettifica esplicitamente quanto venne chiarito dalla stessa con la circolare n. 51/E/2010, vale a dire l’esclusione dell’aliquota IRAP dalla comparazione fra i tax rate. Infatti, si ricorderà come in quest’ultima circolare l’Agenzia precisò (paragrafo 5.1) che “Ai fini della verifica della condizione prevista dalla lettera a) del comma 8-bis dell’articolo 167 del TUIR, si ritiene opportuno chiarire che, in considerazione della collocazione della CFC rule nel TUIR, il confronto tra la tassazione effettiva estera e quella “virtuale” interna vada condotto considerando esclusivamente le imposte sul reddito, da individuare facendo riferimento, qualora esistente, alla Convenzione per evitare le doppie imposizioni vigente con lo Stato estero, ed escludendo in ogni caso l’IRAP.  In mancanza di una Convenzione tra l’Italia e lo Stato estero, vanno considerate, sul fronte interno, unicamente l’IRES e sue eventuali addizionali, mentre, sul fronte estero, le corrispondenti imposte sul reddito, a prescindere dall’ente riscossore (es. imposte sul reddito federali, statali, eccetera)”.

Pertanto:

  • con la circolare 51/E/2010 l’Agenzia delle entrate espressamente escluse l’IRAP nel calcolo del tax rate delle CFC “white”, nulla dicendo per le CFC “black”;
  • con la circolare 35/E/2016 l’Agenzia precisa, per le sole CFC ex articolo 167, comma 1, del Tuir, che l’IRAP è da includere nel calcolo del tax rate, nulla dicendo per le CFC “white”.

Come può notarsi è evidente come il quadro che ne emerge sia di assoluta incertezza applicativa.

La confusione è appalesata anche da un punto della stessa circolare n. 35/E, ove si afferma che “Tale presunzione può essere superata dimostrando che il carico fiscale è almeno pari al 50 per cento di quello che sarebbe stato scontato laddove la controllata fosse stata residente in Italia”. Non si specifica però che tale ipotetica società controllata debba anche svolgere la propria attività in Italia, presupposto questo che sarebbe il solo a consentire l’inclusione dell’aliquota IRAP nel confronto fra i tassi.

Infatti, la normativa CFC ha lo scopo di “catturare” un reddito che, in linea di principio, andrebbe ricondotto in Italia se la società residente svolgesse – all’estero – il business mediante una stabile organizzazione. A livello metodologico il confronto fra tax rate estero e domestico deve essere effettuato su termini omogenei, pertanto, non ha senso assumere a riferimento un parametro (l’IRAP) completamente irrilevante con la fattispecie: in altri termini, posta la tassazione con la sola IRES sul reddito prodotto dalla stabile, il confronto dei tax rate a nostro avviso dovrebbe riguardare solo l’aliquota IRES.

Insomma si fatica a comprendere perché l’aliquota IRAP debba essere inclusa nel confronto. Sembrerebbe che il comportamento che sta assumendo l’Agenzia, più che fondarsi su ragioni di carattere tecnico-tributario, sia rivolto solo ad incrementare la probabilità che il contribuente non superi il test, al fine di ampliare la platea delle potenziali CFC; ma includere o meno un contribuente in un determinato regime è compito solo del legislatore.

È auspicabile che l’Agenzia chiarisca in via definitiva e sistematica il proprio pensiero.

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Disciplina C.F.C. alla luce dei chiarimenti forniti dalla circolare 35/e/2016