11 Dicembre 2014

Cessioni di beni a clienti UE appartenenti ad un gruppo IVA

di Marco Peirolo
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L’art. 50, comma 1, del D.L. n. 331/1993 stabilisce che, per le cessioni intracomunitarie di beni, la non imponibilità IVA si applica se il cessionario ha comunicato il proprio codice di identificazione, costituito dal numero di partita IVA preceduto dal codice ISO che identifica lo Stato membro di appartenenza.

Nei rapporti commerciali con i clienti di altri Paesi membri, può accadere che il suddetto codice identificativo sia attribuito ad un diverso soggetto. Tale circostanza si riscontra a seguito dello specifico controllo compiuto attraverso il servizio delle partite IVA comunitarie, disponibile su sito Internet dell’Agenzia delle Entrate, indispensabile per poter emettere le fatture di vendita senza l’addebito della relativa imposta.

Nel caso che s’intende esaminare, il cliente, al quale vengono chiesti i necessari chiarimenti, fa sapere che il codice identificativo comunicato è quello del gruppo IVA al quale ha aderito.

In questa situazione è quindi necessario capire se la cessione possa essere comunque fatturata in regime di non imponibilità. In buona sostanza, il cliente – ipotizziamo inglese – facente parte di un gruppo IVA è davvero privo di una propria partita IVA?

Il dubbio si giustifica (anche) nella considerazione che, nel regime dell’IVA di gruppo disciplinato dall’art. 73, comma 3, del D.P.R. n. 633/1972 e dal D.M. 13 dicembre 1979, l’imposta è liquidata e versata unitariamente in capo alla capogruppo, ma le singole società – controllate e controllante – mantengono il rispettivo numero di partita IVA, in quanto continuano ad essere autonome non solo giuridicamente, ma anche fiscalmente.

Sul piano comunitario, il gruppo IVA è regolato dall’art. 11 della Direttiva n. 2006/112/CE, corrispondente all’art. 4, par. 4, dell’abrogata VI Direttiva CEE. In base a tale disposizione, previa consultazione del Comitato IVA, ogni Stato membro può considerare come un unico soggetto passivo le persone stabilite nel territorio dello stesso Stato membro che siano giuridicamente indipendenti, ma strettamente vincolate fra loro da rapporti finanziari, economici ed organizzativi.

Secondo l’Amministrazione finanziaria, benché la disciplina nazionale dell’IVA di gruppo non dia luogo ad una vera e propria unificazione soggettiva delle società facenti parte del gruppo, la stessa attua comunque una deroga, sia pure parziale, ai princìpi di soggettività, prevedendo una procedura unificata di compensazione e versamento del tributo (R.M. n. 347/E/2002). In pratica, la disciplina dell’IVA di gruppo prende le mosse dall’art. 11 della Direttiva n. 2006/112/CE, senza tuttavia accogliere il principio fondamentale in esso contenuto, consistente nel riconoscimento giuridico e fiscale dell’unitarietà del soggetto passivo in presenza di soggetti giuridicamente indipendenti, ma vincolati tra loro da rapporti economici ed organizzativi. Invero, il principio codificato dalla citata norma comunitaria è stato recepito in termini molto ristretti e con contenuto di carattere procedurale, cioè mantenendo sempre l’autonomia giuridica e fiscale delle società interessate, sufficiente a perseguire il fine prefissato che è quello di offrire a dette società un mezzo semplificato di recupero delle eccedenze di credito mediante la compensazione tra debiti e crediti d’imposta emergenti dalle liquidazioni e dichiarazioni di società facenti parte del gruppo (C.M. 28 febbraio 1986, n. 16/360711).

Seppure limitata agli aspetti procedurali, la Corte di giustizia, con la sentenza relativa alla causa C-162/07 del 22 maggio 2008, ha comunque ritenuto che la disciplina nazionale in tema di IVA di gruppo sia compatibile con la normativa comunitaria.

Sta di fatto, però, che l’attuazione del regime del gruppo IVA implica che le società, caratterizzate da vincoli di carattere finanziario, economico e organizzativo, non siano più considerate quali soggetti passivi distinti ai fini dell’IVA, ma un unico soggetto passivo e che al gruppo sia assegnato un unico numero di partita IVA (Corte di giustizia, causa C-162/07).

Ne consegue che le imprese facenti parte del gruppo IVA sono prive di un autonomo numero di partita IVA, così come emerge nel caso ipotizzato, riferito al cliente inglese del fornitore italiano, dal VAT Notice 700/2 (group and divisional registration), aggiornato all’8 agosto 2014.

Nel punto 2.6 del comunicato, si afferma che: “When a VAT group is registered, any previous VAT registration numbers that individual members may have had will be cancelled and a new number will be issued to the group as a whole. This number identifies the group as a taxable person and will remain unchanged, even if the membership is varied or the representative member is changed. This registration number must then be used by all the group members. Similarly, if a group is disbanded, it will be deregistered and any members still liable to be registered, or if entitled, applying to be registered, will be re-registered and given new VAT numbers”.

In definitiva, è corretto che l’impresa italiana, per la cessione di beni al cliente comunitario che abbia comunicato il codice identificativo del gruppo IVA di cui fa parte, applichi il regime di non imponibilità di cui all’art. 41 del D.L. n. 331/1993.