23 Gennaio 2018

Il cantiere configura una stabile organizzazione?

di Marco Bargagli
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Ai sensi dell’articolo 162 Tuir, ai fini delle imposte sui redditi, l’espressione “stabile organizzazione” designa una sede fissa di affari per mezzo della quale l’impresa non residente esercita, in tutto o in parte, la sua attività sul territorio dello Stato.

Nello specifico, l’espressione “stabile organizzazione” comprende: una sede di direzione; una succursale; un ufficio;  un’officina; un laboratorio; una miniera, un giacimento petrolifero o di gas naturale, una cava o altro luogo di estrazione di risorse naturali, anche in zone situate al di fuori delle acque territoriali in cui, in conformità al diritto internazionale consuetudinario ed alla legislazione nazionale relativa all’esplorazione ed allo sfruttamento di risorse naturali, lo Stato può esercitare diritti relativi al fondo del mare, al suo sottosuolo ed alle risorse naturali.

In base alle disposizioni interne, il cantiere di costruzione o di montaggio o di installazione, ovvero l’esercizio di attività di supervisione ad esso connesse, è considerato “stabile organizzazione” soltanto se tale cantiere, progetto o attività ha una durata superiore a tre mesi.

Di contro, nel modello Ocse di convenzione, la regola di permanenza del cantiere di costruzione e montaggio è pari a 12 mesi.

Ai fini Iva, l’articolo 11 Reg. UE 282/2011, del 15 marzo 2011, ha fornito la definizione di stabile organizzazione, prevedendo che la stessa designa qualsiasi organizzazione, diversa dalla sede dell’attività economica definita dall’articolo 10 dello stesso regolamento, caratterizzata da un grado sufficiente di permanenza e di una struttura idonea in termini di mezzi umani e tecnici necessari a consentirle di ricevere e di utilizzare i servizi che le sono forniti per le esigenze proprie di detta organizzazione.

A livello internazionale, l’articolo 5, par. 1, del modello di convenzione Ocse, definisce la stabile organizzazione come una sede fissa di affari per mezzo della quale l’impresa esercita, in tutto o in parte, la sua attività in un determinato territorio.

Ai fini reddituali, ai sensi dell’articolo 7, par. 1, del citato modello Ocse, se l’impresa di uno Stato contraente svolge la propria attività nell’altro Stato contraente per mezzo di una stabile organizzazione ivi situata, gli utili da essa conseguiti sono imponibili, oltre che nello Stato di residenza, anche nello Stato della fonte, ma unicamente nella misura in cui siano attribuibili alla stabile organizzazione stessa.

La giurisprudenza di legittimità ha recentemente chiarito in quali casi un cantiere in Italia può configurare una stabile organizzazione materiale, con particolare riferimento alle attività esercitate da parte di una ditta individuale.

Nello specifico, la suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 28059, pubblicata in data 24 novembre 2017, ha accolto il ricorso del contribuente presentato in seguito ai rilievi mossi da parte dell’Agenzia delle entrate tracciando, simmetricamente, i profili giuridici e fattuali della stabile organizzazione in Italia di un soggetto estero.

Un imprenditore sloveno, titolare di una ditta individuale specializzata in lavori di tubisteria e piccola carpenteria navale, aveva operato in Italia inizialmente da solo e, successivamente, con un gruppo di operai.

La predetta persona fisica aveva agito in regime di sub-appalto presso i cantieri di una società italiana o, in altre circostanze, all’interno di imbarcazioni in allestimento poste sempre all’interno dei medesimi cantieri, senza tuttavia istituire le pertinenti scritture contabili ed omettendo, nel contempo, la presentazione delle prescritte dichiarazioni fiscali ai fini delle imposte dirette e dell’Iva.

L’Amministrazione finanziaria aveva ritenuto che tale attività fosse riconducibile al concetto di “stabile organizzazione in Italia di un soggetto residente all’estero”, proponendo il recupero a tassazione del reddito prodotto nel territorio italiano in seguito all’attività economica svolta presso il citato cantiere.

Il giudice di merito, nei primi due gradi di giudizio, ha affermato che le circostanze di fatto acquisite in atti non consentivano di riconoscere la sussistenza di una stabile organizzazione in Italia in capo all’impresa del cittadino sloveno.

Sul punto, infatti, le attività svolte presso i cantieri della società committente non realizzavano i presupposti di una stabile organizzazione, tenuto conto che:

  • le prestazioni di servizio venivano da operai che quotidianamente oltrepassavano la frontiera;
  • gli stessi operai si avvalevano di modesti attrezzi custoditi presso i luoghi di lavoro;
  • l’Ufficio non aveva chiarito le ragioni per cui detti cantieri, nella titolarità dell’appaltante, assumevano una rilevanza strumentale rispetto alla natura delle prestazioni ed all’attività svolta dalla ditta individuale, funzionale alla produzione del reddito.

Il giudice del gravame ha escluso anche la presenza di una stabile organizzazione personale, atteso che la persona fisica titolare dell’omonima ditta individuale, aveva stipulato contratti in “modo episodico” ed a titolo personale e non in qualità di agente dipendente designato da parte di un’impresa estera.

La suprema Corte di cassazione ha confermato l’interpretazione espressa da parte del giudice di merito, facendo richiamo alla convenzione internazionale contro le doppie imposizioni sui redditi stipulata tra l’Italia e la Repubblica Jugoslava e, segnatamente, all’articolo 7 dell’accordo bilaterale, in base al quale per l’imponibilità del reddito d’impresa del soggetto non residente, sono necessari i seguenti elementi:

  • una presenza che sia incardinata nel territorio dell’altro Stato contraente e dotata di una certa stabilità;
  • una sede di affari capace, anche solo in via potenziale, di produrre reddito;
  • un’attività autonoma rispetto a quella svolta dalla casa madre, dovendo aggiungersi che, ai fini dell’applicazione delle imposte dirette, la relativa indagine deve essere condotta non solo sul piano formale, ma anche e soprattutto  su quello sostanziale.

Ciò posto, gli ermellini hanno pienamente concordato con l’approccio ermeneutico fornito dal giudice di appello, escludendo la tassazione del reddito prodotto in Italia dal cittadino sloveno.

Sotto tale profilo, infatti, il supremo giudice ha ribadito che:

  • le prestazioni svolte dagli operai della ditta individuale presso i cantieri venivano eseguite con modesti attrezzi che, per mera comodità, venivano custoditi presso i cantieri delle committenti;
  • l’Ufficio non aveva provato, come avrebbe dovuto, che i cantieri stessi (intesi come complessiva organizzazione) assolvevano una rilevante funzione strumentale rispetto alle attività ivi eseguite dagli operai della ditta individuale, mentre si era limitato alla mera prospettazione – senza provarla – dell’esecuzione di lavorazioni di complessità tale da richiedere una attrezzatura diversa da quella in dotazione agli operai ed una specifica organizzazione di cantiere, con carattere strumentale rispetto alla natura delle prestazioni eseguite.

In definitiva, nel corso del giudizio di merito e di legittimità non sono stati individuati i tipici elementi che realizzano la presenza sul territorio dello Stato italiano di una stabile organizzazione.

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