31 Dicembre 2020

Ancora in attesa dell’aliquota compensativa per i tartufi

di Alberto RocchiLuigi Scappini
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La scheda di FISCOPRATICO

A distanza di quasi due anni dalla “riforma” che ha segnato il settore della raccolta di tartufi e di altri prodotti del sottobosco, gli operatori del settore sono ancora in attesa di vedere ultimato il quadro normativo di riferimento.

In realtà, il settore è in attesa da molto più tempo di trovare una stabilità: infatti, le novità introdotte con la L. 145/2018 (c.d. Legge di bilancio 2019), con cui i raccoglitori di tartufi vengono riuniti insieme a quelli di prodotti selvatici non legnosi quali funghi, bacche, frutta in guscio, arriva a distanza di più di un decennio dal primo intervento legislativo con cui si cercava di sistematizzare un comparto che inizia ormai a trovare sempre più spazio e rilievo da un punto di vista economico.

Al contempo, non si può non evidenziare la difficoltà di manovra del legislatore che si deve confrontare con un settore, quello primario nel suo insieme, fortemente recalcitrante alle novità.

L’introduzione del nuovo articolo 34-ter nel D.P.R. 633/1972, ha previsto uno specifico regime Iva per i raccoglitori occasionali di tartufi; tuttavia, la norma limita la sua portata applicativa esclusivamente ai soggetti che, nell’anno solare precedente, hanno realizzato un volume d’affari non superiore ad euro 7.000. In tal caso essi sono esonerati dal versamento dell’imposta e da tutti gli obblighi documentali e contabili, compresa la dichiarazione annuale.

Scarne in materia le indicazioni dell’Agenzia delle Entrate, che, nel campo delle imposte dirette, si è limitata ad illustrare le modalità operative di versamento dell’imposta senza mai chiarire in che rapporto debba porsi l’occasionalità nel senso inteso dalla norma una volta trasposta all’interno del decreto Iva, dove la soggettività implica l’esercizio di un’attività imprenditoriale e una pur minima organizzazione.

Ma ancora più urgente è il completamento del percorso normativo per rendere effettivamente operativo il regime speciale dell’iva.

Infatti, lo stesso comma 698 dell’articolo 1 L. 145/2018, con la lettera b), ha fatto rientrare i tartufi tra i prodotti agricoli nella Tabella A, parte I, D.P.R. 633/1972 (n.15-bis), nei limiti delle quantità standard di produzione determinate con decreto del Ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo, emanato di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze,.

La conseguenza immediata è che, per le cessioni di tali prodotti, effettuate da parte di produttori agricoli, si renderebbe applicabile il regime speciale di cui all’articolo 34 D.P.R. 633/1972.

Seppur a distanza di tempo, con il decreto interministeriale 08.01.2020, sono stati individuati i quantitativi standard entro cui il prodotto rientra nel limite necessario per poter applicare il regime speciale Iva agricolo.

Tuttavia, nella realtà pratica tale decreto a oggi non permette ancora di poter applicare il regime Iva di cui all’articolo 34 D.P.R. 633/1972: infatti, ad oggi non è ancora stata individuata l’aliquota compensativa per tali beni.

Come noto, il regime speciale Iva agricolo si sostanzia in una detrazione forfettizzata e non basata sull’effettiva Iva assolta sugli acquisti.

A tal fine, in ragione di ogni singolo prodotto, la cui cessione rientra tra quelle che danno accesso al regime Iva ex articolo 34 D.P.R. 633/1972, vengono individuate le aliquote compensative da applicare alla base imponibile delle cessioni effettuate nel periodo, per poter in tal modo individuare l’ammontare dell’Iva ammessa in detrazione.

Al contrario, in sede di cessione si renderà applicabile, salvo alcune deroghe specifiche individuate al comma 1 dell’articolo 34 D.P.R. 633/1972, sempre l’aliquota edittale.

In ragione di quanto sin qui affermato, è di tutta evidenza che, a oggi, la previsione del legislatore rimane lettera morta.

A questo si deve aggiungere un’ulteriore riflessione in termini di praticità della norma: in particolare, ci si deve domandare come comportarsi in caso di superamento del fatidico quantitativo standard.

Al di là delle difficoltà operative, il meccanismo previsto dal legislatore cozza con la ratio del regime speciale Iva, che affonda le sue radici nel sistema comunitario, dove l’accesso al regime derogatorio non è mai legato alle quantità dei prodotti ma alla natura intrinseca dei beni. A riprova di ciò, non si rinvengono, ad esempio, limiti quantitativi per considerare l’uva quale bene rientrante nella prima parte della Tabella A, semmai il discrimine viene fatto rispetto alla sua successiva lavorazione.

Si consideri, poi, che nel regime speciale ex articolo 34 D.P.R. 633/1972 la contemporanea presenza di operazioni ammesse e “diverse”, configura impresa mista con possibilità di trattare separatamente le due categorie di cessioni: l’una secondo il metodo forfettario, l’altra secondo i criteri ordinari.

Nel caso dei tartufi, dovremmo immaginare un produttore che, avendo superato la quantità standard, si troverebbe a dover trattare una parte delle vendite come “ordinarie” entrando in contrasto con il presupposto fondamentale della norma: l’occasionalità dell’attività.

È gioco forza, pertanto, nell’attuale quadro normativo, ricorrere alla disposizione di cui al comma 11 dell’articolo 34 D.P.R. 633/1972 e optare per l’applicazione dell’Iva secondo le regole ordinarie per tutta la produzione del tartufo, a prescindere dal rispetto o meno del quantitativo standard individuato con il decreto di gennaio.

A ben vedere, quindi, l’attesa per l’emanazione dell’aliquota compensativa può rappresentare una buona occasione per comprendere appieno i propri potenziali produttivi e varare corrette politiche fiscali.