12 Febbraio 2014

Accoppiare i porcospini

di Michele D’Agnolo
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Ogni tanto torna di moda l’idea delle aggregazioni professionali, cioè di provare a costruire degli studi di maggiore dimensione rispetto a quelli mediamente esistenti.

Le motivazioni di queste autentiche ondate epidemiche sono innanzitutto psicologiche, ogni professionista soffre di tanto in tanto di solitudine. Di questi tempi le spinte sono anche fortemente economiche, si perseguono economie di scala, di scopo, di specializzazione, e così via.

Andrebbe innanzitutto tenuto presente che molte delle economie comunemente sperate dai progetti di aggregazione sono illusorie, mentre altre che effettivamente si verificano sono ignorate. Le economie di scala – per esempio – sono inesistenti sui processi primari. Se metti cento contabili in un capannone lavoreranno probabilmente peggio di cinque dentro a uno studio. Esistono invece economie interessanti sui processi di supporto, quali comunicazione esterna, organizzazione, acquisti ecc… Le economie di specializzazione sono rilevanti, ma possono demotivare alla lunga i professionisti e adagiarli sul già noto, inoltre sovente le specializzazioni giuridiche o economiche passano di moda.

Le poche economie sulle risorse umane che eventualmente si fanno sono spesso frutto di razionalizzazioni che si sarebbero dovute fare a monte, a prescindere e antecedentemente alla fusione, che ne costituisce soltanto un alibi. Poiché il personale dello studio è una risorsa discreta, cioè non può essere licenziato con facilità il 15% di una persona, è possibile dalla fusione monetizzare piccole inefficienze che nei singoli studi non potevano essere portate a conto economico proprio per tale motivo.

Esistono anche vantaggi psicologici e i clienti stessi sembrano apprezzare l’irrobustimento delle strutture, purché le parcelle si riducano o al più rimangano costanti e si rimanga seguiti dal solito confessore di sempre.

Spesso però le aggregazioni professionali non durano che il tempo fugace di un breve innamoramento, passato il quale si verificano dissapori, lotte senza quartiere e diaspore laceranti. L’eleganza del nome, spin off, non basta a dissimulare le perdite di avviamento, di motivazione e spesso anche fiscali e patrimoniali causate dalle separazioni.

Con che faccia convincere il cliente che quando tre anni fa gli abbiamo presentato il nostro nuovo socio, dipingendolo come il miglior professionista del mondo, scherzavamo e oggi ci siamo lasciati?

Ancora più spesso, le esperienze negative di aggregazione ci fanno pensare che non ci sia storia per rischiare di nuovo e finiamo, dopo uno o due tentativi maldestri, nuovamente rinchiusi nel nostro solipsismo professionale.

Eppure, per rendere più durature e fattive le aggregazioni professionali sarebbe sufficiente adottare fin dall’inizio un approccio più razionale, legato alla misurazione e composizione dei reciproci interessi economici e psicologici. La trattativa e la gestione dovrebbero assomigliare di più a quando due casate reali accoppiano i loro rampolli e di meno a una coppia di adolescenti il giorno di San Valentino. Deleterio soprattutto l’approccio di chi pensa di aggiustare i dettagli strada facendo. Nelle aggregazioni professionali i dettagli sono tutto, per cui devono affrontarsi e risolversi all’inizio. Altrimenti è meglio niente.

È utile innanzitutto verificare quali sono i desiderata dei soci e il loro commitment al progetto comune (quanto importante è per loro il progetto rispetto alle altre cose della vita e quanto tempo ed energie possono ragionevolmente metterci). Ricordiamoci che in una prestazione di consulenza il commitment, l’impegno è tutto. Poi vedere se tali desiderata trovano una loro composizione, anche prospettica, nella mission e nella vision dello studio. Occorre verificare se il prospettato sodalizio appaia foriero di valore aggiunto ai principali stakeholders dello stesso: soci, clienti, collaboratori e dipendenti chiave, fornitori. Se tutto questo fosse vero, occorre fare un serio e completo business plan. Con questo approccio, se qualcosa non funziona, ce ne si accorge immediatamente.

Spesse volte però i sodalizi professionali non scontano problemi filosofici importanti, ma si incastrano nel classico granellino di sabbia. Basta una parola fuori luogo o una disattenzione a destabilizzare lo studio per anni. Questione di Feeling, si direbbe. È allora opportuno radiografare con attenzione le idiosincrasie degli aggregandi per verificare le affinità elettive, in vista di un pesante menage. Altrimenti il matrimonio rischia di naufragare per il calzino trovato nel corridoio o i capelli nel lavandino.

Si possono tranquillamente tollerare e accomodare in un progetto comune differenze di età, di percorso carrierale, di sesso, di prospettive economiche, purché le si conosca in anticipo. Spesso illustri sconosciuti compongono i loro interessi molto meglio di amici fraterni. Questione di metodo.

Alle volte i sodalizi, nonostante tutte le attenzioni che ci abbiamo messo, finiscono perché viene a mancare la motivazione di uno dei soci. È quello che chiamo l’effetto “Stefano D’Orazio”, in onore del batterista dei Pooh, che dopo 35 anni di sodalizio una mattina si accorse di volere altro dalla vita e lasciò tutti con un palmo di naso.

Altre volte, sono i partner romantici o i familiari dei soci, veri e propri soci occulti dello studio, a lavorare nell’ombra per la disgregazione dello studio. Qui il paragone nel mondo musicale è quello di Yoko Ono, che molti additano come causa della separazione dei Beatles.

La manutenzione dei rapporti tra gli associati, dunque continua quotidianamente anche dopo aver sottoscritto gli accordi ed anzi per tutta la loro durata.

Solo dopo aver svolto tutte le considerazioni che precedono potremo finalmente affrontare il come valutare i rispettivi apporti e il come organizzare la governance dello studio. Attenti qui soprattutto al rischio di perseguire unanimità e collegialità costanti, che possono paralizzare lo studio.

Come vedete, la struttura giuridica da adottare (società tra professionisti, associazione, network, rifatturazioni, società di scopo ecc…) è del tutto inconferente alla buona riuscita di una aggregazione professionale e come tale va decisa per ultima, una volta sciolti tutti gli altri nodi, quelli di sostanza.