21 Novembre 2015

Paga imposte chi vende un quadro di pregio?

di Comitato di redazione
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Nell’ambito della categoria dei redditi diversi, elencate dall’articolo 67 Tuir, si rinvengono anche le attività di natura commerciale non esercitate in via abituale, bensì occasionale.

Ciò significa che, a determinate condizioni, il legislatore tributario ritiene esistente materia imponibile (corrispondente al differenziale tra quanto introitato e quanto speso) al ricorrere di determinate casistiche.

In linea di principio, l’attività commerciale occasionale dovrebbe corrispondere alla situazione dell’attività commerciale abituale, ovviamente privata del requisito della ricorrenza.

Quindi, così come un imprenditore ritrae un reddito (e, talvolta, un imponibile) dalla cessione di un bene che forma oggetto della propria attività di impresa, si potrebbe desumere che un privato possa ritrarre un eventuale reddito dalla cessione (plusvalente) di un singolo bene. La situazione non è difforme dal caso precedente, se non fosse per la frequenza dell’atto posto in essere.

Eppure, ci pare di poter affermare che una analisi di questa natura possa prestare il fianco a più di una critica.

Da un lato, si potrebbe affermare che la vita quotidiana di molte persone è ricca di atti di trasferimento che potrebbero rientrare nella fattispecie generale evocata; pertanto, può sorgere spontaneo l’interrogativo in merito alla possibile esistenza di una reale intenzione del legislatore di assoggettare ad imposizione (eventuale) una molteplicità di atti per i quali appare evidente l’inutilità di forme di controllo e accertamento.

Per altro verso, se vigesse un principio di generale rilevanza della transazioni (anche tra privati), verrebbe spontaneo domandarsi il motivo per cui siano state specificamente previste, nel medesimo articolo 67 Tuir, talune ipotesi (come quelle dei fabbricati e delle aree) che, nei fatti, realizzano null’altro che transazioni di beni. Come a dire che, se fosse vero l’approccio onnicomprensivo, non vi sarebbe stato motivo di isolarne specificamente alcune.

Ed ancora, poiché risulta prudenziale compilare il modello Unico per dare rappresentazione delle operazioni interessate dall’articolo 67, ciò starebbe a significare che risulterebbe necessario riempire le dichiarazioni di ciascun contribuente che, ad esempio, abbia venduto la propria auto; non vi sarà normalmente materia imponibile, ma si potrebbe consigliare comunque la compilazione per evitare possibili censure in merito ad omissione del modello.

Insomma, ci pare assolutamente evidente che non si possa giungere ad affermare, a priori, che la semplice cessione di un bene possa determinare una operazione fiscalmente rilevante.

L’affermazione, peraltro, deve essere condivisa a prescindere dalla dimensione del corrispettivo ritratto, dovendosi rimarcare che non sia equo giungere a conclusioni differenziate in relazione alla differente misura del corrispettivo.

Dunque, se un contribuente cede un quadro, si deve giungere a dire che l’operazione rileva o non rileva fiscalmente a prescindere dal fatto che si tratti di una “crosta” piuttosto che di un dipinto di un famosissimo autore.

In particolare, dunque, a noi sembra rilevare in modo decisivo l’atteggiamento, l’intenzione che anima il contribuente nella realizzazione di quella operazione.

Si pensi, ad esempio, alle seguenti fattispecie:

  • soggetto che possiede un dipinto da sempre presente nella casa di famiglia, che decide di venderlo dopo avere scoperto che si tratta di un bene di elevato valore;
  • soggetto che “batte” i mercatini delle antichità che, sfruttando il suo fiuto e la sua competenza, individua un dipinto di pregio ceduto a prezzo modico e, dopo averlo acquistato, lo pone in vendita.

Nel primo caso risulta assente qualsiasi intento speculativo del soggetto che, a nostro giudizio, deve portare ad affermare l’assenza di operazione rilevante ai fini dell’articolo 67.

Nella seconda fattispecie, invece, si denota un “animus” del contribuente che, anche a solo titolo hobbistico, realizza una ricerca di un quadro, finalizzata, già dal principio, ad ottenere un bene cedibile a prezzo maggiore sul mercato.

Fatto il ragionamento sul singolo bene, risulta possibile ampliare la riflessione.

Se, anziché il singolo pezzo, fosse messa in vendita una collezione di famiglia tanto da configurare 10 cessioni differenti, magari a beneficio di svariati acquirenti, si dovrebbe forse giungere a conclusioni differenti da quelle esposte?

A nostro giudizio no, nel senso che – anche in tal caso –  manca qualsiasi intento speculativo in capo al contribuente che, in sostanza, si limita a monetizzare dei beni che gli sono pervenuti in modo “casuale”; quindi, il valore del bene ancora una volta non dovrebbe influire.

E se oggetto della cessione fosse una collezione costruita nel tempo dal contribuente, magari appassionato di francobolli? La cessione è stata fatta con l’animo di reperire beni da cedere a maggior prezzo?

Ci sembra che la risposta sia ancora negativa, nel senso che il soggetto, magari per 20 anni, ha continuato ad accumulare bolli per il piacere di averli, visionarli, ordinarli, mostrarli a terzi, ecc. Poi, per le più svariate motivazioni, decide di privarsi del “bene” collezione e, non per questo, si può presumere alcun intento speculativo.

Diversamente potremmo dire per l’appassionato che, girando per mercatini, reperisce, ad esempio, dei fumetti, con l’intento – però – di venderli a soggetti interessati; qui l’intento non è quello del collezionista, bensì quello del commerciante. Poi, mancando abitualità di comportamento, il commerciante sarà tale solo a titolo occasionale ma non dovrà aprire la partita Iva.

In tal senso, dunque, ci pare corretto affermare che, senza l’animo di realizzare operazioni commerciali (anche in via occasionale), non si possa giungere ad affermare che vi sia la produzione di materia imponibile.