18 Novembre 2015

La solidarietà Iva tra impresa di costruzioni e acquirente di immobili

di Cristoforo Florio
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L’articolo 60-bis del d.p.r. n. 633/72, introdotto dalla Legge finanziaria 2008 (Legge n. 244/2007), prevede – al comma 3-bis – uno speciale regime di solidarietà passiva tra il venditore (soggetto Iva) e l’acquirente (soggetto Iva o persona fisica) di un immobile, relativamente all’imposta sul valore aggiunto dovuta sulla cessione immobiliare, nonché per le relative sanzioni.

In particolare, la norma citata – in vigore dal 1° gennaio 2008 – prevede che, in caso di corrispettivo di vendita indicato nell’atto di cessione immobiliare (e nella relativa fattura di vendita) differente dal corrispettivo “effettivo”, l’acquirente “(…) è responsabile in solido con il cedente per il pagamento dell’imposta relativa alla differenza tra il corrispettivo effettivo e quello indicato, nonché della relativa sanzione (…)”.

In altri termini, a seguito dell’eventuale emersione di una quota parte di prezzo corrisposta “in nero” nell’ambito di una compravendita immobiliare soggetta ad Iva, l’Agenzia delle entrate potrà, a sua scelta, richiedere al venditore o all’acquirente la maggiore Iva evasa relativa alla parte di prezzo non dichiarata dalle parti, nonché le relative sanzioni.

È interessante rilevare come l’articolo 60-bis citato è la prima disposizione normativa che prevede un coinvolgimento del soggetto non esercente attività d’impresa nel pagamento dell’Iva; per principio generale, infatti, tale imposta ha un ambito di applicazione che comprende esclusivamente gli imprenditori ed i lavoratori autonomi, mentre non riguarda mai il “privato” non imprenditore né libero professionista.

In precedenza, nell’ordinamento tributario italiano esisteva soltanto la norma di cui all’articolo 9 del D.lgs. n. 472/1997, in base alla quale “(…) quando più persone concorrono in una violazione, ciascuna di esse soggiace alla sanzione per questa disposta (…)”.

Tale disposizione era destinata a colpire, tra le altre, anche le ipotesi in cui acquirente e venditore si fossero accordati per stipulare un contratto di vendita con l’indicazione di un corrispettivo inferiore a quello reale, entrambe pienamente consapevoli che – tramite tale patto – l’una (parte acquirente) avrebbe pagato una minore Iva sull’acquisto e l’altra (parte venditrice) avrebbe dichiarato un minor reddito d’impresa (oltre ad un minor volume d’affari).

Tuttavia, nonostante tale previsione legislativa, né gli accertamenti tributari né la giurisprudenza hanno mai evidenziato il coinvolgimento dei soggetti privati acquirenti nei procedimenti di irrogazione delle sanzioni tributarie, ritenendo evidentemente che la sottoscrizione di un contratto notarile di vendita immobiliare con indicazione di un corrispettivo inferiore a quello pattuito non fosse un elemento tale da determinare un concorso della parte acquirente nell’illecito tributario della falsa indicazione del prezzo.

Ciò premesso, andiamo ad analizzare più nel dettaglio i presupposti applicativi del comma 3-bis dell’articolo 60-bis in discussione.

Dalla lettura del testo di legge emerge, innanzitutto, che la responsabilità solidale opera esclusivamente nelle cessioni di immobili con applicazione di Iva; pertanto, sono escluse dallo spettro di azione della norma in esame le vendite (e le costituzioni e/o i trasferimenti di diritti reali) soggette ad imposta di registro, quali potrebbero essere – a mero titolo esemplificativo – le cessioni di fabbricati abitativi oltre il quinquennio dall’ultimazione della costruzione e per le quali il venditore non abbia optato per l’applicazione volontaria dell’Iva.

Per completezza, giova evidenziare che il regime di solidarietà passiva sussiste, pur se con alcune differenze, anche nell’ambito dell’imposta di registro.

Sotto il profilo soggettivo, sono escluse dal campo di applicazione della norma le cessioni di immobili poste in essere da una persona fisica, in quanto al di fuori del campo di applicazione dell’Iva per carenza del requisito soggettivo di cui agli articoli 4 e 5 del d.p.r. n. 633/72. Sempre in relazione all’aspetto soggettivo, va evidenziato che la norma si riferisce sia all’acquirente che agisce nell’esercizio di impresa (soggetto Iva), che all’acquirente privato (non soggetto Iva).

Da quanto sopra può anche desumersi che non è prevista alcuna responsabilità per il conduttore di immobili nel caso in cui la locazione sia soggetta ad Iva e vi sia l’emersione di un corrispettivo non dichiarato dalle parti, in quanto la normativa in esame si riferisce esclusivamente alle cessioni, mentre le locazioni sono considerate – ai fini Iva – prestazioni di servizi, in base all’articolo 3, comma 2, del d.p.r. n. 633/72.

Va inoltre evidenziato che la responsabilità solidale trova applicazione a prescindere dal fatto che l’Agenzia delle entrate dimostri la complicità dell’acquirente con il venditore; se l’ufficio accertatore è in grado di dimostrare che il corrispettivo indicato nell’atto di cessione è inferiore a quello effettivo, anche l’acquirente è tenuto a pagare, seppure in solido con il venditore, la maggiore imposta e le correlate sanzioni.

L’ultima parte del comma 3-bis dell’articolo 60-bis prevede inoltre una speciale procedura di regolarizzazione a carico dell’acquirente dell’immobile privato consumatore.

Quest’ultimo, infatti, può regolarizzare la violazione e, così, evitare di subire il meccanismo della solidarietà passiva, versando la maggiore Iva dovuta entro sessanta giorni dalla stipula dell’atto notarile, presentando presso l’Agenzia delle entrate territorialmente competente – entro lo stesso termine temporale – la copia dell’attestazione del pagamento e delle fatture oggetto della regolarizzazione.

Ciò detto, risulta opportuno approfondire il presupposto oggettivo di applicazione della norma; come chiarito dall’Agenzia delle entrate con la circolare n. 8/E del 13 marzo 2009, la disposizione di cui al comma 3-bis dell’articolo 60-bis del decreto Iva (…) non assume quale parametro di riferimento il “valore normale” dell’immobile trasferito (…). La differenza è sostanziale, in quanto, il “valore normale” rappresenta una presunzione legale utilizzabile nell’accertamento ai fini Iva e ai fini delle imposte sui redditi, fondato sul “prezzo o corrispettivo mediamente praticato per beni o servizi della stessa specie o similari in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui è stata effettuata l’operazione o nel tempo e nel luogo più prossimi” (articolo 14, terzo comma, del D.P.R. n. 633 del 1972); il  comma 3-bis trova invece applicazione esclusivamente nell’ipotesi di effettiva divergenza tra l’importo dichiarato e quello percepito dal venditore.

Ne consegue che la responsabilità solidale prevista da tale norma non trova applicazione in caso di accertamento della maggiore imposta basato sul cosiddetto “valore normale. Tale conclusione si fonda su di un’interpretazione letterale e logico-sistematica dell’impianto normativo dettato ai fini Iva, in quanto la responsabilità solidale dell’acquirente rappresenta un’ipotesi eccezionale, che va limitata ai casi tassativamente previsti dal Legislatore. Ne consegue, in mancanza di un’espressa previsione normativa, che non è possibile estendere la responsabilità solidale dell’acquirente anche al caso in cui la maggiore imposta derivi da un accertamento in base al cosiddetto “valore normale”.

Resta opportuno precisare che, dalla normativa sopra descritta, resta fuori l’ipotesi, invero piuttosto frequente, del recupero di Iva da corrispondere per effetto dell’eventuale disconoscimento delle agevolazioni “prima casa”, di cui all’articolo 1, nota II-bis della Tariffa Parte I allegata al d.p.r. n. 131/1986; in tale ipotesi, infatti, le maggiori imposte nonché le sanzioni sono richieste esclusivamente all’acquirente, potendo l’Amministrazione finanziaria rivolgersi nei soli confronti di quest’ultimo, posto che non vi è alcuna solidarietà con il cedente.