22 Giugno 2016

La cessione dei Tee da parte dell’imprenditore agricolo

di Luigi Scappini
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Quando si parla di energie rinnovabili quasi sempre il pensiero va al fotovoltaico e ai relativi contributi consistenti nella tariffa incentivante, tuttavia, come noto, vi sono anche altre tecniche di sfruttamento della natura per l’ottenimento di energia pulita, quali le biomasse e l’eolico. Nel momento in cui si allarga l’orizzonte di riferimento, aumentano anche le forme incentivanti previste dal Legislatore.

Tra queste vi sono anche i Tee (Titoli di efficienza energetica), conosciuti anche come “certificati bianchi”, introdotti con l’articolo 10, D.M. 20 luglio 2004 e successivamente disciplinati con i D.M. 21 dicembre 2007 e 28 dicembre 2012.

I certificati bianchi sono delle attestazioni scritte che certificano l’ottenimento di risparmi energetici.  Ogni singolo Tee “certifica” un risparmio pari a 1 tonnellata di petrolio (TEP).

Detti certificati vengono erogati da parte del GME (Gestore del mercato elettrico) a favore dei distributori di energia elettrica e di gas naturale, delle società controllate dai distributori e delle cosiddette E.S.Co (energy service company).

In particolare, i certificati bianchi vengono rilasciati previa presentazione di progetti che, ai sensi dell’articolo 7, comma 1, lettera e), D.M. 28 dicembre 2012, può avvenire anche a cura di imprese operanti nel settore agricolo, a condizione che “provvedano alla nomina del responsabile per la conservazione e l’uso razionale dell’energia applicando quanto previsto all’articolo 19, comma 1, della legge 9 gennaio 1991, n. 10, ovvero si dotino di un sistema di gestione dell’energia certificato in conformità alla norma ISO 50001 e mantengano in essere tali condizioni per tutta la durata della vita tecnica dell’intervento”.

In ragione di quanto detto, le imprese agricole possono direttamente o per il tramite di una E.S.Co. presentare tali progetti e fruire quindi dell’assegnazione dei titoli che successivamente vengono venduti sul mercato energetico.

La cessione di tali titoli determina un’integrazione ai “ricavi” che può assimilarsi a un contributo in conto esercizio, con la conseguenza che, nel caso di un ordinaria impresa, si originano dei ricavi imponibili ai sensi dell’articolo 85, Tuir.

Ma, atteso che, come detto, i certificati bianchi possono essere assegnati anche a imprese agricole, bisogna domandarsi se, in tal caso, gli stessi assumano autonoma rilevanza oppure siano inglobati nel reddito agrario di cui all’articolo 32, Tuir, sulla falsariga di quanto previsto per i certificati verdi e confermato dall’Agenzia delle entrate con la circolare n. 32/E/2009.

Questa seconda impostazione è stata ritenuta confacente anche alla fattispecie in oggetto in occasione della consulenza giuridica n. 954-21/2014 del 15 maggio 2015.

Tuttavia, la semplicità di soluzione offerta nel documento di prassi, non si rende immediatamente applicabile nella operatività quotidiana, soprattutto in ragione del campo in cui attualmente l’erogazione dei certificati bianchi trova sviluppo, quello delle produzioni di vegetali in serra.

Vediamo il perché di tale affermazione.

L’Agenzia delle entrate, nella consulenza giuridica, individua 2 casi di erogazione dei certificati bianchi:

  • quella nei confronti di soggetti societari (escluse le società semplici) che determinano il reddito secondo le regole ordinarie, e che quindi non abbiano fruito dell’opzione per la determinazione del reddito secondo le regole catastali, per i quali i proventi della successiva cessione rilevano secondo le regole ordinarie del reddito d’impresa e quindi generano ricavi ex articolo 85, Tuir e
  • quella a beneficio di soggetti che per natura (ditte individuali, enti non commerciali e società semplici) o per opzione (società agricole ex D.Lgs. 99/2004) determinino il reddito ai sensi dell’articolo 32 Tuir, nel qual caso i ricavi delle cessioni sono assorbite nel reddito agrario dichiarato.

A ben vedere, nel caso di ottenimento di certificati bianchi per il tramite di impianti “connessi” alle produzioni in serra, nella realtà operativa, si può verificare che il contribuente non vada a dichiarare il solo reddito agrario, infatti, l’articolo 32, comma 2, lettera b), Tuir, individua un parametro da rispettare: la superficie adibita alla produzione non deve eccedere il doppio di quella del terreno su cui la produzione stessa insiste.

In caso di mancato rispetto si origina un reddito di impresa che, tuttavia, sarà determinato:

  • analiticamente per le imprese commerciali, a prescindere dall’opzione per la determinazione catastale del reddito o
  • forfettariamente ex articolo 56-bis, Tuir, per gli imprenditori agricoli individuali.

Ecco che allora il quadro generale di riferimento si complica quando i certificati bianchi vengono ottenuti in diretta connessione con un attività che eccede i limiti previsti.

Le soluzioni ipotizzabili, in attesa di una presa di posizione ufficiale da parte dell’Agenzia delle entrate sono:

  • in caso di soggetto che può fruire del regime di tassazione forfettario ex articolo 56-bis Tuir, l’eccedenza costituisce sempre un reddito extra agrario, ragion per cui i proventi derivanti dalla cessione dei certificati bianchi, per la parte che, in proporzione, eccede il reddito agrario, dovrebbero rappresentare un contributo in conto esercizio ai sensi dell’articolo 85, Tuir e costituire un reddito d’impresa;
  • in caso di società agricola ex articolo 2, D.Lgs. 99/2004, che ha optato per la tassazione catastale, i proventi derivanti dalla cessione dei certificati bianchi sono direttamente agganciati a quelli del reddito eccedente il limite di agrarietà e quindi seguiranno le regole ordinarie del reddito di impresa, senza determinare il venir meno della tassazione catastale per la parte rientrante nei parametri di cui all’articolo 32, Tuir. In tal senso sembra deporre da ultimo la risoluzione n. 86/E/2015.