30 Luglio 2015

Il trattamento fiscale degli immobili patrimonio

di Federica Furlani
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L’art. 90 Tuir, nel prevedere che gli immobili patrimonio, proprio perché estranei al normale svolgimento dell’attività di impresa, non concorrono alla formazione del reddito d’impresa sulla base dei costi e ricavi ad essi afferenti, distingue, per la determinazione dei relativi proventi, in relazione al luogo in cui l’immobile è situato:

  • gli immobili situati nel territorio dello Stato seguono la disciplina dei redditi fondiari (art. 37 Tuir);
  • gli immobili situati all’estero seguono le disposizioni dell’art. 70 Tuir.

Definiamo innanzitutto come immobili patrimonio quegli immobili che non sono né strumentali né merce ma che costituiscono un mero investimento per l’impresa e concentriamoci sugli immobili situati nel territorio dello Stato.

Per gli immobili patrimonio non locati il reddito è determinato in base alla rendita catastale rivalutata, sulla base di una percentuale di rivalutazione che dipende dalla tipologia di immobile.

Ai sensi dell’art. 3, commi da 48 a 52, L. 662/96:

  • per i terreni, alle rendite iscritte in catasto va applicato un coefficiente di rivalutazione pari rispettivamente a:
  1. 80% per il reddito dominicale;
  2. 70% per il reddito agrario.

Limitatamente al triennio 2013-2015 la L. 218/2012 (Legge di Stabilità 2013) ha previsto un’ulteriore rivalutazione dei redditi dominicale e agrario pari al:

  • 15% per la generalità dei terreni;
  • 5% per i terreni posseduti e condotti da coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali iscritti alla previdenza agricola;

da applicarsi sull’importo già rivalutato come sopra indicato (80% reddito dominicale, 70% reddito agrario).

  • per i fabbricati, le rendite catastali devono essere rivalutate del 5%.

Inoltre nel caso di unità immobiliari tenute a disposizione, si applica la maggiorazione di 1/3 ex art. 41 Tuir.

Se invece gli immobili patrimonio sono locati, concorrono a formare il reddito di impresa per una somma pari al maggiore tra i seguenti importi:

  • rendita catastale rivalutata del 5%;
  • il canone di locazione pattuito in contratto ridotto, fino ad un massimo del 15% del canone medesimo, dell’importo delle spese documentate di manutenzione ordinaria di cui alla lettera a) del comma 1 dell’art. 3 D.P.R. 380/2001.

La deduzione del canone di locazione è riconosciuta esclusivamente in via analitica per le sole spese di manutenzione ordinaria definite, dalla sopra richiamata norma, quali “interventi edilizi che riguardano le opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici e quelle necessarie ad integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti”, mentre non possono essere portati in riduzione del canone di locazione gli interventi di manutenzione straordinaria, di restauro e risanamento conservativo, di ristrutturazione edilizia.

Le spese di manutenzione ordinaria così individuate possono essere portate in riduzione del canone di locazione fino ad un massimo del 15% del canone medesimo solo se “documentate“: il sostenimento di tali spese deve quindi essere adeguatamente comprovato per mezzo di contratti, attestazioni di pagamento, fatture e ricevute fiscali.

La norma richiede, inoltre, che le spese di manutenzione ordinaria siano “effettivamente rimaste a carico” dell’impresa locatrice. Se pertanto le parti stabiliscono nel contratto di locazione che le spese di manutenzione ordinaria siano addebitate al conduttore anziché al locatore, quest’ultimo non potrà dedurre gli importi delle spese in argomento e il canone rileverà per l’intero ammontare contrattualmente previsto.

Se le spese di manutenzione ordinaria sostenute da un’impresa risultano, in un determinato periodo d’imposta superiori al limite del 15%, l’eccedenza non rileva nei periodi d’imposta successivi, anche se l’importo delle spese sostenute nel corso di essi sia inferiore al predetto limite.

Un caso particolare è rappresentato dagli immobili di interesse storico o artistico, i cui proventi concorrono alla formazione del reddito di impresa sulla base della rendita catastale rivalutata del 5% e poi ridotta del 50%, e non trova applicazione l’art. 41 Tuir, che prevede l’aumento di un terzo del reddito relativo a unità immobiliari tenute a disposizione.

Se invece sono locati a terzi, concorrono a formare il reddito di impresa in misura pari al 65% del canone contrattuale, se questo è superiore al reddito minimo ordinario (rendita catastale rivalutata del 5% e poi ridotta del 50%).

Rispetto agli immobili non vincolati quindi:

  • la riduzione del canone di locazione è pari al 35%;
  • la riduzione è forfetaria e non analitica.

La principale conseguenza della determinazione del reddito degli immobili patrimonio secondo le regole dei redditi fondiari consiste infine nell’impossibilità di dedurre dal reddito di impresa le spese e gli altri componenti negativi relativi agli immobili stessi, compresi gli ammortamenti.