12 Dicembre 2015

Dopo i 90 giorni dalla scadenza, la dichiarazione è davvero omessa?

di Comitato di redazione
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Dedichiamo, oggi, una riflessione ad una questione che diverrà di attualità dal prossimo 2016; la premessa, dunque, è che parliamo di un concetto che per divenire concreto abbisogna ancora di qualche settimana.

Il tema che ci interessa è quello della dichiarazione omessa e delle eventuali sanzioni amministrative connesse a tale violazione.

La norma base di riferimento si rinviene nel DPR 322/1998 che, all’articolo 2, comma 7 prevede che: “Sono considerate valide le dichiarazioni presentate entro novanta giorni dalla scadenza del termine, salva restando l’applicazione delle sanzioni amministrative per il ritardo. Le dichiarazioni presentate con ritardo superiore a novanta giorni si considerano omesse, ma costituiscono, comunque, titolo per la riscossione delle imposte dovute in base agli imponibili in esse indicati e delle ritenute indicate dai sostituti d’imposta”.

Il regime sanzionatorio è invece previsto dall’articolo 1 del decreto legislativo 471/1997, recentemente modificato dai decreti attuativi della legge delega fiscale, che dovrebbe entrare in vigore dal prossimo 1° gennaio 2016 per effetto di quanto attualmente previsto dalla bozza di Legge di Stabilità 2016.

In particolare, la norma prevede che:

  • “Nei casi di omessa presentazione della dichiarazione ai fini delle imposte sui redditi e dell’imposta regionale sulle attività produttive, si applica la sanzione amministrativa dal centoventi al duecentoquaranta per cento dell’ammontare delle imposte dovute, con un minimo di euro 250. Se non sono dovute imposte, si applica la sanzione da euro 250 a euro 1.000.
  • Se la dichiarazione omessa è presentata dal contribuente entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo e, comunque, prima dell’inizio di qualunque attività amministrativa di accertamento di cui abbia avuto formale conoscenza, si applica la sanzione amministrativa dal sessanta al centoventi per cento dell’ammontare delle imposte dovute, con un minimo di euro 200. Se non sono dovute imposte, si applica la sanzione da euro 150 a euro 500.
  • Le sanzioni applicabili quando non sono dovute imposte possono essere aumentate fino al doppio nei confronti dei soggetti obbligati alla tenuta di scritture contabili”.

Ci interessa, in particolar modo, la previsione esposta nel secondo punto dell’elenco che precede; si tratta di un nuovo rimedio teso a rendere meno gravosa la sanzione nel caso di dichiarazione omessa, qualora il contribuente si attivi in modo spontaneo, sia pure tardivamente, per rimuovere la violazione.

In assenza dell’inizio di qualunque attività accertativa e di controllo di cui si sia avuta formale conoscenza, si prevede una riduzione della sanzione “standard”, che scende – nella misura minima – dal 120 al 60%, con indubbio vantaggio.

Ciò che appare strano è che la norma testualmente prevede che “Se la dichiarazione omessa è presentata dal contribuente …”; si tratta di comprendere cosa il Legislatore abbia voluto intendere con questa locuzione.

Ci sembra possibile ipotizzare due soluzioni differenti.

La prima di chiave formalistica e letterale: ciò che si vuole concedere è semplicemente una riduzione della misura delle sanzioni dirette applicabili, ferme restando le altre conseguenze del comportamento omissivo posto in essere. Ad esempio, fermo restando il fatto che la omessa dichiarazione del reddito di impresa consente l’applicazione dell’accertamento induttivo “puro” di cui all’articolo 39, comma 2 del DPR 600/1973, che l’eventuale credito maturato dal contribuente non venga riconosciuto in via automatica, eccetera.

La seconda, di natura logico sistematica, tesa a voler riconoscere nel nuovo rimedio inserito un beneficio a tutto tondo, con la conseguenza di accordare al rimedio spontaneo e tempestivo un effetto “sanante” complessivo delle conseguenze negative connesse alla omessa presentazione del modello che, poiché inviato prima dell’interessamento dell’amministrazione alla posizione, determina la sola applicazione delle sanzioni ridotte, ma non gli altri effetti “collaterali”.

La prima ricostruzione è certamente più fedele al dettato normativo, mentre la seconda sembra essere meglio raccordata con la filosofia che ha ammantato l’intero processo di revisione del sistema sanzionatorio già dallo scorso mese di gennaio 2015; in allora, infatti, si tese ad assegnare nuova importanza e rilevanza all’utilizzo del ravvedimento operoso come rimedio volontario di emenda dei propri errori.

Oggi, il completamento della revisione delle sanzioni operato con la legge delega non fa altro che incrementare tale approccio collaborativo, con la conseguenza che sembrerebbe più equo riconoscere un pieno effetto sanante alla collaborazione attiva prestata dal contribuente che provvede a presentare un modello in precedenza non trasmesso.

Tale aspetto, come molti altri del nuovo panorama sanzionatorio, meriterebbe una precisazione ufficiale in merito alla reale portata, tenuto conto del fatto che, in virtù del favor rei, potrebbe rendersi applicabili anche a violazioni del passato. Certamente, una miglior tecnica legislativa potrebbe aiutare, ma questo pare davvero una chimera.