2 Dicembre 2016

Un emendamento approvato in commissione ma non in aula … un peccato

di Guido Martinelli
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La sesta commissione della Camera (Finanze), su proposta del Presidente, aveva approvato lo scorso 10 novembre un emendamento al disegno della legge di bilancio 2017 che non è stato però accolto nella bozza del provvedimento legislativo.

Va detto che quanto proposto avrebbe meritato, forse, ad avviso di chi scrive, maggiore considerazione per gli indubitabili effetti positivi che avrebbe potuto avere per il mondo dello sport. Proprio per questo ne vogliamo esporre i contenuti.

Sostanzialmente tre sono le novità che erano contenute nella proposta di modifica. La prima riconosceva alle imprese la detraibilità, ai fini dell’Iva, e la deducibilità, ai fini delle imposte sul reddito, delle spese relative all’acquisto, alla costruzione, all’allestimento, al funzionamento e alla manutenzione ordinaria e straordinaria di attrezzi, strutture e impianti sportivi aziendali destinati esclusivamente ai dipendenti delle imprese, o assimilati, e ai loro familiari. La norma, se fosse stata approvata, avrebbe dato nuova vita ai CRAL aziendali, realtà che nella seconda metà del ‘900 hanno dato risposte importanti alla domanda di sport dei lavoratori e che oggi, complici anche difficoltà di carattere fiscale, vive in un limbo non meglio definito.

La seconda incrementava l’importo su cui calcolare la detrazione per l’iscrizione ai corsi sportivi dagli attuali 210 euro a 600 e ne estendeva l’applicazione a tutti e non più solo ai minorenni. È pacifico che il costo per la partecipazione alle attività sportive organizzate costituisce motivo di distacco dalla pratica sportiva per molti. L’incrementato del plafond fiscale e l’allargamento della platea degli aventi diritto sicuramente avrebbe facilitato l’accesso ai corsi sportivi e aumentato la “trasparenza” dei rendiconti delle associazioni e società sportive organizzatrici.

Ma, senza tema di smentita, l’innovazione più importante sarebbe stata la terza. Ossia l’assoggettamento ad aliquota agevolata ai fini Iva del cinque per cento per: “l’iscrizione annuale e abbonamento ad associazioni sportive, palestre, piscine, ed altre strutture ed impianti sportivi destinati alla pratica sportiva dilettantistica rispondenti alle caratteristiche individuate con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri o Ministro delegato di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze”.

Sento già l’obiezione: ma se i nostri sodalizi sportivi oggi, per la maggior parte, svolgendo attività solo in favore di soci o tesserati operano fuori campo Iva, ai sensi di quanto previsto dall’articolo 4, comma 4, del D.P.R. 633/1972, perché mai questa sarebbe stata una modifica da salutare con favore?

In origine i costi delle sportive erano dati, per la maggior parte, dalle quote versate a vario titolo alle Federazioni o enti di promozione sportiva di appartenenza e dal costo dei tecnici e degli atleti. Tutti costi fuori campo Iva. Gli unici acquisti assoggettati erano quelli del materiale sportivo. Detta imposta veniva assolta come consumatore finale ma incideva in quota percentuale molto bassa.

Oggi i sodalizi sportivi, in special modo quelli che gestiscono in convenzione impianti sportivi pubblici, hanno circa, in media, tra il 40 e il 60% dei propri costi ivati. Ci riferiamo, in particolare, a:

  • manutenzioni ordinarie e straordinarie;
  • utenze;
  • arredi e infrastrutture;
  • materiale sportivo;
  • professionisti;
  • costi acqua (per piscine);
  • canoni comunali.

Non potendo applicare l’Iva in rivalsa sulle vendite, questa diventa un costo aggiuntivo a carico del gestore sportivo che applica l’articoli 148 Tuir sui corrispettivi.

Si aggiunge che le verifiche fino ad oggi effettuate alle associazioni o alle società sportive che utilizzano in maniera “importante” la defiscalizzazione sui corrispettivi specifici versati da associati o tesserati hanno quasi sempre dato luogo all’emissione di avvisi di accertamento in quanto, la circostanza che il tesseramento o la domanda di ammissione a socio sia contestuale all’iscrizione al corso o all’abbonamento di frequenza, porta a ritenere che quest’ultimo adempimento sia un mezzo per iscriversi e non il fine, come invece richiederebbe la norma fiscale, per un eventuale successivo ingresso in palestra.

Ma se l’aliquota applicata sulle vendite fosse quella del 5%, avendo quasi tutti acquisti al 22%, ciò ci porterebbe a poter rendere commerciale tutta l’attività dei corsi, nella massima trasparenza amministrativa, anche ai fini della detrazione di cui abbiamo parlato prima, senza nessuna perdita finanziaria in quanto la rivalsa sull’imposta assolta sugli acquisti produrrebbe un credito da poter conguagliare con altri eventuali tributi dovuti con conseguente ancora maggior vantaggio per la sportiva medesima.

Con, di fatto, un costo praticamente irrisorio per le finanze pubbliche ma con grossi vantaggi in termini di trasparenza e di concorrenza sul mercato potendo così mettere, sullo stesso piano, sia le imprese profit che il mondo dello sport dilettantistico.

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Gli aspetti fiscali degli enti associativi