9 Settembre 2015

Trust e passaggio generazionale dell’impresa

di Sergio Pellegrino
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Dopo aver analizzato nel contributo pubblicato la scorsa settimana il trust a favore dei soggetti disabili, soffermiamoci oggi su un altro utilizzo particolarmente importante dell’istituto e cioè l’impiego del trust per gestire in modo ottimale il passaggio generazionale dell’impresa di famiglia.


 

Nonostante il nostro ordinamento da qualche anno contempli un istituto specificamente dedicato a favorire il passaggio generazionale delle imprese di famiglia, vale a dire il patto di famiglia, la prassi operativa ci evidenzia come il trust abbia incontrato un maggior gradimento nelle scelte effettuate da parte degli imprenditori, consentendo di perseguire queste finalità con maggiore flessibilità e pertanto efficacia pratica.

Nel momento in cui un imprenditore si pone il problema di pianificare il passaggio generazionale del proprio patrimonio, ed in particolare dell’azienda di famiglia, si trova a dover fronteggiare due questioni fondamentali, che possono divenire confliggenti creando tensioni fra i componenti del nucleo familiare: da un lato, vi è la necessità di garantire un’equa ripartizione del patrimonio fra gli interessati, dall’altro, l’esigenza di fare in modo che il controllo dell’impresa passi in mano al soggetto ritenuto più adatto, garantendosi, in questo modo, maggiori possibilità che l’impresa “sopravviva” all’imprenditore.

Per quanto riguarda il primo aspetto, e cioè quello di un’equilibrata trasmissione della ricchezza fra i componenti della famiglia, in realtà non sono rari i casi in cui si vorrebbero fare importanti distinzioni da questo punto di vista fra di essi, fino ad arrivare, in casi estremi, al tentativo di “diseredare” quelli non ritenuti, a torto o ragione, meritevoli.

Sul punto va sempre rammentato però come nel nostro ordinamento le regole sulla “successione necessaria” siano inderogabili: né il trust, né, allo stesso modo, altri istituti, possono violare i diritti dei legittimari, ai quali viene riconosciuta la possibilità di attivare l’azione di riduzione nei confronti di attribuzioni che siano lesive delle prerogative ad essi riconosciute dalla legge.

Apparentemente il patto di famiglia risponde meglio a questa esigenza, essendo finalizzato proprio a preservare il trasferimento dell’impresa al discendente “eletto” da azioni di riduzione attivabili da parte dei legittimari, che sono stati compensati con una somma o con beni di ammontare corrispondente al valore delle quote di loro spettanza.

In realtà, e qui veniamo alla seconda delicata questione evidenziata in precedenza, la finalità perseguita dall’imprenditore generalmente è quella di trasferire al soggetto individuato come proprio successore il controllo dell’impresa – piuttosto che l’integrale proprietà delle partecipazioni come avviene invece con il patto di famiglia –, con l’obiettivo che l’azienda venga gestita nell’interesse dell’intera famiglia e, idealmente, tramandata alle future generazioni.

La superiorità del trust da questo punto di vista si afferma non soltanto in un’ottica, pur importante, di equità, quanto anche nella possibilità da parte dell’imprenditore di definire le regole che dovranno essere seguite nel governo dell’impresa: in questo modo può essere pertanto garantita effettivamente una continuità nella gestione aziendale, difficilmente realizzabile con il patto di famiglia (in considerazione del fatto che questo realizza un pieno trasferimento della proprietà delle partecipazioni al soggetto o ai soggetti prescelti).

Qualora nessuno dei discendenti sia ritenuto idoneo ad assumere il controllo dell’azienda di famiglia, il trust presenta un ulteriore importante vantaggio, e cioè la possibilità di indirizzare la scelta della guida aziendale al di fuori del nucleo familiare (magari anche soltanto temporaneamente, in attesa che il discendente individuato per assumere questo ruolo acquisisca la necessaria maturità).

Ciò è possibile proprio perché il trust permette di separare il governo dell’impresa dal diritto alla percezione della ricchezza da questa prodotta, consentendo in questo modo di stemperare le tensioni che altrimenti inevitabilmente si verrebbe a creare.

Altro elemento da tenere in debita considerazione è poi quello dell’effetto protettivo che il trust garantisce alle partecipazioni trasmesse (e, se ben strutturato, anche agli utili che l’impresa genererà nel corso del tempo): anche in questo caso il patto di famiglia non regge il confronto, essendo invece le partecipazioni ricevute dall’assegnatario perfettamente credibili dai propri creditori.

Per quanto riguarda la disciplina fiscale, invece, non ci sono distinguo da fare: anche al trust, così come al patto di famiglia, risulta applicabile la normativa di favore contenuta nell’articolo 3 comma 4 ter del decreto legislativo 346/1990, finalizzata ad agevolare i passaggi generazionali e che prevede, a determinate condizioni, l’esclusione da imposizione per i trasferimenti a favore dei discendenti e del coniuge di aziende o rami aziendali, quote sociali e azioni (si veda il pezzo “La base imponibile per la tassazione degli atti di dotazione del trust pubblicato su Euroconference NEWS lo scorso 26 agosto).

 

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Temi questioni Trust Sergio Pellegrino

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