15 Dicembre 2022

Transfer Price: come valutare la congruità delle royalties infragruppo?

di Marco Bargagli
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La scheda di FISCOPRATICO

Come noto, la normativa conosciuta tra gli addetti ai lavori come transfer price è contenuta:

  • nell’articolo 110, comma 7, Tuir, il quale prevede che: “I componenti del reddito derivanti da operazioni con società non residenti nel territorio dello Stato, che direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa, sono determinati con riferimento alle condizioni e ai prezzi che sarebbero stati pattuiti tra soggetti indipendenti operanti in condizioni di libera concorrenza e in circostanze comparabili se ne deriva un aumento del reddito. La medesima disposizione si applica anche se ne deriva una diminuzione del reddito, secondo le modalità e alle condizioni di cui all’articolo 31-quater del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600”;
  • nelle linee guida Ocse, nella recente edizione 2022, che ha aggiornato i precedenti documenti pubblicati nel report 2017, con il precipuo scopo di chiarire talune questioni interpretative, semplificare la materia che da sempre crea notevoli problemi applicativi, tracciando nuove interpretazioni circa le modalità di valutazione dei beni immateriali (intangibles) e l’applicazione del metodo reddituale denominato profit split.

Le raccomandazioni internazionali rilevano che i rapporti economici e commerciali intercorsi tra imprese consociate, appartenenti allo stesso Gruppo multinazionale, devono essere in linea con i valori conformi al principio di libera concorrenza (c.d. arm’s length principle), così come sancito dall’articolo 9, paragrafo 1, del modello Ocse di convenzione.

Una questione di particolare rilevanza investe le modalità di determinazione dei valori da applicare alle royalties infragruppo tenuto conto che, nella prassi commerciale, molto spesso la casa madre addebita canoni alle consociate per concedere il diritto di sfruttamento dei diritti immateriali (es. know how, marchi, brevetti etc.).

Sullo specifico punto, la circolare del Ministero delle Finanze – Imposte Dirette, datata 22 settembre 1980, n. 32, contiene alcune importanti indicazioni in subiecta materia, specificando che in relazione alla difficoltà di enucleare criteri analitici di determinazione del valore normale delle transazioni aventi ad oggetto beni immateriali, considerata l’esigenza di certezza per il contribuente e la necessità di un rapido accertamento per l’Amministrazione, viene ritenuta opportuna la predeterminazione di “valori normali” da ritenere congrui, in linea di massima e fermo restando quanto detto sopra, alle seguenti condizioni:

  • canoni fino al 2% del fatturato: potranno essere accettati dall’Amministrazione quando la transazione risulta da un contratto redatto per iscritto, che sia anteriore al pagamento del canone e risulti sufficientemente documentata l’utilizzazione e, quindi, l’inerenza del costo sostenuto;
  • canoni oscillanti tra il 2% e il 5%: gli stessi potranno essere ritenuti congrui, oltre che alle condizioni di cui al punto precedente, qualora:
  • i dati “tecnici” giustifichino il tasso dichiarato (in caso di effettuazione di ricerche e sperimentazioni, obsolescenza inferiore all’anno o meno, vita tecnica, originalità, risultati ottenuti,);
  • il tasso dichiarato sia giustificato dai dati “giuridici” emergenti dal contratto (diritto di esclusiva, diritto di concedere sub-licenze, diritto di sfruttamento delle scoperte o sviluppi del bene immateriale ecc.);
  • sia comprovata l’effettiva utilità conseguita dal licenziatario;
  • i canoni superiori al 5% del fatturato potranno invece essere riconosciuti solo in casi eccezionali, giustificati dall’alto livello tecnologico del settore economico in questione o da altre circostanze.

Anche la circolare 1/2018 del Comando Generale della Guardia di Finanza, volume III, pagina n. 380 rileva che una particolare attenzione, in tema di politiche sui prezzi di trasferimento, andrà posta alla verifica delle condizioni commerciali/finanziarie in caso di prestazioni di servizio infragruppo.

Nello specifico, occorrerà procedere al riscontro della appropriata valorizzazione di canoni/royalties riconosciuti a livello infragruppo.

Se il rapporto commerciale tra un’impresa residente e una società non residente ha per oggetto l’utilizzo di beni immateriali per cui vengono riconosciuti i canoni, nella determinazione del valore di libera concorrenza del corrispettivo si deve tener conto che, se il pagamento avviene alla società non residente, non deve essere riconosciuta la deducibilità di royalties o altri corrispettivi:

  • quando già il prezzo di vendita dei prodotti include in modo congruo il servizio di assistenza tecnica e knowhow relativo ai prodotti venduti;
  • quando già le società partecipano in modo congruo alle spese di ricerca relative al diritto utilizzato per cui vengono addebitate le

Recentemente la suprema Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 12846/2022 del 22.04.2022, si è pronunciata proprio in relazione alla rilevanza delle clausole contrattuali nell’ambito di pagamenti di royalties infragruppo.

Il giudice di merito si è limitato a riconoscere la correttezza degli esiti del controllo dell’Ufficio, il quale ha ritenuto di individuare il valore normale di mercato delle royalties nella misura del 5% del fatturato, così che il maggior valore negoziato tra le parti aveva violato quel limite.

La determinazione nel 5% è stata ricondotta dal giudice regionale al valore in tal senso fissato dalla citata circolare n. 32/1980.

Gli Ermellini hanno invece condiviso la tesi proposta dal contribuente che, sulla base di particolari pattuizioni contrattuali, ha allegato una serie di elementi da cui desumere l’effettivo valore di mercato delle royalties, superiore al 5% genericamente indicato nel predetto documento di prassi.

In particolare, la determinazione nella misura del 7,5%, concordata in contratto, è stata riconosciuta quale valore di mercato delle royalties.

Infatti, la stessa circolare prevede che la percentuale del 5% possa essere derogabile in casi particolari.

A fronte della specifica previsione contrattuale il contribuente ha infatti esibito elementi e ragioni poste a fondamento, nel nuovo contratto, della determinazione delle royalties per lo sfruttamento del marchio, di cui era titolare una società controllata da quella italiana, ma di nazionalità francese, nella misura del 7,5%.

Il soggetto passivo ha correttamente evidenziato:

  • che occorreva tener conto del mercato di destinazione finale dei beni, nonché del diritto di esclusiva acquisito dalla cessionaria dello sfruttamento del marchio (peraltro coerente con i criteri di riferimento al prezzo determinato tenendo conto del mercato sviluppato nella libera concorrenza, secondo le prescrizioni della citata circolare);
  • che la Direzione Generale delle Imposte francese aveva individuato nel 7,5% il valore normale delle royalties spettanti a livello infragruppo, allegando uno studio di “transfer pricing”, che aveva identificato nel 7% il valore mediano di cui tener conto.