23 Settembre 2021

Sul conto corrente cointestato tra coniugi

di Lucia Recchioni - Comitato Scientifico Master Breve 365
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Con l’ordinanza n. 25684, depositata ieri, 22 settembre, la Corte di Cassazione, nell’esaminare la legittimità di un avviso di accertamento notificato dall’Agenzia delle entrate ha avuto modo di soffermarsi su un tema che riveste grande interesse dal punto civilistico, ovvero la possibilità di configurare il versamento delle somme su un conto corrente cointestato come una donazione indiretta.

Il caso riguarda un contribuente al quale era stato notificato un avviso di accertamento, avendo l’Agenzia delle entrate ritenuto soggetta a tassazione, quale provento illecito, la somma di cui lo stesso si era indebitamente appropriato a danno della moglie, avendo prelevato dal conto cointestato somme esclusivamente riconducibili all’altro coniuge.

La Corte di Cassazione, nell’analizzare la questione, ha preliminarmente ricordato che i proventi derivanti da fatti illeciti sono soggetti a tassazione, anche se il contribuente è stato condannato alla restituzione delle somme o al risarcimento dei danni eventualmente cagionati.

Viene poi evidenziato un concetto che, come detto, assume rilievo anche sul piano civilistico: “il versamento di una somma di denaro da parte di un coniuge su conto corrente cointestato all’altro coniuge non costituisce di per sé atto di liberalità”.

Affinché si possa parlare di donazione indiretta deve infatti verificarsi l’esistenza del c.d. animus donandi, ovvero si rende necessario accertare che il coniuge, con il versamento nel conto cointestato, non avesse altro scopo se non quello di liberalità.

In mancanza, invece, di circostanze idonee a dimostrare l’esistenza di un suddetto “spirito liberale”, le somme versate dal coniuge sul conto corrente cointestato non fanno scattare una presunzione di appartenenza della metà delle stesse all’altro coniuge.

Ed infatti, nel caso di specie, il giudice civile aveva condannato il contribuente al risarcimento dei danni subiti dal coniuge a seguito dell’arbitraria appropriazione delle somme di denaro, non essendo stata dimostrata l’esistenza di un animus donandi nel momento del versamento della somma di denaro.

Inutile è stata, tra l’altro, la prova offerta dal contribuente in merito alla successiva stipulazione di alcuni contratti di investimento mobiliare insieme al coniuge, collegati proprio al conto cointestato: lo spirito di liberalità, infatti, può essere desunto soltanto da circostanze contestuali e non successive all’atto che vorrebbe essere qualificato come donazione indiretta.

Il ricorso del contribuente è stato pertanto rigettato ed è stata ritenuta dovuta l’imposta sulle somme prelevate dal conto e qualificate come proventi illeciti.

Tutto quanto appena premesso, si ritiene tuttavia necessario aprire una parentesi per meglio specificare a chi può essere ricondotto il denaro presente su un conto corrente cointestato tra i coniugi.

Come noto, il denaro depositato su un conto cointestato si presume di proprietà dei titolari in parti uguali ai sensi dell’articolo 1298 cod. civ., fatta salva la prova contraria: da ciò ne discende che le somme presenti su un conto intestato ad entrambi i coniugi si deve intendere di proprietà di ciascun coniuge nella misura del 50% al momento dello scioglimento della comunione, salvo che uno dei coniugi provi che il denaro è di sua proprietà esclusiva.

Anche durante la comunione, infatti, il coniuge può percepire delle somme che non confluiscono nel patrimonio comune, essendo provata la proprietà esclusiva del denaro stesso: si pensi al caso del denaro ricevuto a seguito della vendita di un bene personale o periodicamente accreditato, ad esempio, a titolo di pensione o per l’attività lavorativa prestata.

Alla luce di quanto appena esposto, dunque, può ritenersi che la presunzione di pari comproprietà tra i cointestatari delle somme depositate sui conti correnti bancari possa essere superata dalla prova dell’esclusiva provenienza del denaro depositato dall’attività lavorativa di uno dei due coniugi.

Si ricorda, tuttavia, che, ai sensi dell’articolo 192 cod. civ., devono ritenersi escluse dall’obbligo restitutorio in favore della comunione legale le somme prelevate dal coniuge dal patrimonio comune e impiegate per l’adempimento delle obbligazioni di cui all’articolo 186 cod. civ., tra cui vi rientrano quelle per il mantenimento della famiglia, per l’istruzione e l’educazione dei figli e quelle contratte, anche separatamente, nell’interesse della famiglia; deve essere tuttavia il coniuge che ha prelevato le somme a dover dimostrare gli effettivi impieghi.