29 Febbraio 2024

Sanzioni tributarie: proporzionalità ed errori sul plafond

di Roberto Curcu
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La scheda di FISCOPRATICO

L’articolo 20, L. 111/2023, di delega al Governo per la riforma del sistema fiscale, prevede che, con riguardo alle sanzioni amministrative tributarie, il legislatore delegato provveda a migliorare la proporzionalità delle sanzioni tributarie, attenuandone il carico e riconducendolo ai livelli esistenti in altri Stati europei.

In particolare, in ambito Iva, il sistema tributario deve rispettare dei principi fondamentali, che sono delineati dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea; la norma sanzionatoria non è regolata dalla Direttiva, quindi gli Stati membri conservano la libertà nello scegliere le sanzioni; tuttavia, la Corte riconosce che questa discrezionalità deve rispettare i principi generali del diritto comunitario, quale quello di proporzionalità tra il comportamento posto in essere e la sanzione, valutando, in particolare, quale può essere il danno erariale causato e se il comportamento posto in essere ha o meno la capacità di “nascondere” eventuali danni erariali.

In questo senso, forse, lo Stato italiano è stato uno di quelli che maggiormente ha contribuito alla formazione della giurisprudenza comunitaria in materia, ed alcune cose sono state sistemate a seguito di sentenze nelle quali la Corte rilevava che c’erano nel sistema delle storture. Ad esempio, alla Corte non riuscirono a capire come fosse possibile che, in caso di omesso reverse charge, senza danno erariale (nel senso che se il reverse charge fosse stato effettuato l’Iva assolta sarebbe stata compensata con una Iva in detrazione) potesse essere irrogata una sanzione del 100% di imposte che, appunto, non erano state evase. Anni dopo il legislatore pensò di rimodulare la sanzione, dapprima in un 3% dell’imposta e poi in importi fissi.

Altro caso su cui ci si stupì del sistema sanzionatorio (e non sono) italiano, fu quello delle immissioni in libera pratica effettuate con una fittizia introduzione di merce nel deposito Iva. In tali operazioni, se poste correttamente, l’Iva viene assolta con reverse charge in sede di estrazione dal deposito, mentre se la merce (dopo essere immessa in libera pratica nel deposito) non ci entra proprio, allora l’imposta sarebbe stata da pagare in dogana. In Corte, si stupirono per il fatto che, per comportamenti siffatti, venisse chiesta l’imposta (non evasa in quanto assolta con reverse charge invece che pagata in dogana) ed irrogata una sanzione del 100% di una imposta che – appunto – non era stata evasa e lo Stato non aveva perso. Anche qui, lo Stato italiano dovette capitolare e nell’ Amministrazione sembra sia riconosciuto che la sanzione applicabile alla fattispecie è quella del 30%; in sostanza, evitare il pagamento cash per assolvere con reverse charge è un comportamento equiparabile ad un ritardato versamento e come tale viene considerato dal punto di vista sanzionatorio.

Caso molto più recente, quello nel quale l’Agenzia delle entrate contesta a due società italiane di essersi scambiate fatture false dello stesso importo, probabilmente allo scopo di “gonfiare i fatturati” e magari accedere al credito bancario sotto forma di sconti fatture, ma senza arrecare danno erariale. Tuttavia, per la normativa italiana, quando le fatture sono “false”, ossia non rappresentano una operazione esistente, succede che chi l’ha emessa deve comunque versare l’imposta, e chi la riceve non può detrarre la stessa. La Corte, dopo aver rilevato che nel caso specifico, applicando il principio di effettività e, quindi, disapplicando la norma italiana non c’era comunque debito erariale, deve giudicare se può, comunque, ritenersi applicabile l’irrogazione della sanzione del 100% per indebita detrazione, fermo restando che non sussiste alcun debito Iva. Sul punto, si arriva a sostenere, nei fatti, che una sanzione di indebita detrazione, che non incida definitivamente su un maggiore debito o minore credito dichiarativo, non ha luogo di esistere. In sostanza, verrebbe da dire che la commissione di errori che non portano a danno erariale, non può essere sanzionata con un importo troppo elevato.

Ciò premesso, stanno girando da qualche giorno le bozze del decreto legislativo di riforma del sistema sanzionatorio, e come è normale che sia, vi sono delle luci e delle ombre. In questa sede, vogliamo evidenziare delle lacune che si spera vengano colmate.

In particolare, una violazione che non determina danno erariale è lo splafonamento. Il soggetto che acquista per importi superiori al proprio plafond non crea danno erariale; semplicemente il suo fornitore non addebita l’Iva nei suoi confronti, e quindi non la versa all’erario, ma l’esportatore abituale rinuncia a portarla in detrazione. In sostanza, non viene pagata Iva oggi, che poi con la detrazione sarebbe stata verosimilmente chiesta a rimborso o compensata domani. Il danno che eventualmente subisce l’erario è finanziario e non sostanziale, e quindi anche l’abbassamento della sanzione al 70% appare non sufficiente a ripristinare il principio di proporzionalità. Sempre con riferimento al plafond, andrebbe corretta la frase per cui si applica una sanzione al fornitore dell’esportatore abituale che effettua cessioni di beni o prestazioni di servizi senza addebito di imposta, “senza aver prima riscontrato per via telematica l’avvenuta presentazione all’Agenzia delle entrate della dichiarazione” (di intento). Messa così la frase, rischia l’irrogazione di una sanzione da “evasore” chi emette una fattura senza Iva, anche nella situazione in cui la dichiarazione di intento c’è, è stata emessa prima del momento di effettuazione, ma il contribuente non la ha verificata prima dell’effettuazione dell’operazione stessa; chiaro che poi questa sanzione “sostanziale” per un errore formale davanti al giudice europeo non starebbe in piedi, ma si potrebbe fin da subito evitare che lo Stato un domani perda l’ennesima causa in Corte di Giustizia.

Spesso gli errori sul plafond non riguardano il vero e proprio splafonamento, ma fornitori che emettono fatture senza Iva per un importo maggiore della dichiarazione di intento, ed esportatori abituali che registrano tali fatture senza accorgersi di tale errore. In tali situazioni, il fornitore che ha fatturato senza Iva per importo superiore a quelli esposti nella dichiarazione di intento è sicuramente sanzionato, e ci si è chiesti cosa succeda all’esportatore abituale che riceve queste fatture. In un forum dell’autunno dello scorso anno fu correttamente precisato dall’Agenzia delle entrate che se comunque l’importo fatturato senza Iva non ha superato il plafond non si è in presenza di uno splafonamento, ma l’esportatore abituale può incorrere nella sanzione di cui all’articolo 6, comma 8, D.Lgs. 471/1997; tale norma prevede che, chi riceve una fattura irregolare e non provvedere ad emettere “autofattura/denuncia” entro 30 giorni dalla registrazione, è punito con la sanzione del 100% dell’imposta con un minimo di euro 250.

Il chiarimento risolve il problema di chi controlla subito se le fatture che riceve in 8C sono nel limite della dichiarazione di intento, in quanto non le registra proprio e chiede al fornitore la ri-emissione; risolve anche il problema di chi le registra ed entro i 30 giorni successivi si accorge dell’errore e fa stornare le fatture non corrette dal fornitore. Tale chiarimento non risolve quello che succede se l’esportatore abituale si accorge oltre i 30 giorni dell’errore, in quanto ci si troverebbe nella assurda situazione per la quale se volesse ravvedere il fornitore dovrebbe emettere fattura con Iva all’esportatore abituale, e se volesse ravvedere quest’ultimo, dovrebbe pagare l’Iva in sede di emissione della autofattura denuncia. In sostanza, si cadrebbe in quella situazione per cui l’Iva deve essere pagata due volte, ma verosimilmente l’Agenzia delle entrate non la lascerebbe detrarre due volte, con probabile obbligo di chiederne il rimborso, ai sensi dell’articolo 30-ter, D.P.R. 633/1972.

La questione potrebbe essere risolta, per lo meno per i comportamenti futuri, in quanto la cosiddetta “autofattura-denuncia”, che comporta l’obbligo per il cessionario/committente di pagare l’Iva non addebitata dal cedente prestatore, verrà sostituita con una “comunicazione/denuncia”, con la quale, appunto, il cessionario/committente non dovrà più versare all’erario l’imposta al posto del fornitore. Anche qui, irrogare al cessionario o committente una sanzione da “evasore fiscale”, in quanto non ha denunciato il proprio fornitore che non ha emesso fattura, rischia di essere comunque sproporzionata, nelle situazioni nelle quali per il cessionario o committente l’Iva eventualmente addebitata sarebbe detraibile e, quindi, non vi sarebbe danno erariale.