28 Febbraio 2014

San Zen che ride … anche a Carnevale

di Chicco Rossi
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Carnevale forse è il periodo festivo che passa più velocemente, molto probabilmente perché è anche quello meno sentito dalla maggior parte delle persone, ma mai fare di tutta l’erba un fascio.

Infatti, c’è chi si diverte e non aspetta che l’arrivo del Carnevale.

Oggi andiamo al Bacanal del Gnoco, il Carnevale più antico d’Europa ancora in corso (la Camera dei deputati italiana è successiva …), infatti, è dal 1531 che si festeggia questa ricorrenza.

Ma andiamo per gradi e prima individuiamo le origini di questa festa popolare che tanta attenzione ha nella città shakespeariana (Verona) e che del resto giustifica il detto veneto “Veneziani gran signori, padovani gran dottori, vicentini magnagatti, veronesi tutti matti”.

Ai primi del ‘200 Verona era ancora teatro delle lotte tra i guelfi capeggiati dal conte di Sambonifacio (ci torneremo a breve in quelle terre per bere un gran vino a un buon prezzo) e i ghibellini capeggiati, ma guarda un po’, dai Montecchi. Nel 1206 Azzo VI d’Este, signore di Ferrara, sconfisse il podestà ghibellino di Verona e appoggiò la fazione guelfa saccheggiando Verona. I sopravvissuti si riorganizzarono attorno a Ezzelino da Romano, detto il Monaco, che nel 1208 vinse su Azzo d’Este e per celebrare la vittoria istituì una corsa, il Palio di dantesca memoria

Poi si rivolse, e parve di coloro

Che corrono a Verona il drappo verde

Per la campagna; e parve di costoro

quelli che vince, non colui che perde.

È a questo palio che alcuni vogliono far risalire le origini di questa sfilata che si svolge l’ultimo venerdì di Carnevale.

Altra tradizione lega le origini alla figura del medico veronese Tommaso Da Vico. La figura e magnanimità del Da Vico si collega alla cattiva sorte della città di Verona, che tra il 1520 e nel 1531 aveva subito esondazioni dell’Adige, devastazioni da parte dei Lanzichenecchi, proprio quelli di Manzoni,, mentre nella vicina Lombardia infuriava la guerra tra Carlo V° d’Asburgo e Francesco I° di Francia, con la conseguenza che Verona fu teatro di una carestia senza precedenti che portò, il 18 giugno 1531 alla sollevazione popolare. La soluzione fu la creazione di una commissione dei cittadini influenti, tra i quali il Da Vico, che decise di far distribuire al popolo i viveri.

Ma tornando alle origini del carnevale veronese, il suo nome, forse, come anticipato, è collegato a quello del Da Vico che lasciò un legato che prevedeva l’obbligo di distribuire annualmente alla popolazione del quartiere di San Zeno viveri ed alimenti. La tradizione vuole che per dare seguito a tale impegno, nel giorno di venerdì grasso venissero preparati gli gnocchi da dare alla popolazione di quel San Zen che ride su le batoste de la so cità e da qui il detto del venerdì Gnocolar.

Gnocchi? E come?

La tradizione vuole che essi siano conditi con il sugo di pomodoro, ma due varianti di sicuro pregio sono quelle con lo zucchero e cannella e quelle con la pastisada de caval.

Fino a zucchero e cannella ci arriviamo, ma cosa sarà mai questa pastisada de caval?

L’origine della pastisada si fa risalire al 30 settembre 489 e alla guerra di dominio che intercorreva tra Odoacre principe degli Eruli e Teodorico re degli Ostrogoti che vinse e che uccise il rivale. L’episodio è scolpito in una delle formelle bronzee del magnifico portone della chiesa di San Zeno.

La battaglia, ben diversa da quelle attuali, vide la morte di numerosi cavalli e visto che in quei tempi la carne era un lusso per i ricchi, ecco l’idea di utilizzare quella dei puledri tagliandola a pezzi e facendola macerare nel vino e nelle spezie (alloro, noce moscata, chiodi di garofano e pepe) per consentirne una conservazione prolungata.

E da bere? Un morbido Bradisismo di Inama, azienda agricola che si trova a San Bonifacio (l’avevamo detto che ci tornavamo).

Ma andiamo per gradi e innanzitutto spieghiamo che il bradisismo è un fenomeno legato al vulcanismo consistente in un periodico abbassamento o innalzamento del livello del suolo che è ben visibile, a esempio, al Tempio di Serapide di Pozzuoli.

Il vino è un 70% di Cabernet Sauvignon e un 30 % di Carmerere che viene affinato in botte per circa 15 mesi per sbocciare poi in un gran vino in termini di rapporto qualità/prezzo.

Uno dei maestri di Chicco Rossi nell’arte della degustazione gli ha insegnato che è migliore un vino che costa un euro e, per semplificare, ci regala 10 emozioni rispetto a quello che ne costa 100 in cambio di una sola emozione (un giorno vi racconterò la delusione che ho avuto all’assaggio di un vino di fama mondiale). Il vino si presenta con un colore rosso cupo. All’olfatto presenta aromi di piccole bacche scure, spezie, ciliege passite e vaniglia. Al palato ha una morbidezza incantevole e una rotondità sorprendente.

Buon Carnevale a tutti e se vi siete stancati ricordatevi sempre che a Carnevale ogni scherzo vale.