15 Novembre 2023

Riforma dello sport: i modelli organizzativi per la prevenzione e il contrasto di abusi, discriminazioni e violenze

di Gianluca MulèGinevra Gagliardi
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La Riforma dello sport e i “modelli organizzativi

L’articolo 16, D.Lgs. 39/2021 (c.d. “Decreto dello sport”) ha inteso promuovere un più elevato livello di sensibilità e impegno ai fini della valorizzazione della parità di genere tra uomo e donna nel contesto di lavoro e della tutela dei minori, nonché del contrasto a ogni forma di violenza di genere o per ragioni di etnia, religione, convinzioni personali, disabilità, età od orientamento sessuale e, in genere, a ogni forma di discriminazione.

La prima fase ha visto l’intervento di Federazioni sportive, Discipline sportive associate, enti di promozione sportiva e associazioni benemerite (di seguito, congiuntamente “enti di affiliazione”), chiamati a emanare, entro il mese di agosto 2023, apposite “linee guida” in materia di contrasto alla discriminazione e alla violenza. Nella seconda fase, viceversa, sono chiamate a intervenire tutte le società sportive e le associazioni sportive, sia professionistiche sia dilettantistiche (di seguito, “affiliati”), in relazione alle quali è stato introdotto l’obbligo di dotarsi di “modelli organizzativi” e “codici di condotta” a tutela dei minori e per la prevenzione delle molestie, della violenza di genere e di ogni altra condizione di discriminazione prevista dal D.Lgs. 198/2006 o per ragioni di etnia, religione, convinzioni personali, disabilità, età od orientamento sessuale.

In particolare, è previsto che ciascun affiliato debba adottare un proprio “modello organizzativo” e il connesso “codice di condotta”, tenuto conto degli indirizzi forniti dalle linee guida emanate dal proprio ente di affiliazione di riferimento, e in ogni caso entro 12 mesi dall’emanazione di queste ultime. L’articolo 16, D.Lgs. 39/2021 chiarisce, al comma 4, che laddove l’affiliato già disponga di un modello organizzativo ai sensi del D.Lgs. 231/2001 (il c.d. “Modello 231”) dovrà integrarne il contenuto con riguardo ai fini di tutela dei minori e di prevenzione delle discriminazioni nel contesto sportivo.

Il riferimento al “codice di condotta” non pone particolari questioni sul piano interpretativo, intendendo il Legislatore fare riferimento al documento, da lungo tempo diffuso in numerosi enti e società, che – seppur sotto varie denominazioni (ad esempio, codice di comportamento, codice etico, politica, etc.) e con differenti gradienti di dettaglio – intende definire e sancire i valori etici e le regole comportamentali da osservare in relazione a tutte o alcune delle attività svolte in seno a un’organizzazione.

Il “modello organizzativo” è, viceversa, uno strumento affermatosi più di recente nel nostro ordinamento, in coincidenza con l’introduzione del D.Lgs. 231/2001 in materia di responsabilità amministrativa delle società e degli enti, e in seguito recepito anche dall’ordinamento sportivo[1]. La nozione di modello organizzativo cui fa riferimento la Riforma dello sport (nel proseguo, “modello di prevenzione sportiva”) può intendersi riferita all’insieme delle misure e delle iniziative che una società o un’associazione sportiva deve adottare e attuare al fine di:

  1. valorizzare la parità di genere tra uomo e donna nel contesto di lavoro;
  2. tutelare la posizione dei minori;
  3. contrastare ogni forma di violenza di genere e discriminazione per ragioni di etnia, religione, convinzioni personali, disabilità, età o orientamento sessuale.

 

La delibera n. 255/2023 della giunta nazionale del CONI

Con delibera n. 255/2023, la giunta nazionale del CONI ha istituito l’osservatorio permanente per le politiche di safeguarding (di seguito, “osservatorio”), cui è affidato il compito di curare la redazione dei principi fondamentali e delle raccomandazioni per l’implementazione delle successive fasi di spettanza – per quanto di rispettiva competenza – degli enti di affiliazione e degli affiliati.

In ossequio a quanto previsto dal comma 5, articolo 16, D.Lgs. 39/2021, inoltre, la giunta nazionale ha approvato il “modello di regolamento”, che costituisce il principale riferimento per gli enti di affiliazione ai fini della predisposizione dei regolamenti interni che definiscono le procedure sanzionatorie a carico degli affiliati che risultino inadempienti agli obblighi di legge. Si prevede anche la possibilità che l’ente di affiliazione valuti l’effettiva adozione dei modelli di prevenzione sportiva e del codice di condotta quale requisito per l’affiliazione.

 

I principi fondamentali del CONI

In attuazione dei compiti assegnati, l’osservatorio ha emanato i “Principi fondamentali per la prevenzione e il contrasto dei fenomeni di abuso, violenza e discriminazione”, ai quali devono conformarsi sia gli enti di affiliazione nell’ambito della redazione delle linee guida, sia gli affiliati in fase di progettazione dei modelli di prevenzione sportiva.

I principi fondamentali, oltre a fornire una definizione delle differenti condotte che costituiscono “comportamenti lesivi[2], declinano gli obiettivi delle linee guida, da emanarsi a cura degli enti di affiliazione, nonché i contenuti minimi dei modelli di prevenzione sportiva e dei codici di condotta degli affiliati.

 

Il responsabile federale per le politiche di safeguarding

Il safeguarding officer è un organo da istituirsi in seno ai singoli enti di affiliazione[3]. Alla luce del combinato disposto della delibera del CONI n. 255/2023 e del modello di regolamento, il safeguarding officer deve essere nominato dal consiglio federale dell’ente di affiliazione, potendosi optare tra una composizione monosoggettiva o plurisoggettiva di almeno 3 membri, individuati tra soggetti dotati di appositi requisiti di professionalità e competenza[4].

Al safeguarding officer sono assegnati, innanzitutto, compiti di vigilanza e controllo nei confronti degli affiliati, dovendo, in linea generale, vigilare sull’adozione e l’aggiornamento, da parte degli affiliati, dei modelli di prevenzione sportiva, segnalando eventuali inadempienze e violazioni agli organi competenti. Vi sono, tuttavia, anche funzioni di carattere operativo-preventivo, dovendo il safeguarding officer adottare “le opportune iniziative per prevenire e contrastare ogni forma di abuso, violenza e discriminazione” (cfr., articolo 4, modello di regolamento).

Nel novero delle altre funzioni assegnate a tale organo rientrano inoltre:

  • la vigilanza sulla nomina, da parte degli affiliati, del “Responsabile contro abusi violenze e discriminazioni”, cui assegnare il compito di prevenire le predette condotte;
  • l’invio all’osservatorio di relazioni semestrali sulle politiche di safeguarding adottate dall’ente di affiliazione;
  • riscontrare eventuali richieste di informazioni o documenti che dovesse ricevere dall’osservatorio.

 

Le linee guida degli enti di affiliazione

Ai sensi dell’articolo 16, D.Lgs. 39/2021, entro il 31 agosto 2023 gli enti di affiliazione avevano l’obbligo di emanare proprie linee guida, in conformità con le indicazioni fornite dal CONI e segnatamente contenute nei principi fondamentali dell’osservatorio, per la costruzione dei modelli di prevenzione sportiva da adottarsi a cura degli affiliati.

Gli enti di affiliazione che hanno dato seguito alle prescrizioni del Legislatore, deliberando, entro il termine indicato o, comunque, nelle successive settimane, l’adozione di proprie linee guida sono stati, in effetti, numerosi[5]. Nella medesima occasione, molti enti di affiliazione hanno altresì contestualmente adottato i propri “regolamenti”, aventi l’obiettivo di definire gli strumenti da implementare per garantire l’effettiva osservanza degli obblighi da parte degli affiliati.

Per la verità, dall’esame delle linee guida finora emanate e variamente denominate[6] è emerso che gli enti di affiliazione hanno ritenuto di non procedere all’elaborazione di regole e previsioni più articolate di quelle già enucleate dal CONI, bensì di riproporre, in molti casi anche pedissequamente, quanto riportato nei principi fondamentali elaborati dall’osservatorio e nel modello di regolamento approvato dal CONI contestualmente alla Delibera n. 255/2023.

In linea generale, la struttura delle linee guida degli enti di affiliazione include pertanto:

a) la definizione delle condotte di abuso, violenza e discriminazione da prevenire;

b) l’indicazione dei diritti dei tesserati;

c) l’identificazione degli obblighi degli affiliati;

d) i contenuti minimi dei modelli di prevenzione sportiva;

e) l’indicazione della necessità di identificare, in seno ai modelli di prevenzione sportiva, adeguate misure e presidi di prevenzione e gestione dei rischi;

f) l’indicazione della necessità di identificare, in seno ai modelli di prevenzione sportiva, adeguate misure di contrasto dei comportamenti lesivi e di gestione delle segnalazioni;

g) l’indicazione degli obblighi informativi da prevedere nell’ambito dei modelli di prevenzione sportiva;

h) i contenuti minimi dei codici di condotta, anche sul piano dei doveri e degli obblighi dei tesserati, dei dirigenti sportivi e tecnici, degli atleti.

Alcuni enti di affiliazione hanno integrato il documento anche con le previsioni riguardanti l’istituzione, i compiti e le responsabilità del safeguarding officer (ad esempio, FIG, OPES Aps, FIDS, etc.) o addirittura allegando un draft di modello di prevenzione sportiva da personalizzare a cura dei singoli affiliati (ad esempio, FIRAFT)[7]. Quest’ultima soluzione suscita, in verità, alcune perplessità poiché potrebbe ritenersi non pienamente allineata con quanto previsto dall’articolo 4, comma 3, principi fondamentali dell’osservatorio, a mente del quale i modelli di prevenzione sportiva “tengono conto delle caratteristiche dell’affiliata e delle persone tesserate”.

 

I modelli di prevenzione sportiva

Ai sensi dell’articolo 16, D.Lgs. 39/2021, gli affiliati sono tenuti a dotarsi di un proprio modello di prevenzione sportiva entro 12 mesi dall’emanazione delle linee guida dell’ente cui sono associati e in conformità con le relative prescrizioni[8]. Ove già adottato il modello 231, esso dovrà essere opportunamente integrato.

L’osservatorio è intervenuto nella declinazione del “contenuto minimo” dei modelli di prevenzione sportiva, individuando 3 macro-ambiti da considerare ai fini della relativa progettazione:

  1. individuazione delle modalità di prevenzione e gestione del rischio in relazione alle condotte da prevenire;
  2. progettazione e attuazione di protocolli di contenimento del rischio stesso e di gestione delle segnalazioni;
  3. definizione di un sistema di flussi informativi[9].

Sono, poi, individuati, seppure con terminologia non sempre coerente:

a) le misure, le iniziative e i presidi di prevenzione e controllo dei rischi, con valenza carattere generale e trasversale all’organizzazione dei singoli affiliati, da implementare (cfr., articolo 5 rubricato “Contenuto minimo dei Modelli Organizzativi e di Controllo”)[10];

b) le misure, le iniziative e i presidi di prevenzione e controllo dei rischi, concernenti specifici ambiti, da implementare (cfr., articolo 6 rubricato “Prevenzione e gestione dei rischi”)[11];

c) gli elementi caratterizzanti un adeguato sistema di gestione delle segnalazioni di condotte indebite (cfr., articolo 7 rubricato “Contrasto dei comportamenti lesivi e gestione delle segnalazioni”)[12];

d) gli obblighi e le prescrizioni da contemplare in seno ai modelli di prevenzione sportiva, inclusi quelli di natura informativa (cfr., articoli 8-9 rubricati “Obblighi informativi e altre misure” e “Obblighi ulteriori”)[13].

I modelli dovranno poi essere aggiornati con cadenza quadriennale e comunque qualora vi siano modifiche o integrazioni delle linee guida di riferimento nonché, come previsto dai principi fondamentali, qualora vi sia una raccomandazione in tal senso del safeguarding officer.

 

La metodologia per la progettazione dei modelli di prevenzione sportiva

Al netto delle disposizioni legislative e di quelle emanate dall’osservatorio e dagli enti di affiliazione mediante le linee guida, non vi sono, allo stato, specifiche previsioni riguardanti la metodologia da seguire nella costruzione dei modelli di prevenzione sportiva. Alcune indicazioni possono tuttavia ricavarsi, per relationem, dalle norme riguardanti i contenuti minimi dei modelli, segnatamente quelle che fanno riferimento alla necessità di prevedere “misure di prevenzione e gestione del rischio”, “misure di contrasto” dei comportamenti lesivi, etc.; per poter soddisfare tali requisiti, non può prescindersi da una preliminare attività di risk assessment volta all’identificazione e analisi dei rischi, nonché dalla valutazione ed eventuale adeguamento del sistema di controllo interno dell’affiliato.

Nel proseguo si tenta di delineare una possibile metodologia di costruzione dei modelli di prevenzione sportiva, richiamando anche le prassi operative consolidate negli altri ambiti di utilizzo dei modelli organizzativi, segnatamente quello della responsabilità degli enti ai sensi del D.Lgs. 231/2001.

Lo schema che si propone si articola in 3 fasi:

  1. la conoscenza del contesto organizzativo;
  2. la fase di risk assessment, ossia di identificazione e analisi dei rischi nonché di costruzione del sistema di controllo interno;
  3. la redazione documentale del modello e la sua adozione.

 

Fase 1: la conoscenza del contesto

Per la corretta identificazione dei rischi e delle conseguenti misure di controllo, è imprescindibile approfondire la conoscenza dell’organizzazione e dell’operatività dell’affiliato, esaminandone il contesto sportivo e geografico in cui opera, approfondendo i rischi connessi al livello agonistico (professionistico o dilettantistico) della disciplina sportiva praticata, acquisendo informazioni sulla storia dell’affiliato anche in relazione a eventuali pregresse criticità inerenti a comportamenti lesivi passati, etc..

Le principali attività di questa prima fase consistono:

a) nella raccolta dei documenti e delle informazioni (che saranno oggetto di valutazione e analisi nella successiva fase 2, cfr. infra) utili a conoscere e comprendere l’affiliato nella sua struttura e nella sua operatività;

Per una preliminare e generale comprensione, si suggerisce l’acquisizione dei seguenti documenti:

  • atto costitutivo; statuto; visura camerale; organigramma (utili per conoscere nel complesso la realtà aziendale e le attività svolte);
  • il codice etico e/o di condotta (ove presente);
  • le procedure e/o prassi interne (in particolar modo, ogni linea guida/procedura/policy/istruzione che disciplini la partecipazione alle attività sportive, la gestione dei rapporti con i dipendenti/tesserati/atleti, soprattutto se minori; il processo di selezione e assunzione del personale che entra in contatto con i tesserati, soprattutto se minori, etc.);
  • il contratto collettivo applicabile ai lavoratori, nonché il regolamento dell’ente di affiliazione di appartenenza (per comprendere le procedure e i meccanismi sanzionatori applicabili nei confronti dei lavoratori e dei tesserati);
  • un elenco dei casi di coinvolgimento dell’affiliato o dei suoi tesserati nei comportamenti lesivi che il modello di prevenzione sportiva intende prevenire.

 

b) nell’avvio di un’indagine più approfondita della realtà aziendale, che potrà esplicarsi attraverso:

  • la conduzione di interviste con i principali referenti interni (ad esempio, il responsabile risorse umane, il responsabile dell’attività sportiva, il responsabile del settore giovanile, etc.), anche per meglio comprendere il contenuto della documentazione acquisita;
  • l’accesso presso la sede dell’affiliato, funzionale per avere percezione diretta dell’organizzazione e delle modalità di effettivo svolgimento delle attività ma anche di eventuali rischi presenti o anche solo potenziali (ad esempio, i rapporti tra allenatori e tesserati o tra tesserati, la complessiva sensibilità dei tesserati rispetto ai temi della non discriminazione e della prevenzione degli abusi, etc.);
  • l’acquisizione di ogni notizia o informazione utile, anche non proveniente dall’affiliato, eventualmente reperita in rete o mediante altri canali, in quanto di pubblico dominio (ad esempio, notizie di riscontrate violenze e/o abusi commessi in seno all’organizzazione dell’affiliato);

c) nella identificazione delle misure di prevenzione e contrasto eventualmente già presenti (ad esempio, codice etico o di condotta, iniziative di formazione, misure sanzionatorie o disciplinari applicate, esistenza di un canale diretto e riservato per l’inoltro di segnalazioni, etc.).

Si suggerisce di individuare un metodo idoneo per la conduzione delle interviste, quale:

  • formalizzazione dei risultati in un documento nel quale siano riportate le domande poste e le risposte fornite;
  • condivisione con gli intervistati all’esito della verbalizzazione, per il riscontro che quanto formalizzato corrisponda effettivamente alle informazioni fornite;
  • acquisizione dei documenti citati in occasione delle interviste, per una completezza del dato informativo.

 

Fase 2: il risk assessment

La seconda fase, c.d. di risk assessment, si articola in 3 sottofasi:

  1. il c.d. risk mapping, ossia l’identificazione delle “attività a rischio”, degli ambiti di attività dell’affiliato in cui sussiste un rischio di commissione di condotte di abuso, violenza o discriminazione;
  2. la c.d. risk analysis, ossia l’analisi dei rischi mediante identificazione delle principali possibili modalità attuative dei comportamenti lesivi nell’ambito delle attività a rischio;
  3. la c.d. gap analysis, consistente nell’individuazione delle eventuali lacune del sistema di controllo interno e nella conseguente individuazione delle azioni di miglioramento da implementare per soddisfare l’esigenza di prevenire e contrastare le condotte di abuso, violenza e discriminazione considerate dal Legislatore.

In definitiva, l’obiettivo dell’attività di risk assessment è di individuare e comprendere i rischi presenti in seno all’affiliato e comprendere in che misura i presidi di controllo esistenti siano in grado di presidiare adeguatamente le attività a rischio, proponendo gli interventi eventualmente necessari od opportuni per promuovere la costruzione di un modello di prevenzione sportiva coerente con le prescrizioni normative.

In questa prospettiva, potrebbero risultare esposti a rischio di comportamenti lesivi, tra gli altri e a titolo meramente esemplificativo, i seguenti ambiti:

  • la selezione degli operatori sportivi;
  • la gestione delle attività sportive degli atleti minori di età;
  • le attività di comunicazione dell’affiliato;
  • i metodi di allenamento e di gestione delle prestazioni dei tesserati;
  • le sponsorizzazioni e le attività di marketing e pubblicitarie;
  • la gestione degli accessi presso i locali dell’affiliato;
  • i rapporti con i media;
  • la gestione degli eventi sportivi.

Quanto ai presidi di controllo, potrebbero essere considerati – sempre a titolo esemplificativo – i seguenti presidi e misure di prevenzione e controllo:

a) policy/procedure/istruzioni scritte che regolamentino le modalità di svolgimento di una determinata attività (ad esempio, l’accesso ai locali dell’affiliato);

b) chiara attribuzione di compiti e responsabilità (ad esempio, nomina del responsabile contro abusi, violenze e discriminazioni e suoi rapporti con il safeguarding officer di riferimento; individuazione degli accompagnatori degli atleti minori di età; etc.);

c) iniziative di comunicazione (ad esempio, pubblicazione del modello di prevenzione sportiva e del codice di condotta presso i locali dell’affiliato e sul relativo sito internet; informativa anche per i neo-tesserati sull’esistenza del modello e del safeguarding officer; informativa sui canali di segnalazione di eventuali comportamenti lesivi; etc.);

d) iniziative di formazione (ad esempio, sessioni di training dei tesserati sul modello di prevenzione sportiva e sul codice di condotta; incontri con psicologi dello sport; iniziative e discussioni in materia di parità di genere, tolleranza e inclusione; etc.);

e) istituzione di un “desk” che fornisca assistenza psicologica ai tesserati;

f) istituzione di un canale di segnalazione, che assicuri la riservatezza dell’identità del segnalante e la tutela verso eventuali comportamenti ritorsivi o discriminatori;

g) un sistema sanzionatorio, effettivamente funzionante, che consenta di sanzionare eventuali comportamenti lesivi o comunque le violazioni del modello di prevenzione sportiva e/o del codice di condotta.

 

Fase 3: la redazione documentale del modello di prevenzione sportiva

Una volta esaurita l’attività di risk assessment e portato a completamento l’iter di implementazione delle azioni di miglioramento identificate, potrà procedersi alla redazione documentale del modello di prevenzione sportiva. L’obiettivo di quest’attività sarà quello di predisporre un documento che illustri quanto meno:

  • i principali riferimenti normativi;
  • la natura e le finalità del modello di prevenzione sportiva;
  • la metodologia adottata per la progettazione del modello di prevenzione sportiva;
  • le attività a rischio e le relative misure di prevenzione e controllo.

È opportuno che nel modello di prevenzione sportiva sia riservato apposito approfondimento alla figura del responsabile contro abusi, violenze e discriminazioni nominato dall’affiliato ai sensi della Delibera CONI n. 255/2023, illustrandone requisiti, compiti, poteri, responsabilità.

Analogamente a quanto previsto in altri ambiti dell’ordinamento, il modello di prevenzione sportiva dovrà essere oggetto di formale adozione da parte dell’organo dirigente.

 

I codici di condotta

Quanto ai contenuti del codice di condotta, l’osservatorio ha declinato i principi da considerare indefettibili, tra cui si segnalano, tra gli altri:

  • lealtà, probità e correttezza;
  • educazione, formazione e svolgimento di una pratica sportiva sana;
  • dignità, uguaglianza, equità, rispetto e, in generale, la promozione di un ambiente sano, sicuro e inclusivo;
  • valorizzazione delle diversità;
  • promozione del pieno sviluppo e del benessere dell’atleta;
  • prevenzione di ogni forma di abuso, violenza e discriminazione.

L’affiliato deve aspirare, quale obiettivo principale, alla rimozione di ogni ostacolo che impedisca la promozione del benessere dell’atleta o che ne impedisca la partecipazione alle attività per ragioni genere, etnia, convinzioni personali, disabilità, religione, etc.. A tal fine, sarà certamente utile programmare idonee e periodiche iniziative di formazione sui principi del codice di condotta.

I codici di condotta dovranno, altresì, prevedere:

  • le condotte rilevanti, le tutele e le sanzioni in caso di violazione (inclusa la sospensione cautelare dalle attività sportive);
  • procedure di selezione degli operatori sportivi, per garantire l’idoneità e la competenza a operare nell’ambito di attività giovanili;
  • le verifiche da svolgersi, non solo all’assunzione ma anche in costanza di rapporto, nei confronti degli operatori sportivi;
  • disposizioni in materia di incompatibilità, segregazione delle funzioni e disciplina sui conflitti di interessi;
  • disposizioni che assicurino la riservatezza di ogni documento e/o informazione ricevuta.

I codici di condotta devono, inoltre, prevedere il dovere, in capo a tutti i soggetti, di segnalare senza indugio al responsabile contro abusi, violenze e discriminazioni situazioni, anche potenziali, che possano esporre sé o altri a pericolo o pregiudizio.

 

Profili sanzionatori

La mancata adozione dei modelli di prevenzione sportiva o la mancata integrazione dei modelli 231 (ove adottati) da parte degli affiliati comporta l’applicazione di apposite sanzioni da parte degli enti di affiliazione secondo le prescrizioni dei propri Regolamenti, all’uopo integrati sulla scorta di quanto previsto dal modello di regolamento deliberato dalla Giunta nazionale del CONI il 25 luglio 2023 (cfr. supra § 4).

Nondimeno, come già anticipato, l’ente di affiliazione potrà valutare l’effettiva adozione del modello di prevenzione sportiva da parte dell’ente sportivo quale condizione per l’affiliazione. Tra le altre, hanno disposto in tal senso la Fisi, la Fig e la Fibs.

SCHEDA DI SINTESI

L’articolo 16, D.Lgs. 39/2021 (c.d. “Decreto dello Sport”) ha inteso promuovere un più elevato livello di sensibilità e impegno ai fini sia della valorizzazione della parità di genere tra uomo e donna nel contesto di lavoro sia della tutela dei minori, nonché del contrasto a ogni forma di violenza di genere o per ragioni di etnia, religione, convinzioni personali, disabilità, età o orientamento sessuale e, in genere, a ogni forma di discriminazione.
L’osservatorio del CONI ha emanato i “Principi fondamentali per la prevenzione e il contrasto dei fenomeni di abuso, violenza e discriminazione”, ai quali devono conformarsi sia gli enti di affiliazione (Federazioni sportive, discipline sportive associate, etc.) nell’ambito della redazione delle linee guida, sia gli affiliati (società e associazioni sportive professionistiche e dilettantistiche) in fase di progettazione di appositi modelli organizzativi volti a prevenire i comportamenti lesivi.
Entro il 31 agosto 2023 gli enti di affiliazione avevano l’obbligo di emanare proprie linee guida, in conformità con i principi fondamentali dell’osservatorio, per la costruzione dei modelli di prevenzione sportiva da adottarsi a cura degli affiliati.

Numerosi enti di affiliazione hanno in effetti deliberato l’adozione di proprie linee guida e contestualmente adottato propri “regolamenti”, aventi l’obiettivo di definire gli strumenti da implementare per garantire l’effettiva osservanza degli obblighi da parte degli affiliati, tra cui l’istituzione, in seno all’ente di affiliazione, di un safeguarding officer e, in seno ai singoli affiliati, di un responsabile contro abusi, violenze e discriminazioni.

Entro 12 mesi dall’emanazione delle linee guida dell’ente cui sono associati, gli affiliati sono tenuti a dotarsi di un modello di prevenzione sportiva e un codice di condotta, in conformità con le prescrizioni delle linee guida di riferimento. Ove già adottato il modello 231, esso dovrà essere opportunamente integrato.

I principi fondamentali individuano 3 macro-ambiti da considerare ai fini della relativa progettazione:

1. individuazione delle modalità di prevenzione e gestione del rischio in relazione alle condotte da prevenire;

2. progettazione e attuazione di protocolli di contenimento del rischio stesso e di gestione delle segnalazioni,

3. definizione di un sistema di flussi informativi.

Non vi sono, allo stato, specifiche previsioni riguardanti la metodologia da seguire nella costruzione dei modelli di prevenzione sportiva. Tuttavia, richiamando le prassi operative consolidate negli altri ambiti di utilizzo dei modelli organizzativi, potrebbe seguirsi un processo articolato in 3 fasi:

1. la conoscenza del contesto organizzativo;

2. la fase di risk assessment; e

3. la redazione documentale del modello e la sua adozione.

 

[1] Il codice di giustizia sportiva della Figc riconosce efficacia scriminante o comunque attenuante al modello organizzativo volto a prevenire il compimento di atti contrari ai principi di lealtà, correttezza e probità in ogni rapporto, così come i comportamenti violenti o discriminatori dei propri sostenitori (cfr., articoli 7 e 28, codice di giustizia sportiva Figc, il primo dei quali va letto in combinato disposto con l’articolo 7, statuto Figc).

[2] Trovano, in particolare, definizione le seguenti condotte: 1. l’abuso psicologico; 2. l’abuso fisco; 3. la molestia sessuale; 4. l’abuso sessuale; 5. la negligenza; 6. l’incuria; 7. l’abuso di matrice religiosa; 8. il bullismo e/o il cyberbullismo; 9. i comportamenti discriminatori.

[3] È tuttavia previsto che 2 o più enti di affiliazione possono accordarsi per la nomina un organo comune.

[4] Ai sensi dell’articolo 4, modello di regolamento, in caso di composizione monosoggettiva il safeguarding officer deve essere scelto tra:

– professori universitari in materie giuridiche o medico-sanitarie, anche se a riposo;

– avvocati dello Stato, magistrati, anche se a riposo;

– notai, avvocati abilitati all’esercizio dinanzi alle giurisdizioni superiori (con almeno 6 anni di esperienza in ambito sportivo);

– soggetti che abbiano ricoperto il ruolo di presidente o segretario generale in enti di affiliazione;

– sportivi di alto livello.

Laddove si opti per una composizione collegiale, i componenti potranno essere individuati anche tra:

– avvocati iscritti all’Albo da almeno 5 anni;

– professionisti nell’ambito medico-sanitario iscritti da almeno 5 anni all’Albo/ordine;

– professionisti nell’ambito psicologico iscritti da almeno 5 anni nell’Albo/ordine.

Per tali professionisti è sempre richiesta un’esperienza almeno triennale in ambito sportivo. In caso di organo comune, ciascun ente di affiliazione ha diritto di nominare un componente dell’organo, mentre il presidente è nominato di comune accordo tra i membri.

[5] Tra gli enti di affiliazione che, alla data del 30 settembre 2023, hanno dato seguito alle indicazioni legislative si annoverano: Federazione italiana giuoco calcio (Figc); Federazione italiana pallacanestro (Fip); Federazione italiana golf (Fig); Federazione italiana rugby (Fir); Federazione italiana tennis e padel (Fitp); Federazione italiana judo lotta karate arti marziali (Fijlkam); Federazione italiana bocce (Fib); Federazione italiana baseball softball (Fibs); Federazione italiana scherma (Fis); Federazione italiana sport equestri (Fise); Federazione italiana danza sportiva (Fids); Federazione italiana atletica leggera (Fidal); Federazione italiana kickboxing, muay thai, savate, shoot boxe e sambo (FederKombat); Federazione italiana sport invernali (Fisi); Federazione italiana canottaggio (Fic); Federazione italiana sci nautico e wakeboard (Fisw); Federazione italiana pesca sportiva attività subacquee e nuoto pannato (Fipsas); Federazione italiana tennis tavolo (Fitet); la Federazione italiana triathlon (Fitri); Federazione italiana twirling (Fitw); Federazione italiana dama (Fid); Federazione italiana rafting (Firaft); Federazione italiana pentathlon moderno (Fipm); ente di promozione sportiva “Attività Sportive Confederate” (Asc); ente di promozione sportiva “Associazione italiana cultura e sport” (Aics); ente di promozione sportiva “Centri sportivi aziendali e industriali” (Csain); ente di promozione sportiva “Organizzazione per l’educazione allo sport” (Opes); ente di promozione sportiva “Polisportive giovanili salesiane” (Pgs); ente di promozione sportiva “Centro nazionale sportivo Libertas” (Cns Libertas); ente di promozione sportiva “Unione italiana sport per tutti” (Uisp) e associazione benemerita “Unione nazionale veterani dello sport” (Unvs).

[6] Se la maggior parte degli enti di affiliazione abbiano adottato documenti denominati “linee guida” (ad esempio, Figc, Fip, Fig, Fids, etc.), in alcuni casi i contenuti propri delle linee guida sono riportati in altri documenti quali il “Regolamento Safeguarding” (è il caso della Firaft), o nei “principi fondamentali” della Fis o ancora nelle “Linee guida e regolamento” di Asc.

[7] Si consideri, inoltre, che costituisce principio consolidato, anche nel settore della responsabilità degli enti ai sensi del D.Lgs. 231/2001, il fatto che il modello di prevenzione sportiva debba essere “tailorizzato” sul singolo ente di riferimento, e segnatamente sui rischi ivi esistenti e sulle misure di controllo effettivamente implementate.

[8] Ai sensi dell’articolo 16, comma 2, del Decreto dello sport, laddove un affiliato aderisca a più enti di affiliazione, questi potrà conformare il proprio modello di prevenzione sportiva a una delle linee guida, dandone tuttavia comunicazione ai safeguarding officer degli enti di affiliazione interessati.

[9] Cfr. articolo 5, comma 1, principi fondamentali.

[10] Ad esempio, la definizione delle responsabilità in ambito endoassociativo in materia di prevenzione e contrasto di abusi, violenze e discriminazioni; adeguate misure finalizzate al raggiungimento degli obiettivi di uguaglianza di genere, diversità e inclusione nonché al monitoraggio periodico dei risultati; etc..

[11] Ad esempio, l’adozione di adeguati protocolli che consentano l’assistenza psicologica o psicoterapeutica ai tesserati; l’adozione di adeguate misure per la sensibilizzazione sulla prevenzione dei disturbi alimentari negli sportivi, con il supporto delle necessarie competenze specialistiche, anche sulla base di specifiche convenzioni stipulate dall’ente di affiliazione; etc..

[12] Ad esempio, adeguati provvedimenti di quick-response, in ambito endoassociativo, da adottare in caso di presunti comportamenti lesivi; la predisposizione, in ambito sociale, di un sistema affidabile e sicuro di segnalazione di comportamenti lesivi, che garantisca tra l’altro la riservatezza delle segnalazioni nonché la tempestiva ed efficace gestione delle stesse.

[13] Ad esempio, l’obbligo di immediata pubblicazione della notizia dell’adozione del modello di cui all’articolo 4 e dei relativi aggiornamenti presso la sede dell’affiliato e sulla rispettiva homepage; l’obbligo di immediata comunicazione di ogni informazione rilevante al responsabile di cui al comma 2, articolo 5, al responsabile federale delle politiche di safeguarding nonché all’ufficio della procura federale ove competente; strumenti per la rappresentanza paritaria di genere, nel rispetto della normativa applicabile e delle specificità di ogni disciplina sportiva.

 

Si segnala che l’articolo è tratto da “Associazioni e sport.