6 Novembre 2023

Residenza fiscale delle persone fisiche e smart working

di Stefano Rossetti
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La scheda di FISCOPRATICO

L’articolo 2, comma 2, Tuir, detta i criteri in base ai quali le persone fisiche sono considerate fiscalmente residenti in Italia. In base a tale disposizione, si considerano residenti in Italia le persone fisiche che, per la maggior parte del periodo d’imposta (ossia 183 giorni in un anno, o 184 giorni in caso di anno bisestile):

  • sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente;
  • hanno nel territorio dello Stato italiano il proprio domicilio;
  • hanno nel territorio dello Stato italiano la propria residenza.

Tali condizioni sono tra loro alternative, con la conseguenza che, anche la sussistenza di una sola delle stesse, è sufficiente a radicare la residenza di una persona nel territorio dello Stato.

La prima condizione, chiaramente, riveste un dato di carattere formale, mentre le altre due sono condizioni di natura sostanziale che presuppongono, infatti, un “riscontro fattuale da eseguirsi caso per caso, al fine di una concreta ponderazione degli elementi che consentono di verificare il luogo di domicilio o di residenza come definiti in base alla normativa civilistica” (circolare n. 9/E/2016).

Grava sull’Amministrazione finanziaria l’onere di accertare la sussistenza di tali condizioni.

Diversamente, il comma 2-bis, dell’articolo 2, Tuir, prevede una presunzione relativa di residenza fiscale, in base alla quale si considerano residenti in Italia i soggetti trasferiti in Stati o territori a regime fiscale privilegiato individuati nel Decreto 4.5.1999, a meno che non venga prodotta la prova contraria.

Queste disposizioni sono rimaste immutate, nonostante il progresso tecnologico e la recente pandemia abbiano inciso radicalmente sugli aspetti logistici legati allo svolgimento delle attività lavorative in genere.

Infatti, al giorno d’oggi, le aziende incentivano maggiormente, rispetto al passato, il ricorso al c.d. lavoro agile per i propri dipendenti.

In questo contesto, l’Amministrazione finanziaria, con la circolare n. 25/E/2023, ha proposto una serie di esemplificazioni al fine di chiarire come le norme, volte a disciplinare i criteri di collegamento tra il territorio e italiano e i contribuenti, impattano sul mutato contesto lavorativo.

Il primo caso è quello di un cittadino straniero, non iscritto nelle anagrafi della popolazione residente, che lavora dall’Italia in smart working per un datore di lavoro estero, permanendo per la maggior parte dell’anno solare presso un’abitazione ubicata nel nostro Stato unitamente al coniuge e ai figli. In tale circostanza, osserva l’Amministrazione finanziaria, sebbene non risulti soddisfatto il requisito formale di iscrizione nelle anagrafi della popolazione residente, non si può non considerare che per la maggior parte del periodo d’imposta il cittadino estero mantiene stabilmente nel territorio dello Stato la sede principale dei suoi rapporti personali e affettivi (familiari) e la sua dimora abituale. Pertanto, considerato che i criteri previsti dall’articolo 2, comma 2, Tuir, risultano tra loro alternativi, il soggetto avrà radicato la propria residenza fiscale in Italia.

Il secondo caso è quello una cittadina italiana che si è trasferita all’estero, dove svolge un’attività lavorativa in smart working, e che ha mantenuto l’iscrizione nelle anagrafi della popolazione residente in Italia per la maggior parte del periodo d’imposta. Tale contribuente, anche qualora avesse trasferito all’estero il suo domicilio e la sua dimora abituale, continuerà a qualificarsi come residente in Italia in ragione del requisito anagrafico, per cui dovrà sottoporre a tassazione tutti i suoi redditi nello Stato italiano, salvo il disposto della normativa convenzionale qualora applicabile.

Il terzo caso riguarda un cittadino italiano iscritto all’Aire per la maggior parte del periodo di imposta, che ha sottoscritto un contratto di lavoro con un datore estero nel quale è indicata come sede ordinaria di lavoro il Paese risultante dall’iscrizione all’Aire (o altro Stato estero). Egli potrà considerarsi fiscalmente residente in Italia, qualora vi mantenga la dimora abituale dalla quale svolge la prestazione lavorativa con modalità agile.

Da ultimo è stato analizzato il caso di una persona che si è cancellata dalle anagrafi della popolazione residente in Italia e si è trasferita in uno degli Stati o territori individuati nel Decreto 4.5.1999 per svolgere un’attività di lavoro da remoto per un datore di lavoro localizzato in un terzo Stato. Tale soggetto, salvo prova contraria, continuerà ad essere considerato residente e soggetto a tassazione in Italia per tutti i suoi redditi. Coerentemente con quanto sopra, invece, non si considera assoggettabile ad imposizione il soggetto non residente in Italia (in quanto non integra alcuno dei presupposti di cui all’articolo 2 Tuir) che dal suo Paese di residenza rende le prestazioni per un datore di lavoro italiano. In tal caso, il lavoratore continua a mantenere la residenza all’estero a prescindere dalla sede in Italia del datore di lavoro.