11 Settembre 2015

Procedure concorsuali e note di variazione Iva

di Federica Furlani
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L’art. 26, co. 2, Dpr 633/1972 regola le variazioni in diminuzione degli importi fatturati qualora, successivamente all’emissione e registrazione della fattura, si verifichino determinate circostanze, tra le quali il mancato pagamento in tutto o in parte a causa di procedure concorsuali o di procedure esecutive rimaste infruttuose.

Al manifestarsi di tali fattispecie è infatti riconosciuto al cedente del bene o prestatore del servizio il diritto di emettere una nota di variazione Iva ed esercitare la detrazione della corrispondente imposta: si tratta in ogni caso di una facoltà e non di un obbligo.

Due gli aspetti critici: il presupposto soggettivo (chi può emettere la nota di variazione) e la determinazione dell’infruttuosità della procedura (quando è possibile emettere la nota di variazione).

Per quanto riguarda i soggetti titolati all’emissione della nota di variazione Iva, la facoltà non è riconosciuta a tutti i contribuenti, ma esclusivamente al cedente/prestatore partecipante al concorso; ad esempio, al contribuente che si è insinuato nel fallimento ed è stato ammesso allo stato passivo dello stesso.

Diversamente mancherebbe il presupposto dell’infruttuosità della procedura richiesto dall’art. 26, co. 2, Dpr 633/1972.

Inoltre, il riferimento previsto dalla norma al cedente/prestatore, esclude il riconoscimento del diritto all’emissione della nota di variazione in capo all’eventuale cessionario del credito (RM 120/E/2009).

Per quanto riguarda invece il momento in cui è possibile emettere la nota di variazione, esso coincide con il momento in cui diviene certa l’infruttuosità della procedura e quindi accertata l’irrecuperabilità del credito.

Di conseguenza, nel caso di:

  • fallimento: dall’esecutività del piano di riparto stabilito dal giudice delegato, dopo che è decorso il termine per le impugnazioni;
  • liquidazione coatta amministrativa: dall’approvazione del bilancio finale della liquidazione con il conto della gestione e il piano di riparto ai creditori;
  • concordato fallimentare: dalla definitività del decreto di omologazione;
  • concordato preventivo: avendo riguardo alla sentenza di omologazione divenuta definitiva e al momento in cui il debitore concordatario adempie agli obblighi assunti in sede di concordato.

L’accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell’art. 182-bis della legge fallimentare non essendo considerato una procedura concorsuale, in quanto finalizzato a valorizzare il ruolo dell’autonomia privata nella gestione della crisi dell’impresa mediante la previsione di una procedura semplificata a carattere stragiudiziale, non rientra invece nella casistica trattata. Pertanto, l’unica possibilità per il creditore che aderisce ad un accordo di ristrutturazione dei debiti di recuperare l’Iva con riferimento alla parte di credito rimasta insoddisfatta, rimane quella concessa “per sopravvenuto accordo tra le parti” prima che sia decorso un anno dall’effettuazione dell’operazione originaria che ha dato luogo all’emissione della fattura, come previsto dal comma 3 dell’art. 26.

Per quanto riguarda invece le note di variazione emesse sulla base di una procedura esecutiva infruttuosa, il diritto alla variazione presuppone che abbia avuto inizio una procedura esecutiva e che la stessa si sia conclusa infruttuosamente (RM. 195/E/2008): non basta quindi la notificazione del titolo esecutivo e del precetto se non è poi avvenuta alcuna attività esecutiva (il pignoramento).

La facoltà di emissione della nota di variazione ex art. 26, co. 2, non soggiace ad alcun limite temporale se non quello previsto ai fini della detrazione Iva, ovvero il termine della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui è sorto il diritto alla detrazione, ed alle condizioni esistenti in tale momento (RM 89/E/2002).