19 Dicembre 2022

Prime osservazioni sull’affrancamento opzionale delle riserve di utili e utili “black list”

di Fabrizio RicciGianluca Cristofori
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Il Disegno di Legge di bilancio 2023 prospetta, attualmente all’articolo 23 del testo giunto in discussione in aula, la possibilità di procedere con un affrancamento opzionale delle riserve di utili e degli utili di fonte “black list” impliciti nelle partecipazioni detenute in regime d’impresa commerciale.

Come noto, i dividendi percepiti in regime d’impresa commerciale da soggetti residenti nel territorio dello Stato, siano essi assoggettati all’Ires o all’Irpef, derivanti da utili prodotti da partecipate estere in periodi d’imposta in cui queste risultavano residenti o localizzate in Stati o territori a fiscalità privilegiata (o beneficiavano di regimi fiscali privilegiati), concorrono integralmente alla formazione del reddito complessivo del soggetto percipiente; ciò ai sensi del combinato disposto dagli articoli 59 e 44, comma 4, Tuir per i “soggetti Irpef” e dell’articolo 89, comma 3, Tuir per i “soggetti Ires”.

A tal riguardo, occorre ricordare, come fatto anche da Assonime nella propria “Nota tecnica” del 5 dicembre scorso, che i criteri per verificare il regime fiscale, da considerarsi “privilegiato” oppure no, a cui sono stati assoggettati gli utili prodotti da una partecipata estera, sono mutati più volte nel corso del tempo.

In origine, dal 2001 al 2014, occorreva fare esclusivo riferimento al D.M. 21.11.2001 recante l’elencazione tassativa dei cd. Stati o territori “black list”, mentre – dal 2015 – si è poi progressivamente passati a criteri incentrati sul livello d’imposizione del soggetto estero, per approdare, infine, a partire dal periodo d’imposta 2019, ai criteri attualmente stabiliti dall’articolo 47-bis Tuir.

In particolare, tale ultima disposizione, introdotta in sede di recepimento della cd. “Direttiva Atad”, prevede criteri di individuazione dei Paesi a fiscalità privilegiata – diversi dagli Stati appartenenti all’UE o aderenti allo SEE con i quali l’Italia abbia stipulato un accordo che assicuri un effettivo scambio di informazioni – differenziati in ragione della “caratura” della partecipazione detenuta nella partecipata non residente.

In presenza di partecipazioni non di controllo, le partecipate estere sono infatti considerate residenti o localizzate in Stati o territori a fiscalità privilegiata laddove il livello nominale di tassazione risulti inferiore al 50 per cento di quello italiano, tenendo comunque conto anche di eventuali regimi speciali a cui avessero accesso.

Diversamente, le società estere controllate si considerano residenti o localizzate in Stati o territori a fiscalità privilegiata ove il livello di tassazione effettiva della controllata estera risulti inferiore al 50 per cento rispetto a quello a cui la stessa sarebbe stata sottoposta ove fosse risultata residente ai fini fiscali in Italia.

Il descritto contesto normativo, modificato più volte e in modo tutt’altro che chiaro, anche alla luce delle interpretazioni dell’Amministrazioni finanziaria che si sono succedute, soprattutto con riguardo agli effetti ascrivibili al “regime transitorio” post modifiche, volto a regolare quelle fattispecie che vedono le partecipate estere passare dall’essere considerate “black list”, sulla base dei criteri vigenti negli anni di formazione degli utili, all’essere invece “riabilitate” come “white list”, sulla base dei criteri attualmente in vigore, e viceversa, ha contribuito a creare incertezza e conseguente “immobilismo” di molti gruppi, preoccupati delle conseguenze fiscali, anche sul piano sanzionatorio, potenzialmente ascrivibili a un’eventuale errato inquadramento della fattispecie a seguito della distribuzione delle riserve di utili accumulate presso le società partecipate estere.

Come osservato anche da Assonime, infatti, soprattutto in relazione ai gruppi multinazionali di più grandi dimensioni, caratterizzati da catene di controllo articolate e risalenti nel tempo, la verifica della provenienza – “white” o “black” – delle riserve di utili di tutte le partecipate estere si è dimostrata in taluni casi così complessa da scoraggiarne il “rimpatrio”, con la conseguenza di mantenere tali risorse finanziarie all’estero, esposte a un rischio paese talvolta molto elevato (pensiamo a talune piattaforme produttive ubicate in paesi in via di sviluppo), riducendo nel contempo le risorse disponibili in Italia, potenzialmente destinabili, in alternativa, agli investimenti nazionali.

Tale circostanza è stata rilevata anche nella relazione tecnica al Disegno di Legge di bilancio 2023, ove è stato osservato che la previsione normativa in rassegna vuole porre rimedio a questo fenomeno, consentendo alle imprese “… di liberare le riserve detenute presso i Paesi o territori a fiscalità privilegiata oggi di fatto immobilizzate”.

In particolare, la facoltà prevista dall’articolo 23 consentirebbe ai soggetti percipienti, che detengono le partecipazioni in regime d’impresa commerciale, di escludere integralmente dal concorso alla formazione del reddito complessivo gli utili e le riserve di utili non ancora distribuiti alla data di entrata in vigore della Legge di bilancio 2023, nei limiti di quelle esistenti nel bilancio dell’ente non residente, direttamente o indirettamente partecipato, relativo all’esercizio chiuso nel periodo di imposta antecedente a quello in corso al 1° gennaio 2022 (per i soggetti aventi l’esercizio coincidente con l’anno solare, il bilancio relativo all’esercizio 2021), previo versamento di un’imposta sostitutiva.

Per i soggetti Ires, l’ammontare dell’imposta sostitutiva è attualmente stabilito in misura pari al 9%; per i soggetti Irpef, in misura pari al 30%.

Tuttavia, per i soli soggetti controllanti residenti, le predette percentuali sono riducibili di 3 punti percentuali (pertanto, sino al 6% o al 27%) in relazione agli utili che saranno da questi percepiti entro il termine di scadenza del versamento a saldo delle imposte sui redditi dovute per il periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2022 (generalmente, nel mese di giugno 2024), a condizione che gli utili che ne derivano siano anche accantonati, per un periodo non inferiore a due esercizi, in una specifica riserva del patrimonio netto.

L’intento del Legislatore è, quindi, quello di invogliare il soggetto controllante residente, non solo ad “affrancare” le succitate riserve di utili, bensì anche a deliberarne l’effettiva distribuzione a stretto giro, incassando il dividendo generalmente entro il mese di giugno 2024, ciò anche al fine di stimolarne il reinvestimento in Italia; in tal senso, infatti, dev’essere letto il vincolo di accantonare il dividendo incassato, per un periodo non inferiore a due esercizi, in una specifica riserva del patrimonio netto.

Uno degli aspetti che rende particolarmente interessante l’esercizio dell’opzione – la quale si perfezionerà, stando all’attuale formulazione della proposta di legge, mediante indicazione nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2022 – è che la stessa sarebbe esercitabile distintamente per ciascuna partecipata estera e con riguardo a tutti o anche solo a parte degli utili e delle riserve di utili.

In altri termini, l’opzione sarebbe di tipo cherry-picking, nel senso che può essere esercitata in relazione a tutte o soltanto ad alcune (o una sola) delle partecipate estere e contempla un affrancamento integrale oppure anche solo parziale, potendo così tenere in debita considerazione anche quanto effettivamente distribuibile nel medio-breve periodo.

È, inoltre, previsto – al fine di evitare fenomeni di doppia imposizione, in ipotesi di cessione delle partecipazioni nelle società non residenti, le cui riserve di utili fossero state “affrancate”, ma non distribuite – che il costo fiscalmente riconosciuto della partecipazione nell’entità estera sia incrementato dell’importo degli utili e delle riserve di utili assoggettati all’imposta sostitutiva e diminuito dell’importo dei medesimi utili e riserve di utili medio tempore distribuiti. Ciò, tuttavia, sino a concorrenza del corrispettivo della cessione, sicché per effetto di tale meccanismo non si possono conseguire minusvalenze.

Se, anche in esito all’iter parlamentare del Disegno di Legge di bilancio 2023, sarà mantenuta tale opportunità, si imporranno quindi attente valutazioni di convenienza, che tengano in debita considerazione, oltre a quanto sopra, anche l’eventuale ritenuta in uscita che dovessero scontare i dividendi nello Stato della fonte, in relazione alla quale, in caso di “affrancamento”, non dovrebbe spettare il credito d’imposta per le imposte assolte all’estero, stante il mancato concorso alla formazione del reddito complessivo del soggetto percipiente dei dividendi stessi.

Taluni aspetti di carattere tecnico-applicativo, che attualmente non sono direttamente desumibili dalla proposta norma di legge (per esempio, se, in presenza di perdite o in difetto di un utile capiente, l’apposita riserva possa essere iscritta vincolando riserve di utili precedentemente accantonate, oppure l’effettiva durata del vincolo imposto “per due esercizi” sulla medesima riserva), potrebbero trovare espressa regolamentazione anche nel successivo decreto ministeriale, cui è normativamente demandata la disciplina attuativa.