3 Marzo 2016

Non sindacabile il finanziamento infruttifero a società non residenti

di Pietro Vitale
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L’applicazione dell’art. 110, comma 7, DPR n. 917/1986 (TUIR), non è pacifica ai finanziamenti infruttiferi; l’Agenzia delle Entrate propende per una sua applicazione mentre la Cassazione (non a sezioni unite) la nega.

Brevemente si rammenta che tale norma di matrice antielusiva vuole valorizzati a valore normale (cd arm’s lenght) i costi e i ricavi che possano derivare da acquisto/vendita di merci/servizi da/verso società del gruppo non residenti in Italia.

Pertanto, qualora una società mutuante italiana eroghi ad una mutuataria controllata e non residente in Italia un finanziamento infruttifero, secondo una rigida interpretazione di tale norma, la mutuante italiana dovrebbe per forza incrementare la propria base imponibile IRES di un ipotetico, ancorché non riscosso, interesse attivo da calcolare con le regole tipiche del transfer pricing. Sul punto si ricorda che ai sensi dell’art. 109 del TUIR, un ricavo (diversamente da un costo) è comunque tassato anche se non previamente imputato al conto economico.

Sul punto, invece, la Cassazione Civ. sez. V. Sent 17.07.2015 n. 15005 (a chiusura del ricorso inizialmente instaurato da una società di design automobilistico presso la Commissione Tributaria Regionale del Piemonte, Sent. 19.09.2010, n. 69) ha ritenuto infondato il ricorso dell’Agenzia delle Entrate contro i giudici di appello che avevano ritenuto non ricorrere una ipotesi di transfer pricing al caso di specie, in quanto un finanziamento infruttifero è pienamente legittimo sia da un punto di vista fiscale sia civilistico. Infatti, l’art. 1815 c.c. prevede l’applicazione dell’art. 1284 c.c. in tema di saggio legale facendo, tuttavia, salva la diversa volontà delle parti; del pari anche l’art. 89, comma 5, del TUIR prevede l’applicazione del tasso legale per tutti quei mutui che siano qualificabili come tali da un punto di vista civilistico facendo comunque salva una diversa volontà delle parti nel prevedere per iscritto (secondo l’art. 1813 c.c.) una diversa misura, anche pari a zero, del tasso.

Anche un precedente arresto giurisprudenziale (Cass. Civ. sez. V. Sent. 19.12.2014 n. 27087) aveva affermato la liceità tributaria di un finanziamento infruttifero effettuato dalla mutuante italiana eccetto che nei casi di frode, di illiceità del finanziamento in quanto non corrispondente alla realtà economica al fine di evadere l’imposta, nei casi di operazioni simulate fiscalmente neutre e dissimulanti uno scambio altrimenti imponibile, nel caso di elusione per conseguire un vantaggio fiscale indebito. In tale sentenza veniva, quindi, data la possibilità di sindacare il finanziamento infruttifero qualora antieconomico per il mutuante che, nel caso di specie, non sussisteva in quanto esso aveva lo scopo “di ottimizzare le risorse disponibili, …mantenere la quota di mercato …”. Nella sentenza del 2015, invece, lo scopo era quello di permettere alla partecipata francese l’acquisto di partecipazioni in altre società francesi.

Come si evince dalle sopra citate sentenze della Cassazione, il litigio con l’Agenzia delle Entrate è forte in quanto quest’ultima in fase di accertamento cerca e cercherà sempre di più di applicare le regole del transfer pricing ai finanziamenti infruttiferi facendo leva anche sia sul nuovo codificato concetto di abuso del diritto sia sul recente BEPS package dell’OCSE.

Al fine di supportare la gratuità del finanziamento potrebbe essere utile, per quanto possibile, rifarsi alle transfer pricing Guidelines dell’Ocse (TPG) nella loro versione del 1979 le quali individuavano due situazioni che potevano giustificare l’assenza di remunerazione dei finanziamenti qualora erogati a favore di start-up o per difficoltà finanziaria della controllata. Seppur tali previsioni non sono più operanti, in quanto non più presenti nelle attuali TPG, si ritiene comunque che esse possano rientrare nelle strategie commerciali di cui al paragrafo 1.60 delle attuali TPG secondo cui “1.60 Business strategies also could include market penetration schemes. A taxpayer seeking to penetrate a market or to increase its market share might temporarily charge a price … lower than the price charged for otherwise comparable products in the same market. Furthermore, a taxpayer seeking to enter a new market or expand (or defend) its market share might temporarily incur higher costs (e.g. due to start-up costs or increased marketing efforts) and hence achieve lower profit levels than other taxpayers operating in the same market”.

Il rischio di vedersi sindacata la misura del tasso di interesse aumenta, invece, in tutti quei finanziamenti in cui un tasso viene previsto. Per assurdo risulta più comodo difendersi in assenza di tasso che in presenza di interessi che non siano ad arm’s lenght.

In una tale situazioni di incertezza, poterebbe valutarsi se effettuare un versamento in conto capitale anziché un finanziamento infruttifero.

Sul punto si ricorda che i versamenti in conto capitale sono apporti finanziari che accrescono il patrimonio netto della società, senza aumentare tuttavia la cifra nominale del capitale sociale, ma determinando l’incremento solo del capitale reale della società medesima (A. Ferrucci e C. Ferrentino, in in Riv. Del Notariato, fasc. 4, 2009, pagg. 1065 ss). A certe condizioni anche tale riserva, come il mutuo, può rientrare nel possesso dei soci; per la Suprema Corte (Cass. Civ. n. 16393 del 24.7.2007) “… i soci eroganti possono chiedere la restituzione delle somme versate solo per effetto dello scioglimento della società e nei limiti dell’eventuale residuo attivo del bilancio di liquidazione e che, d’altra parte, i ridetti versamenti, in caso di saturazione della riserva legale, possono con delibera dell’assemblea ordinaria essere distribuiti durante societate tra i soci in misura corrispondente a quanto da ognuno versato”. Alla distribuzione di tali versamenti in conto capitale partecipano “soltanto il socio (o i soci) che hanno contribuito alla sua formazione, in proporzione dei rispettivi conferimenti atipici (M. Campobasso, Società banche e crisi d’impresa, 2014, pag. 1345 ss.).

Pertanto, tale riserva che è personale e targata dà diritto alla restituzione esclusivamente a chi ha effettuato il versamento e in ragione dell’entità delle somme trasferite e non anche in misura proporzionale alla partecipazione al capitale sociale.

La cd riserva targata, durante societate potrà essere distribuita (nei limiti in cui ciò risulti consentito dall’art. 2431 c.c.) solo in favore dei soci eroganti; non può essere imputata a riserva legale, né essere utilizzata per l’acquisto di azioni proprie. Tale riserva sarà, invece, esposta alle eventuali perdite sociali solo dopo che queste ultime abbiano eroso tutte le riserve di spettanza comune, ivi compresa quella legale.

Inoltre, in sede di liquidazione della società si potrà ottenere la restituzione della riserva targata dopo il soddisfacimento dei creditori sociali e di tutti i soci in base alle rispettive quote di partecipazione al capitale.