5 Maggio 2015

Non è abuso del diritto realizzare iniziative economiche in aree incentivate

di Luca Dal Prato
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La Corte di Cassazione, con sentenza n. 5378 del 18 marzo 2015, ha stabilito che non si ravvisa abuso del diritto nel caso in cui un gruppo aziendale decida di realizzare iniziative produttive in aree incentivate, in quanto i benefici fiscali costituiscono la contropartita incentivante dell’investimento. Secondo la Corte è infatti lo stesso legislatore ad incentivare gli investimenti in determinate aree, tramite la concessione di misure agevolative in materia fiscale, che costituiscono una leva, anch’essa lecita, dell’iniziativa economica. Per questo motivo è ammesso il conseguimento del relativo risparmio fiscale mediante la costituzione di un insediamento produttivo nelle zone agevolate e la commercializzazione del prodotto ivi realizzato.

La vicenda trae spunto dalla sentenza della CTR che condivideva il disconoscimento di costi effettuato dall’amministrazione finanziaria sulla base di presunzioni gravi precise e concordanti, con riguardo anche all’identità della struttura della compagine societaria della società sottoposta ad accertamento e della società fornitrice, localizzata in un’area in cui godeva di particolari benefici fiscali. Secondo la CTR, per escludere il carattere abusivo delle operazioni, la società accertata avrebbe dovuto dimostrare l’esistenza di un vantaggio economico diretto, afferente alla stessa struttura dei rapporti tra le parti.

La Corte si è invece espressa sostenendo come l’identità di compagine sociale, i rapporti di partecipazione e controllo societario ed in generale il fenomeno del c.d. “gruppo di imprese” sono riconducibili al frazionamento del rischio e all’esigenza di creare economie di scala, costituendo strumenti leciti e diffusi nella realtà economica, che non implicano un aggravio degli ordinari principi in materia di ripartizione dell’onere della prova. Secondo i supremi giudici, il contribuente avrebbe potuto conseguire un ingiustificato risparmio di imposta, e conseguente abuso del diritto, unicamente in caso di corresponsione di un prezzo di acquisto ingiustificatamente superiore a quello di mercato, elemento non provato nel caso di specie.

Secondo gli Ermellini, la definizione di abuso del diritto è riscontrabile laddove il contribuente ponga in essere un’operazione che ha il fine di ottenere indebiti vantaggi fiscali attraverso l’utilizzo distorto (seppur non contrastante con alcuna specifica disposizione) di strumenti giuridici idonei e in difetto di ragioni economiche apprezzabili che giustifichino l’operazione (alcuni riferimenti in materia sono la Sentenza C-255/02, causa Halifax e a. c. / Commissione of Customs Excise; Cass. n. 6800/2009 e Cass. Ss. Uu. 30055, 30056 e 30057 del 2008, nonchè 21692 e 21693 del 2010). In conclusione, in assenza di un utilizzo distorto dello strumento scaturente dall’esecuzione di operazioni antieconomiche tra controllante e controllata, non appare ravvisatale la fattispecie dell’abuso del diritto.

La Sentenza in rassegna appare sostanzialmente in linea con il nuovo schema di decreto legislativo sulla certezza del diritto, in cui viene stabilito che l’Agenzia delle Entrate ha l’onere di dimostrare la sussistenza della condotta abusiva, premurandosi di richiedere specifici chiarimenti prima di emettere l’atto impositivo, pena l’invalidità dello stesso; inoltre, viene espressamente previsto che l’abuso del diritto non può essere rilevato d’ufficio dal giudice nel contenzioso tributario. Il contribuente, una volta ricevuto l’atto impositivo, sulla scorta del nuovo decreto dovrà quindi dimostrare l’esistenza di eventuali ragioni extrafiscali non marginali che hanno determinato la scelta di compiere determinate operazioni, tenendo però in considerazione che l’onere della prova spetta in relazione a fatti (articolo 2697 codice civile) mentre l‘abuso del diritto, generalmente, corrisponde a valutazioni, dovendo stabilire se le operazioni compiute hanno generato un vantaggio fiscale illegittimo.

Più che un onere di prova, vi sarebbe in conclusione un onere di allegazione dei fatti posti a fondamento delle diverse tesi (quelle dell’ufficio dell’Amministrazione finanziaria e quelle del contribuente).