6 Luglio 2015

Nel blu dipinto di print

di Michele D’Agnolo
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Uno degli strumenti più utili e versatili per la gestione dello studio professionale è rappresentato dal blueprint.

Le attività che ogni studio professionale pone in essere per la realizzazione delle prestazioni professionali possono essere considerate dei percorsi, degli iter, cioè delle sequenze di azioni che si succedono nel tempo secondo un ordine prestabilito. Come in un film, per fare un bilancio di esercizio occorre partire da una situazione contabile, verificarne la congruità, la completezza e la corretta classificazione, procedere alle scritture di integrazione e di rettifica, poi e solo poi stanziare le imposte, calcolare le imposte anticipate e differite. La descrizione scritta, schematica o mediante immagini di questi iter porta alla stesura di protocolli, o dei sinonimi procedure e istruzioni di lavoro. Queste modalità di descrizione dei processi produttivi hanno ottenuto una particolare popolarità negli anni 2000 e successivi con la prima affermazione della certificazione ISO 9000 all’interno degli studi commerciali, legali e di consulenza del lavoro, ma erano già in uso da molto tempo negli studi di derivazione anglosassone, soprattutto nei processi legati alla revisione contabile. 

Come quando si esplora un territorio con una mappa satellitare, ci sono molti gradi di dettaglio da poter dare ad una procedura. Si possono descrivere i processi in maniera minuziosa, quasi pedante, oppure si può volare molto più alti e dare una visione di sintesi, quasi per capitoli, delle attività che sono necessarie per addivenire ad una prestazione professionale.

Le necessità descrittive possono variare da studio a studio e anche nei singoli momenti storici di uno studio a seconda della novità del processo e del grado di preparazione ed esperienza degli addetti.

Il blueprint è una via di mezzo, è una forma semplificata di procedura, cioè di descrizione di un processo che avviene all’interno dello studio.

Anche se a prima vista non sembra, disporre di un blueprint, cioè dell’elenco delle fasi principali di un iter di una prestazione professionale può essere molto utile per la gestione dello studio. 

Innanzitutto accorcia in modo drammatico il tempo necessario a fare una analisi dei processi dello studio. Pensate di essere ancora a scuola e di dover fare un tema partendo da un foglio bianco oppure di avere l’amico di banco che, strizzandovi l’occhiolino quando la prof si volta dall’altra parte, vi passa i titoli di tutti i capoversi. Non dico che il tema sarà già fatto ma certamente il lavoro verrà svolto in maniera molto più rapida. Anche perché a livello macro, sono veramente pochi i cambiamenti che il singolo studio professionale riesce ad imprimere alla propria attività rispetto a quella dei competitors. La cura di un canale dentale o la predisposizione di una comparsa di risposta, l’elaborazione di una busta paga o la stesura di un progetto di un garage richiedono tutti una serie di fasi di lavoro sostanzialmente immutabili e ineludibili. Se si escludono le operazioni a cuore aperto e la progettazione delle navette spaziali, le differenze nell’operato e nell’organizzazione degli studi professionali si giocano molto più spesso a livello di dettagli, a livello di microprocessi, di competenze degli addetti, di tecnologia utilizzata. È la particolare fresa che l’odontoiatra sceglie e il movimento clinico che la sua sapiente mano imprime al trapano quando entra nella bocca del paziente a conferire all’intervento maggiore rapidità e una migliore conservazione del dente.

In secondo luogo, la presenza di un manuale dei blueprint, che raccolga in poche pagine i passaggi salienti di tutte le attività svolte dallo studio può aiutare grandemente i nuovi venuti a farsi un idea delle prestazioni che lo studio eroga e delle interazioni tra i processi ed accelerare fortemente la loro inclusione.

È invece illusorio pensare che fornendo indicazioni dettagliatissime dentro alle singole procedure si possano ridurre o eliminare i momenti formativi o di affiancamento, o i momenti di assegnazione e verifica dei carichi di lavoro. Preso atto che le procedure non sostituiscono il manager o il tutor ma lo aiutano solamente, tanto vale ridurre queste istruzioni all’osso dandogli il valore di un promemoria. Da questo punto di vista, il blueprint assomiglia molto ai sassolini che Pollicino lasciava lungo la strada per ritrovare casa. Da dettagliare quanto basta, come direbbe un farmacista, cioè non una riga di più del necessario. E così, proprio come una mappa non è il territorio, troveremo soltanto la descrizione dei punti cospicui, quelli che ci servono per orientarci e navigare sicuri verso la nostra meta.

Il blueprint è utilissimo per guidare gli audit interni dello studio. Gli audit interni sono periodici incontri dei titolari dello studio con il personale di studio dove si discute di come si lavora. Si tratta in assoluto di uno degli strumenti più efficaci per la gestione di uno studio professionale. In particolare in un ambiente refrattario alla segnalazione delle non conformità, si tratta dell’attività più indicata per prevenire le non conformità potenziali, cioè i rischi professionali dovuti alla disorganizzazione, e per motivare il personale dello studio, risolvendo con loro eventuali problemi di gestione. È un attività che bisognerebbe fare almeno due volte l’anno, e che laddove si fa, si paga da sola.

Il blueprint è utile anche per disegnare le brochure delle singole prestazioni professionali. Come faccio a spiegare ad un cliente cosa avviene dietro le quinte, quando lui non c’è, se non descrivendo l’iter di attività che andremo a svolgere per soddisfare le sue esigenze? Materializzare il servizio allegando al cliente una scheda che spiega cosa verrà fatto può essere utile.

Il blueprint di una prestazione professionale può inoltre essere trasformato immediatamente in una checklist di processo, cioè in un documento sul quale potremo spuntare l’esecuzione delle singole fasi di lavoro fino a verificare il completamento. Inoltre, se volessimo avere un quadro complessivo dei bilanci o dei dichiarativi da chiudere, potremo munirci di un tabellone di stato avanzamento lavori, le cui colonne avranno guardacaso per titolo proprio i punti del nostro blueprint

Con il blueprint si possono dettagliare i preventivi, per esempio quando andiamo a descrivere minuziosamente le fasi di una operazione straordinaria per convincere il cliente a pagarci una lauta parcella.

Con il blueprint si possono fare fatture e consuntivi con descrizioni di attività molto dettagliate senza dover reinventare la ruota.  

Il blueprint serve moltissimo anche alla definizione delle attività che verranno poi utilizzate per la registrazione dei tempi di lavoro nei software di gestione studio. Ad esempio, può essere utile distinguere nella rilevazione dei tempi di uno studio contabile, il tempo necessario per riordinare i documenti che il cliente fornisce alla rinfusa e senza prima nota rispetto a quello che si impiega per l’aggiornamento della contabilità. E il tempo complessivo di relazione rispetto al tempo operativo. Può essere altrettanto utile misurare quali sono le attività più dispendiose in termini di tempo e verificare se a livello di medie ci sono dei collaboratori che lo fanno meglio, per estendere le loro best practice a tutti i collaboratori dello studio. 

Il blueprint è utile anche per l’applicazione dei principi della Lean Organisation allo studio professionale. Dall’elenco delle attività da svolgere sarà molto più facile entrare nei dettagli di descrizione dei microprocessi necessari a definire quelle che costituiscono degli sprechi in quanto non aggiungono valore al cliente. Come percorrere cinquanta metri per trovare la stampante più vicina o spostare la carpetta in giro per lo studio anziché le informazioni che contiene.

Il blueprint potrebbe essere un’attività tipicamente collettiva, svolta dagli organismi di categoria, visti i vantaggi che può portare anche agli studi di piccola dimensione, in cui la complessità rimane sostanzialmente la stessa di quelli grandi. Nell’attesa, occorre arrangiarsi, rubacchiando qua e là dai titoli dei manuali di tecnica professionale, saccheggiando il web, e mettendosi pazientemente a ricostruire le fasi mancanti rileggendo magari un vecchio fascicolo o intervistando il personale di studio. Siccome si tratta di mettere le ali allo studio, per farlo volare più in alto che mai, ne vale davvero la pena.