17 Giugno 2014

Lo studio multiprofessionale

di Michele D’Agnolo
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La specializzazione e la messa a disposizione di una gamma completa di servizi di cui un cliente può aver bisogno sono generalmente i due punti di forza di quanti propugnano gli studi multiprofessionali.

Gli studi multiprofessionali sono un tipo particolare di aggregazione tra professionisti, in cui i singoli professionisti anziché appartenere tutti alla stessa professione, provengono da ordinamenti professionali diversi.

Affinché un simile tipo di sodalizio professionale abbia un senso economico occorre naturalmente individuare un mix di professioni che siano affini e compatibili.

Associare un commercialista ad un veterinario non avrebbe, ad esempio, nessun senso. A meno che i clienti del commercialista non fossero tutti dei cani, naturalmente.

Al di là della battuta, nell’ambito delle professioni economico-giuridiche è comune riscontrare aggregazioni tra commercialisti e consulenti del lavoro, tra commercialisti e avvocati, tra consulenti del lavoro e avvocati. La riforma dell’ordinamento forense non mostra particolare simpatia per queste forme di coordinamento. Addirittura i notai, per legge, non possono accompagnarsi ad alcuna professione contermine e sono quindi “condannati” alla monoprofessionalità.

Parimenti, nell’ambito delle professioni tecniche edili promettono certamente significative sinergie i sodalizi tra periti industriali, geometri, architetti e ingegneri.

In campo sanitario, branca professionale che ha inventato ospedali, cliniche e poliambulatori, l’ortopedico si associa col fisioterapista o il radiologo con il tecnico di radiologia, ma ultimamente ho visto persino odontoiatri associarsi con psicologi e con fisiatri per offrire un servizio sempre più completo di benessere della persona.

Non è agevole organizzare uno studio multiprofessionale. Sembra innanzitutto esistere una sorta di misura fissa tra i professionisti contermini che desiderano aggregarsi. Soprattutto se vogliono condividere la stessa clientela, i professionisti partecipanti devono essere in corretta proporzione tra loro. Prendiamo uno studio economico-giuridico. Al di fuori dei grandi centri, in uno studio tipico, legato al cedolino paga e alle contabilità delle microimprese, per ogni consulente del lavoro che voglia fare una ragionevole vendita incrociata con dei dottori commercialisti, ne dovrò associare probabilmente almeno cinque o sei. Ancora più alto risulterà il numero dei commercialisti e dei consulenti del lavoro necessari per sostenere un avvocato specializzato in diritto tributario o in diritto del lavoro. un avvocato o consulente del lavoro associato a dei commercialisti potrebbe avere difficoltà a mantenere una propria clientela indipendente, poiché potrebbe essere percepita come potenzialmente aggressiva la sua associazione.

E’ chiaro che in realtà di maggiori dimensioni ovvero tenendo conto di dimensioni territoriali di mercato più ampie le proporzioni cambiano conseguentemente.

Inoltre, anche a prescindere dai luoghi comuni, esistono profonde diversità culturali tra le diverse professioni, e queste differenze comportano quasi inevitabilmente pesanti riflessi di natura organizzativa. Ve la immaginate la precisione del notaio a confronto col caos creativo dell’avvocato o con l’ansia da scadenza del commercialista? Ve lo immaginate un avvocato che tendenzialmente fa tutto all’ultimo momento coordinarsi con un consulente del lavoro che cerca di prepararsi e prevenire ogni scadenza.

Anche nella disponibilità e nella attenzione al cliente le professioni possono differire notevolmente tra loro, anche in modo del tutto involontario. Pensiamo al cliente che abituato alla disponibilità telefonica immediata del consulente del lavoro, provi a cercare l’avvocato dello studio al mattino, quando è nel turbine delle udienze o al pomeriggio prima della scadenza di un atto importante. Non è improbabile che al consulente del lavoro continuino ad arrivare anche le chiamate relative ai contenziosi.

Dobbiamo avere ben presente che il rischio di gestione delle varie pratiche di un cliente nello studio multiprofessionale si somma. Se abbiamo un cliente per bilanci e dichiarazioni e gli perdiamo una causa, magari solo perché il giudice era incompetente, rischiamo che se ne vada altrove con tutto il pacchetto di prestazioni.

Vi sono poi una serie di aree di sovrapposizione tra le varie professioni, che andranno chiarite nei patti tra professionisti. Se in uno studio di commercialisti entrassero un avvocato e un consulente del lavoro, chi si occuperebbe del contenzioso tributario in studio? E chi dovrebbe predisporre il 770 per gli agenti o i contratti per le collaborazioni continuative. Il consulente del lavoro, l’avvocato, il commercialista?

Non va sottaciuto che tra le varie attività professionali integrabili vi sono differenti percentuali di redditività e flussi di cassa, che rendono difficile la formulazione e il rispetto di patti sociali. Ci sono, per cominciare, professioni dove con tutta la più buona volontà può essere molto difficile incassare l’IVA. Pensiamo alle parcelle di un penalista che difende un incallito criminale. Altre professioni invece sono talmente assoggettate a controlli da rendere impensabile alcuna forma di evasione fiscale.

Le diverse professioni possono richiedere poi una maggiore o minore struttura in termini di personale. L’avvocato può di regola portare avanti la propria attività avvalendosi soltanto di una segretaria part-time, il commercialista o il consulente del lavoro possono avere maggiore necessità di dipendenti. Inoltre potrà variare anche la necessità di spazio ufficio, in quanto alcune attività professionali possono suggerire la periodica presenza del cliente a studio mentre altre si svolgono per lo più con la presenza del professionista presso il cliente. Può variare molto tra una professione e l’altra anche la frequenza dei contatti. La consulenza del lavoro, per esempio, tende a elicitare una serie di contatti col cliente che sono molte volte tanto quelle che lo stesso cliente genera per la consulenza contabile e fiscale.

Per non dire poi dei picchi di lavoro, che essendo differenziati nel corso dell’anno possono creare momenti di conflittualità tra le diverse aree dello studio.

In conclusione, non credo che le aggregazioni multiprofessionali siano un modello destinato ad ampia diffusione, anche se con ogni probabilità sia i clienti che i professionisti coinvolti potrebbero ottenere benefici sostanziosi, in termini di qualità della prestazione e di qualità della vita. Questo perché sono purtroppo ancora molto carenti nel nostro tessuto professionale le abilità a gestire e a farsi gestire che sono richieste per poter operare efficacemente in un gruppo professionale.