13 Novembre 2014

L’IVA sulla permuta intracomunitaria di beni

di Marco Peirolo
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La permuta è definita dall’art. 1552 c.c. come “
il contratto che ha per oggetto il reciproco trasferimento della proprietà di cose, o di altri diritti, da un contraente all’altro”.
Anche nell’ambito dei rapporti intracomunitari è possibile ricorrere allo schema negoziale della permuta quando le controparti, identificate ai fini IVA in Paesi UE diversi, intendono scambiarsi un bene con spedizione/trasporto al rispettivo destinatario.
Agli effetti dell’IVA, il contratto in esame non risulta espressamente disciplinato dal D.L. n. 331/1993, che definisce le regole applicabili alle operazioni intracomunitarie. In base, pertanto, alla disposizione generale di rinvio alle norme del D.P.R. n. 633/1972, contenuta nell’art. 56 del D.L. n. 331/1993, anche alle permute intracomunitarie di beni si applica il
principio della tassazione separata, previsto dall’art. 11, comma 1, del d.P.R. n. 633/1972. In base a questa disposizione, “
le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate in corrispettivo di altre cessioni di beni o prestazioni di servizi, o per estinguere precedenti obbligazioni, sono soggette all’imposta separatamente da quelle in corrispondenza delle quali sono effettuate”.
Ne consegue che l’impresa nazionale effettua una
doppia operazione, ossia:
  • dal lato passivo, un acquisto intracomunitario, imponibile IVA ai sensi dell’art. 38 del D.L. n. 331/1993;
  • dal lato attivo, una cessione intracomunitaria, non imponibile IVA ai sensi dell’art. 41 del D.L. n. 331/1993.
Entrambe le operazioni devono essere riepilogate, rispettivamente, nel
modello INTRA 2-bis e nel
modello INTRA 1-bis, da presentare entro il giorno 25 del mese successivo al periodo (mese o trimestre) di registrazione della fattura intracomunitaria della cessione e dell’acquisto.
Riguardo, in particolare, all’acquisto intracomunitario, l’art. 43, comma 1, del D.L. n. 331/1993 stabilisce che la base imponibile è determinata secondo le disposizioni contenute negli artt. 13, 14 e 15 del D.P.R. n. 633/1972.
Ciò significa che l’IVA è commisurata al
“valore normale” del bene acquistato, poiché l’art. 13, comma 2, lett. d), del d.P.R. n. 633/1972, rimasto invariato a seguito delle modifiche introdotte dalla L. n. 88/2009 (Comunitaria 2008), dispone che la base imponibile, per le permute, è costituita dal
valore normale del bene o del servizio che forma oggetto di ciascuna operazione.
La
definizione di “valore normale” è contenuta nell’art. 14 del d.P.R. n. 633/1972, tale essendo “
l’intero importo che il cessionario o il committente, al medesimo stadio di commercializzazione di quello in cui avviene la cessione di beni o la prestazione di servizi, dovrebbe pagare, in condizioni di libera concorrenza, ad un cedente o prestatore indipendente per ottenere i beni o servizi in questione nel tempo e nel luogo di tale cessione o prestazione”. Tuttavia, “
qualora non siano accertabili cessioni di beni o prestazioni di servizi analoghe, per valore normale si intende:
a)      
per le cessioni di beni, il prezzo di acquisto dei beni o di beni simili o, in mancanza, il prezzo di costo, determinati nel momento in cui si effettuano tali operazioni;
b)     
per le prestazioni di servizi, le spese sostenute dal soggetto passivo per l’esecuzione dei servizi medesimi”.
La determinazione della base imponibile delle permute in funzione del valore normale si pone, tuttavia, in
contrasto con la normativa comunitaria, così come interpretata dalla giurisprudenza della Corte di giustizia.
I giudici comunitari hanno, infatti, affermato che, in base all’art. 80 della Direttiva IVA, il criterio del valore normale è applicabile esclusivamente alle
operazioni tra “soggetti collegati”, cioè quando i beni sono ceduti o i servizi sono resi a destinatari con cui sussistono
legami familiari o altri stretti vincoli personali, gestionali, di associazione, di proprietà, finanziari o giuridici, quali definiti dallo Stato membro (sent. 7 marzo 2013, causa C-19/12; sent. 19 dicembre 2012, causa C-549/11; sent. 26 aprile 2012, cause riunite C-621/10 e C-129/11).
La difformità rispetto alla disciplina comunitaria si estende ad un ulteriore profilo, sol considerando che – ad avviso dell’Amministrazione finanziaria – l’IVA è applicata sul
valore normale del bene ceduto o del servizio reso anziché del bene o servizio ricevuto (
risoluzione dell’Agenzia delle Entrate 2 ottobre 2009, n. 255), quando invece, secondo la citata giurisprudenza, il valore della prestazione coincide con quello della controprestazione, inteso come valore attribuito dal beneficiario, corrispondente alla somma di denaro che quest’ultimo sarebbe disposto a pagare per acquistare il bene/servizio.