30 Maggio 2015

L’esonero contributivo per amministratori e stagionali

di Luca Vannoni
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La presenza, per il 2015, dell’esonero contributivo triennale previsto dal comma 118 dell’art.1 della legge n. 190 del 23 dicembre 2014 ha riproposto all’attualità la possibilità di gestire con contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato prestazioni di lavoro svolte con strumenti giuridici diversi, in particolare in riferimento ad amministratori, soci e familiari. Non solo: l’inizio della stagione estiva potrebbe portare all’utilizzo del part time ciclico a tempo indeterminato, in luogo del tradizionale contratto a termine stagionale.

 Al di là della convenienza, è opportuno analizzare in modo approfondito gli elementi sostanziali della configurabilità del lavoro subordinato a tempo indeterminato nei casi sopra riportati, e non solo le condizioni previste per beneficiare dell’esonero.

Quest’ultime, in estrema sintesi, prevedono che alle assunzioni effettuate nel periodo 1° gennaio 2015 – 31 dicembre 2015 sia riconosciuto, per un periodo massimo di trentasei mesi, l’esonero dal versamento dei complessivi contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro, con esclusione dei premi e contributi dovuti all’INAIL, nel limite massimo di 8.060 euro su base annua.

Non sono esonerabili le assunzioni relative a lavoratori che nei sei mesi precedenti siano risultati occupati a tempo indeterminato presso qualsiasi datore di lavoro e non spetta con riferimento a lavoratori per i quali il beneficio sia già stato usufruito in relazione a precedente assunzione, dello stesso datore di lavoro, a tempo indeterminato. L’esonero inoltre non spetta ai datori di lavoro in presenza di assunzioni relative a lavoratori in riferimento ai quali i datori di lavoro, anche considerando società controllate o collegate ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile o facenti capo, anche per interposta persona, allo stesso soggetto, hanno comunque già in essere un contratto a tempo indeterminato nei tre mesi antecedenti la data di entrata in vigore della disposizione.

Analizzando i casi sopra anticipati, gestire le attività stagionali non con contratti temporanei, come il contratto a termine e la somministrazione, ma con part time verticali a tempo indeterminato è perfettamente legittimo e non contrasta con la possibilità di beneficiare dell’esonero.

Il problema principale di tale costruzione è rappresentata dall’impossibilità per i lavoratori di ricevere indennità per la disoccupazione, l’odierna NASpI, per i periodi di non lavoro, fermo restando che il contratto rimane in essere e quindi il lavoratore non si trova tecnicamente in una situazione di perdita involontaria dell’occupazione. Già in passato, con i previgenti istituti per la disoccupazione, la questione era stata oggetto di interesse, sfociata con la sentenza della Corte Costituzionale 24 marzo 2006 (si veda anche la circolare INPS 55/2006): il perdurare del rapporto di lavoro nei periodi di sosta assicura al lavoratore impiegato a tempo parziale verticale “una stabilità ed una sicurezza retributiva, che impediscono di considerare costituzionalmente obbligata una tutela previdenziale della retribuzione nei periodi di pausa della prestazione” lavorativa.

Sicuramente la situazione determina un contrasto diretto tra istanze del lavoratore e del datore di lavoro, dove reciprocamente il vantaggio di una parte del contratto diventa uno svantaggio dell’altra.

Nella non semplice gestione di tale contrasto, si registrano prassi a livello territoriale, non condivisibili, dove l’esonero non viene riconosciuto dall’INPS nelle attività stagionali con chiusura annuale, mentre viene riconosciuto per le punte di attività stagionali.

Altra situazione interessata dagli allettanti vantaggi dell’esonero riguarda il lavoro dei familiari, soprattutto nelle piccole imprese o nelle ditte individuali.

L’instaurazione di un contratto di lavoro subordinato con un familiare stretto, è difficilmente prospettabile nell’ambito di un’impresa individuale in quanto in tale contesto opera una presunzione di gratuità della prestazione, in particolare per il familiare convivente, trovando essa causa nei vincoli di affetto e solidarietà del contesto familiare.

La presunzione, ovviamente, non è un divieto assoluto ma determina un maggior rigore probatorio: per superare la presunzione di gratuità della prestazione è necessario che sia data la piena prova dell’instaurazione di un rapporto subordinato, mediante la dimostrazione dell’assoggettamento al potere direttivo del familiare datore di lavoro, la c.d. etero direzione, e dell’erogazione di un corrispettivo periodico al familiare dipendente.

Come afferma il consolidato orientamento giurisprudenziale in materia, la convivenza del figlio di fatto rende impossibile la configurabilità della subordinazione (si segnalano, tra le recenti pronunce, Cass. 05-09-2014, n. 18783 e Corte di Appello di Genova 14 aprile 2014).

Infine, per gli amministratori, è necessario ricostruire il quadro giurisprudenziale relativo alla compatibilità della carica in una società di capitali con la qualifica di lavoratore subordinato.

Con la sentenza 329/2002, la Corte di Cassazione ha affermato che “la qualità di amministratore di una società di capitali è compatibile con la qualifica di lavoratore subordinato della medesima ove sia accertata l’attribuzione di mansioni diverse dalle funzioni proprie della carica sociale rivestita e in caso di attribuzione allo stesso soggetto solo delle funzioni inerenti al rapporto organico, la nullità del rapporto di lavoro avente ad oggetto quelle stesse attività non esclude il diritto al distinto compenso specificamente deliberato in favore degli amministratori”.

In sintesi, è possibile cumulare, in via generale, i due rapporti purché siano rispettati le seguenti condizioni:

  1. Sussistenza di un rapporto di subordinazione, caratterizzato dalla soggezione all’eterodirezione;
  2. Alterità oggettiva tra le prestazioni in esecuzione del rapporto di lavoro subordinato e quella svolta come amministratore.

Riguardo al primo punto, è necessario che l’amministratore non assorba nella sua carica tutti i poteri di direzione, controllo e rappresentanza della società, o comunque poteri di amministrazione straordinaria o la totalità dell’amministrazione ordinaria, rendendo di fatto impossibile una soggezione di dipendenza verso un qualunque soggetto o organismo della stessa. E quindi, in altri termini, deve sussistere un soggetto, ovvero un organismo, come il cda, che eserciti i poteri tipici della subordinazione, ancorché attenuata da una eventuale carica dirigenziale.

La precedente carica di amministratore rispetto a una successiva assunzione a tempo indeterminato non è preclusiva dell’esonero anche all’interno dei 6 mesi antecedenti l’assunzione.